RICERCA EFFETTUATA SUL TESTO “LESSICOMANZIA-ovvero Dizionario Divinatorio-Magico-Profetico ” di Filippo Bianco – -NA 1831 pag 484-485
NOCE BENEVENTANA. Sostengpno i demonografi che fra i conventicoli più celebri sia quello della Noce di Benevento. Vuol farei credere l’Abate Diego Zunica nella sua Ricreazione de’Curiosi che siccome l’Arcangelo Michele per essere adorato, si scelse nel Siponto una grotta; così Satana, principe dé diavoli, per essere venerato dalle streghe eresse la sua sede sotto il Noce di Benevento .
Circa quattro miglia lontano da Benevento credeasi esistere questa famosa noce , sotto cui banchettavisi e teneva udienza il diavolo in trono di maestà. Per essere ascritte le streghe, o stregoni a quest’assemblea doveano prima apostatar dalla Fede, e rinunziare a tutti i Sacramenti della nostra Religione. Allora il demonio leggea a quelle gli statuti inviolabili, cioè di non venerar sacre immagini, adorar la croce , nominare Dio, di procurare tutti i mezzi per peccare, di sedurre Vergini, di spingere alla libidine i loro amici, parenti e tutti quelli co’ quali poteano aver parola: ció adempito, le prometteva ché chiamato sarebbe corso in loro ajuto, ed avrebbe cercato tutti i mezzi per, maggiormente tenerle contente nel voluttuoso amore. Dopo averle assegnato il demonio assistente, il quale era obbligato, ogni qualvolta tenevas assemblea sotto la noce di Benevento, ivi trasportarla ed indi nuovamente condurla a casa, dopo terminati i notturni sagrifizii. Terminava questa professione col toccare il libro nero, il quale si consegnava a’professanti onde leggessero spesso gli statuti e facessero uso de’poteri a loro concessi.
Nella notte, destinata da Satana per banchettare, sono obbligati i Martinelli di trasportare le Streghe o Stregoni al conventicolo per l’ora stabilita. Tutti riuniti riveriscono diversamente da noi il loro Signore che prende forme umane, e spesso le simiglianze della vipera ed indi si dà principio al festino, in cui la gola e la libidine sono principalmente soddisfatte.
era vietato nominare, sotto la noce di Benevento DIO, GESU’, Maria o Santi. Un marito di una strega essendo stato condotto ivi per osservare il cerimoniale ed il banchetto che facevasi, rimase, dicono i Demonografi, solo ed al rigor del fraddo sotto la noce tutta una notte per aver detto, sia lodato Dio, ad un demonio il quale gli portava il sale per le vivande scondite.
Pietro Piperno vi scrisse una dissertazione nella quale dimostrò che era propriamente nello stretto detto di Barba per dove passa il fiume Sabbato. Questa noce fu distrutta fin nelle radici da S.Barbato, che vivea a’tempi del capitano Romoaldo. L’autore molte altre cose rapporta intorno alla Noce di Benevento, per le quali tanto risi che non distesi alcuno articolo pel corso intero di una mattinata.
RICERCA EFFETTUATA SUL TESTO “IL NOCE DI BENEVENTO ” Commedia in Tre atti di Bassano Finoli-2^ edizione -milano 1830-
pag 67-70
OSSERVAZIONI
sopra la commedia
IL NOCE DI BENEVENTO
Estese dal signor Cavaliere Troilo Malipieri, ed apposte all’edizione di Venezia,
Questa digressione non è affatto estranea alla commedia presente in cui l’argomento autorizza a qualche utile osservazione spettante all’indole sua. Ai nostri tempi diventa di sommo vantaggio il dar qualche cenno sopra di questo importante proposito, introdur pur troppo volendosi da alcuni pretesi riformatori un nuovo sistema, che all’indole si oppone di quello dai sommi classici introdotto.
Non è però che sia da porsi in questo numero il bravo e sennato signor Finoli, che veramente onorò il teatro italiano di alcune eccellenti comiche produzioni, che finché dominerà il buon gusto avranno ferma la vita della fama. Egli Pretese in questa commedia di eccitare il riso, ed in fatti io giudico vi sia riuscito mirabilmente. Essendo pertanto codesta commedia per la natura del suo stesso carattere fondata sull’assurdo,sull’inverosinile,sul nridicolo, esente esser deve da qualunque critica osservazione, purchè lo scopo a cui tende si ottenga, ed io credo lo abbia l’abile autore considerabilmente ottenuto. Una di queste commedie, ben decorata, e posta in iscena in qualche popolosa città in tempo di carnevale, dà scaccomatto a qualunque tragedia o dramma, fosse anche composta sul gusto e col merito di Alfieri; ed in fatti rappresentata in Milano la prima volta dalla valorosa compagnia Favre, ebbe applausi e tredici repliche consecutive, e sempre a pien teatro.
RICERCA EFFETTUATA SUL TESTO “IL NOCE DI BENEVENTO-Ballo Allegorico in quattro atti ” di Salvatore Viganò-Torino 1864-Pag. 5-15
ATTO PRIMO.
Il teatro rappresenta una selva, nei cui mezzo gigenteggia un grand’albero. E questo il famoso Noce di Beneveanto, una volta sì rinomato in Italia, come il Blocksberg, l’Heuberg, la pianura di Hetzenord in Germania, e il luogo detto la Croce del Pasticcio in Francia (1). Le -donnicciuole di que’tempi, per un’alterazione della loro fantasia, si credevano d’essere trasportate ogni tante notti al congresso de’ demoni sotto questo noce a ballare a cantare e far tampone (2). Sopra questa vana e supertiziosa credenza è immaginata la favola che ora esporremo, dichiarando di mano in mano le più notabili allegorie che sono in essa velate.
Lo spettacolo incomincia colla tregenda delle streghe e dei demoni, terminata la quale, il cielo si copre di nubi che rovesciano acqua e grandine, e lanciano saette.
La giovine Dorilla, la quale stava cacciando nella selva insieme col suo sposo Roberto, accompagnato dall’amico Narciso, da un servo e da varie persone, si smarrisce per gl’intricati sentieri, e stanca e atterrita dal temporale viene a riposarsi sotto il maeotoso noce, ove un placido sopore incatena i suoi sensi.
Due streghe, Canidia e Martinazza (3), s’aggirano a quella volta. Ambedue scorgono Dorilla che dorme, e ambedue aspirano al possesso di lei : gelose di un tale acquisto si sfidano a vicenda a mostrare cogli effetti quale di loro abbia maggior possanza. Ad un cenno di Martinazza si converte un cespuglio in una grande lanterna (simbolo del lume della Ragione), ed a’comandi di Canidia apparisce dal canto opposto uno smisurato cervo (col qual è figurato l’Errore) : nasce allora una fiera baruffa tra le due maliarde; ma Canidia ne rimane vittoriosa (che vale a dire la disposizione al male trionfa della disposizione al bene; l’Errore prevale alla Ragione), e Martinazza tra l’onta e lo sdegno si fugge dentro alla sua lanterna, aspettando tempo e luogo di soggiogar l’avversaria.
Canidia sveglia allora la bella Dorilla : questa all’inaspettata vista del cervo, dà subito di piglio al suo achibugio per ucciderlo; Ma Canidia trattiene il colpo, e chiama un farfarello, il quale si rapisce Dorilla , e la si portà in seno al cervo incantato. La Fata tiene lor dietro.
NOTE ATTO I
(1) Tartarotti, congresso notturno delle Lammie
(2) Malmantite, Gant.3.
(3) Sotto le sembianze di queste due streghe si rappresenta quella disposizione al bene o al male, che dirige tutte le azioni umane; cioè a dire queste due streghe sono l’immagine materiale de’ due Genii, l’uno buono e l’altro cattivo, cbe, secondo l’opinione degli antichi, accompagnano l’uomo dalla culla infino alla tomba. Martiaavza è qui presa pe Genio benefico, e Canidia pel Genio malefico.
ATTO SECONDO.
Per forza d’incantesimo si vede l’interno dell’immenso ventre del cervo (4), il quale rappresenta un voluttuoso gabinetto, ove Dorilla, privata del sentimento della virtù, ed invasa dall’Amor proprio, dalla Vanità e dalla Volubilità (simboleggiati da tre fanciulletti), si volge alternamente a’tre amanti (che figurano le tre età dell’uomo, la Gioventù, la Virilità, la Vecchiaia; la prima delle quali seduce colla freschezza, la seconda col vigore e l’ultima soltanto col denaro).
In questo mezzo apparisce un demonio recante la lanterna di Martinazza, al cui lume Roberto vede la cattiva condotta della moglie : nell’impeto del suo sdegno egli vorrebbe avventarsi contro la traditrice, ma la Fata si oppone, e chiude la lanterna.
Roberto, mentre insieme col suo amico ch’è un imbecille, e col suo servo ch’è uno sciocco, va in traccia della sposa, si abbatte a vedere il cervo; e già si pone alla guancia il fucile, quando Martinazza, intenta a sventare le malie di Canidia, esce dalla sua lanterna, e svela al cacciatore ch’egli stava per uccidere la sua Dorilia, la quale per opera magica è stata trasportata nel ventre della belva. Roberto non sa prestar fede alla strega (cioè non può immaginarsi come sua moglie abbia potuto lasciarsi sorprendere dall’Errore); ma l’oculata Martinazza lo invita ad entrare seco lei nella lanterna, per mezzo di cui (ch’è quanto dire, per mezzo del lume della Ragione) egli stesso vedrà come Dorilla, sedotta dalle illusioni diaboliche, abbia già posto in oblio il consorte.
Che fa intanto Dorilla? Ella ben tosto si sazia della compagnia de’tre amanti. La donna quando è signoreggiata dall’Amor proprio, dalla Vanità e dalla Volubilità, non si appaga già dell’idolatria di quelli che la corteggiano, ma volge ognora in mente nuovi mezzi di salazzo e di dissipazione, e la più breve serie di momenti passati nell’uniformità la immerge nel disgusto e nella noia. L’esperto vecchio, che ben se ne avvede, si studia di cattivarsi l’affezione della bella cacciatrice, secondando il genio di lei : con quest’animo egli chiama a sè i Capricci, i quali compaiono tosto sotto la forma di farfarelli in abito da donna (5). Questi Capricci presentano a Dorilla le gioie più rare, le vesti più eleganti, e gli ornati più leggiadri che sappia inventare e apprezzare la moda. Ella s’invaghisce or dell’una, or dell’altra cosa ; e finchè il buon vecchio ha denari per comperar tutto quanto gli esibiscono i Capricci, la vana Dorilla lo fa lieto delle sue carezze; ma non prima trovasi vuota la borsa di lui, che l’ingrata lo abbandona, e cede alle soavi lusinghe della Gioventù e della Virilità. Nè questo è il solo affanno che crucia il deluso vecchio: i Capricci lo accerchiano e lon incalzano, dimandando il pagamento delle lor merci: in così fatta angustia egli s’appiglia al partito di alcuni scialaqcuatori de’ nostri giorni, cioè usa la forza facendo allontanare da’suoi servi l’importuna turba dei creditori.
– Qui Martinazza riapre la sua lanterna ; Roberto furibondo alla vista della consorte in preda al vizio, non ascolta più le parole della maga, e scagliasi incontro a Dorilla; lo stesso fanno l’amico ed il servo di lui. – Dorilla, stupefatta di vedersi scoperta, anziché vergognarsi dei propri errori, schernisce il marito, ed implora la protezione del vecchio amante: questi, pieno di gioia di aver un’occasione d’obbligarsi la riconoscenza di Dorilia, minaccia Roberto e i suoi compagni: essi danno mano alle loro spade , ma per opra della strega Canidía rimangono immobili e confitti al suolo nel loro atteggiamento: e siccome si sono imprudentemente scostati dalla lanterna di Martinazza, così non é loro più dato di veder quanto succede nel ventre del cervo, ed il teatro presenta di nuovo la selva di Benevento (6).
NOTE ATTO II
(4) Immenso certamente a’ nostr’occhi, ma angusto in confronto del ventre della balena di cui parla Luciano, e diAquello molto più noto della balena d’Alcina descritta dall’Ariosto
(5) 1 Capricci vengono rappresentati sotto la forma di demoni in abito femminile per offerire allo spettatore un’immagine sensibile dell’essenza del Capriccio; il Compositore ha dovuto rappresentare le modiste, le sartrici, le merciaiuole, ecc., stromenti del Capriccio, sotto sembianze che dinotassero il loro carattere e la loro influenza : egli non ha fatto che dare in certo modo al corpo ciò che appartiene all’anima guasta. Una tale considerazione è necessaria,perchè non faccia urto il veder poi queste larve messe in fuga da alcuni servi armati di lance. Simili difetti sono inerenti alla noatura stessa del linguaggio simbolico.
(6) Questa scena e uno specchio de’ traviamenti dello spirito umano.
ATTO TERZO.
La benefica Martinazza manda tosto fuor della sua lanterna, in aiuto de’ tre miseri incantati, altrettante donzelle, le quali con un magico tocco rendono loro l’officio de’sensi e il potere della volontà. Ma in qual modo il povero Roberto riacquisterà la moglie? Altro mezzo non v’è che quello di uccidere il cervo. A tale effetto la prima donzella reca al servo un tamburo, simbolo della vigilanza battuto tre volte, questo tamburo farà abbassare la fronte della belva. L’altra donzella porge a Narciso un cavolo, simbolo detl’adescamento o della persuasione. L’ultima offre a Roberto stesso una lancia, simbolo della forza, colla quale egli trafiggerà il capo del cervo, mentre che questo si starà mangiando il cavolo (1). – Ma l’empia Canidia manda a vuoto i sussidi della rivale, e fa dileguare per l’aria il tamburo, il cavolo e la lancia.
Allora Martinazza ricorre a nuovo stratagemma, e invia a Roberto un pecoraio con un corno, al cui suono il cervo piegherà la cervice; al servitore un beccaio con una lunga corda onde legare la preda; ed a Narciso un legnaiuolo con una sega per tagliarle le corna, Ma Canidia fa tornar vani anche questi nuovi spedienti: una pioggia di fuoco che vomita il cervo, empie di spavento l’amico ed il servitore, i quali gettato al suolo la corda e la sega, più non ascoltano le preghiere di Roberto (2).
Per la qual cosa, Martinazza fa entrare nella sua lanterna il solo Roberto, a fine di munirlo d’altri mezzi coi quali vincere il cervo (o sia l’Errore), e abbandona fra l’orror del bosco il servo e l’amico.
Una ricca vecchia, vestita in grand’abito di gala, apparisce innanzi a questi due balordi, i quali, sia per vanità, sia per isperaaza di vergognoso guadagno, si lasciano sedurre alle sue ridicole attrattive; ma l’inganno è breve, e mentre credono di essere al possesso di questa ambulante miniera, trovano che la vecchia s’è dileguata, e non ha lasciato che i suoi abiti, fuor de’ quali si spicca un demonio che se li ghermisce ambidue e trasporta nel ventre del cervo (3).
Esce Roberto dalla lanterna, provveduto di una zucca (simbolo del senno (4) , d’un ramo di castagno selvatico (simbolo dell’allettamento), e d’una scure (simbolo della forza). Ma Dorilla, che prevede imminente la sconfitta del cervo, e che inoltre è tuttora invasa dalle male pas sioni, per consiglio della perfida Canidia si fa incontro allo sposo, sotto le spoglie di modesta lattivendola, e,con vezzi, e con lusinghe lo induce a bere il latte dell’oblio: egli allora le cede la scure e il fatato ramoscello, e dono le farebbe altresì dalla zucca, se ad impedir tanto danno non sopraggiungesse la provida Martinazza. A’ suoi gridi ed alle sue minacce, Roberto rientra in se stesso, e col mezzo della zucca (che, come dicemmo, rappresenta il senno) riconduce alle leggi del dovere e dell’onore la traviata consorte, la quale, pentita, si rifugge nella lanterna, cioè ritorna alla ragione; egli allora col ramo di castagno fa piegare le ginocchia al cervo, gli balza sul dorso, e gli recide le corna. Il demonio, che dava forma al cervo, sparisce per l’aere; mercè della sovrumana possa di Martinazza, la tenebrosa selva si trasforma nel tempio della Virtù, ove si vede rinchiusa entro una gabbia la malefica Canidia insieme coll’imbecille amico di Roberto e collo sciocco servo; e Dorilla si getta nelle braccia dell’amato consorte (5).
NOTE ATTO III
(1) Ciò significa che per ricuperare una moglie traviata è necessario usar vigilanza, persuasione, ed infine i leciti mezzi che somministra il potere che ha un marito sopra questa sacra proprietà.
(2) È facile il comprendere che le tre donzelle e i tre garzoni usciti dalla lanterna sono i Consigli personificati, offerti dalla Ragione; come pure è chiaro che Roberto non potrà mai, a malgrado di essi, venir a capo della sua impresa, finchè avrà per compagni la Debolezza e Ignoranza, difetti che vengono simboleggiati nell’amico imbecille e nello sciocco servitore.
(3) Qui materialmente si vede rappresentata la sorte che incontrano gli scimuniti che si lasciano abbagliare a false apparenze, o a turpi incentivi.
(4) Zucca si prende per testa; e testa si prende per intelletto, senno, ecc.; quindi le espressioni aver testa, aver sale in zucca, che equivalgono ad avare intelletto, senno, ecc. Così pure si dice uscir da un fondo senza zucca, e vale scampare da un pericolo fortunatamente, cioè senza opera di senno. Nelle quali frasi si vede che la zucca è presa per l’immagine materiale dell’intendimento o senno umano. Questo simbolo non è veramente il più gentile, ma la colpa non è nostra; cosi piacque a’ nostri avoli.
(5) Tale è lo scioglimento di questa favolosa azione, che intitolar si potrebbe LA LOTTA DELLA RAGIONE COLL’ERRORE. Oltre le allegorie che abbiamo spiegate, il meglio che per noi s’è potuto, aggiungeremo che in Roberto, il quale conduce Dorilla alla caccia, e che poi la vede in preda ai vizii, e superar deve tante difficoltà per redimerla, si dimostra che un marito cui stia a cuore la saviezza e la fedeltà della propria moglie, dee, per quanto può, tenerla lontana dalle cattive occasioni, se arrischiar non vuole di cogliere un giorno e danni e beffe; massimamente che è raro il trovare una benefica Martinazza, che provveda efficacemente.
ATTO QUARTO.`
L’Atto quarto ad ultimo è consacrato a festose danze, che danno termine alla presente azione.
Ricerca e elaborazione testi a cura del Prof.Renato Rinaldi