« Liberalismo, quell’idea che ha costruito l’Italia E la prima globalizzazione affondò il Sud »
Perché il Risorgimento fu una vera guerra civile
di Simonetta Fiori
È agile, breve, non oltre le duecento pagine, ma s’annuncia come il libro di svolta di questo centocinquantesimo anniversario. Anche nel suo ultimo saggio L’unificazione italiana. Mezzogiorno, rivoluzione, guerra civile Salvatore Lupo non rinuncia a formulare un’interpretazione nitida e totalmente nuova di quelle vicende, distanziandosi sia dal piagnisteo della pubblicistica revisionista incline ad attribuire all’unità nazionale tutte le catastrofi del Meridione, sia da una ricostruzione oleografica che oscura i conflitti ed enfatizza la compattezza patriottica (Donzelli, € 16,50). Nel narrare le vicende che segnarono il crollo del regime borbonico e l’ingresso del Mezzogiorno nella compagine unitaria, la scelta di Lupo è stata quella di affiancare alla parola Risorgimento – categoria rassicurante e anche edificante – le nozioni assai meno rassicuranti di rivoluzione e guerra civile, che meglio rappresentano contraddizioni e conflitti tra i diversi protagonisti, nell’intreccio (o contrapposizione) costante di tre patriottismi differenti (italiano, siciliano e napoletano). La “rivoluzione” cui allude il sottotitolo è quella pan-italiana avviata da Garibaldi in Sicilia nel 1860 con il fondamentale contributo dei patrioti siciliani animati da spirito antinapoletano. E la “guerra civile” fu quella combattuta tra il 1860 e il 1863 – all’indomani del rovesciamento del regime borbonico – tra i sostenitori della patria italiana e i paladini dell’antica patria napoletana, tra i quali Lupo annovera i briganti. Ed è forse la prima volta che in sede storiografica viene adottata una categoria finora confinata nelle pagine dei legittimisti sconfitti, un po’ come è accaduto per l’altro mito fondativo della Resistenza.
«La storiografia risorgimentale», spiega Lupo, «è stata irrigidita da una sorta di pruderie che ha respinto il principio di guerra civile perché sinonimo di fratricidio e parricidio, entrambe nozioni sovvertitrici della compattezza patriottica». Nell’allungare l’ombra della guerra civile tra meridionali e meridionali, tra patrioti italiani e patrioti napoletani, Lupo sottolinea il carattere politico delle gesta dei briganti, distanziandosi da un’interpretazione che insiste invece sulle ragioni sociali del fenomeno (interpretazione che accomuna i liberali dell’epoca e storici contemporanei quale Eric J. Hobsbawm). Nella ricostruzione dello studioso i briganti meridionali – un po’ criminali, un po’ guerriglieri – mescolano canaglieria e amore per la patria napoletana in un intreccio difficile da districare. «Non c’è dubbio», sostiene Lupo, «che gli insorti perpetrarono innumerevoli stupri, saccheggi, omicidi, estorsioni. Tuttavia molti di loro avevano anche motivazioni di tipo politico, non riducibili ai finanziamenti elargiti dalla corte borbonica in esilio».
Controcorrente appare anche il giudizio sulla legge Pica, che promulgata nell’agosto del 1863 grazie all’introduzione dei tribunali militari secondo Lupo ottenne il risultato di stroncare il brigantaggio. Indicato spesso come il simbolo della linea repressiva destinata a caratterizzare lo Stato nazionale in età liberale, il provvedimento viene invece giudicato dallo studioso come risolutivo del fenomeno criminale, e ne viene sottolineata la primogenitura meridionale (Pica era un deputato abruzzese). A conferma che le vicende del Mezzogiorno sono molto complicate, e sinora la storiografia italiana ha rinunciato a esplorarne la complessità. Quel che si evince costantemente dalla lettura de L’unificazione italiana è che la storia del “Risorgimento” meridionale (sia del Mezzogiorno continentale che di quello siciliano) deve essere ancora scritta. Una storia di lacerazioni e ricomposizioni «nel gioco variegato dei conflitti tra partiti e clan famigliari» che ancora appare troppo confusa. «Per capirci qualcosa», dice Lupo, «ci vorrebbero studi più vicini alla scala della comunità locale». Oggi è al lavoro una leva di studiosi più giovani, alle cui ricerche il saggio di Lupo abbondantemente attinge. Nella convinzione – specifica lo studioso – che debba essere corretta la vulgata secondo cui il processo pre-unitario fu affare solo di studenti, professionisti e possidenti: nella scena meridionale – è la tesi di Lupo – protagonisti furono anche i ceti subalterni, nella declinazione rivoluzionaria in Sicilia e in quella controrivoluzionaria nel Mezzogiorno continentale.
Tra i meriti del saggio di Lupo è anche quello di restituire il caleidoscopio di personaggi e storie famigliari che caratterizzò le vicende meridionali. Tra tutte colpisce la storia dei Fortunato. Superborbonica la famiglia di origine, proprietaria di latifondi a Rionero in Vulture e negli anni Sessanta dell’Ottocento referente del brigante Crocco; simbolo del meridionalismo liberale il pronipote Giustino, acuto interprete della questione del Mezzogiorno e uomo di esemplare rigore morale. La conversione liberale dei Fortunato – commenta Lupo – restituisce la riconciliazione fondata sull’oblio del passato. Ma quel discendente illuminato non smise mai di fare i conti con le sue radici, afflitto fin nella vecchiaia da traumi famigliari mai completamente elaborati. Nella storia famigliare, la storia di un paese
(Pubblicato il 3 novembre 2011- © «la Repubblica»)