La ricerca storica sull’unità d’Italia
Tre le questioni che sono emerse nel corso del dibattito estivo: la questione storica e storiografica, la questione politica, la questione della formazione
di AURELIO MUSI – 27 agosto 2017
Non è facile tirare le fila e trarre un primo bilancio di una discussione che questo giornale ha avuto il merito di proporre per l’intero mese di agosto, anticipando l’attenzione e l’interesse di altri mezzi di informazione. Provocata da mozioni e delibere presentate e/o approvate in Regioni e Comuni del Mezzogiorno per ricordare le vittime dell’Unità, quella discussione, alimentata da numerosi e stimolanti interventi, ha visto anche l’appassionata partecipazione di lettori: pochi condizionati da pregiudizi sfavorevoli; i più desiderosi di comprendere meglio un processo difficile e complesso come quello all’origine della costruzione del nostro Stato-nazione.
Proverò dunque ad indicare e rilanciare tre grandi questioni che sono emerse: la questione storica e storiografica, la questione politica, la questione della formazione.
Quanto al primo punto, mi sembra assai avvertita l’esigenza di fermare l’oscillazione del pendolo fra due estremismi, per così dire: l’estremismo di chi sostiene “le magnifiche sorti e progressive” dell’Unità d’Italia, indolore, realizzata da un mondo liberale senza macchie e responsabilità; l’estremismo difensivo di chi si rifugia nella nostalgia per la borbonica età dell’oro, per i primati inesistenti del Regno delle Due Sicilie, venuti meno con l’occupazione militare e l’annessione sabuada. È merito della ricerca storica più recente aver ristabilito l’equilibrio fra i due poli. I suoi risultati inducono a ritenere acquisito quanto segue.
1) Il processo rivoluzionario unitario pagò il peso del conflitto fra le “due società”, i “due popoli” di cui aveva scritto Vincenzo Cuoco, ossia delle incomprensioni di lunga durata tra avanguardie e masse, per dirla con termini moderni.
2) Fino al 1848 i liberali napoletani declinarono al plurale il sentimento di patria: patria napoletana con fedeltà al re Borbone, patria unitaria italiana.
3) Dopo il ’48 si verificò il progressivo e definitivo distacco tra dinastia borbonica e paese: la crisi successiva fu interna e non indotta dall’esterno.
4) L’Unità, realizzata attraverso la sinergia tra il capolavoro diplomatico di Cavour, la capacità militare di Garibaldi, le aspettative e il consenso di patrioti e settori non marginali della popolazione meridionale, fu l’unica via per integrare l’Italia nell’Europa più avanzata.
5) Violenza e guerra civile caratterizzarono i primi anni postunitari con vittime tra fautori e oppositori del nuovo Stato.
6) Il decollo industriale italiano, col progressivo distacco del Mezzogiorno dall’area più avanzata del paese, si avviò a partire dagli anni Ottanta dell’Ottocento.
Seconda questione. Alcuni partiti e movimenti, in crisi di idee e di ideali, alla ricerca di un facile consenso, stanno spudoratamente strumentalizzando sentimenti, risentimenti, frustrazioni di strati di popolazione meridionale afflitti da una drammatica crisi generale. Attraverso una scorretta operazione collage, priva di qualsiasi riferimento storico e contestuale, imboccano la scorciatoia della nostalgia per qualche voto in più.
Infine la questione della formazione. Tra la verità della ricerca storica e la sua divulgazione, popolarizzazione c’è un divario enorme. Bene ha fatto chi ha invitato a non snobbare o sottovalutare neoborbonismo e revisionismo di diversa specie. Il fatto è che università, centri di ricerca, saggistica seria hanno a che fare con la complessità. La semplificazione è destinata a fare immediatamente breccia. Lo scambio è dunque ineguale. Peraltro alcuni libri, come “Terroni” di Pino Aprile, circolano ampiamente nelle biblioteche scolastiche.
Il volenteroso studente che volesse saperne di più, oltre i testi scolastici, di Risorgimento e Unità, potrebbe spesso disporre solo di quel testo. In questo mese di agosto sagre e feste popolari inneggianti ai briganti non si contano in molte regioni del Sud. Povia, il popolare rapper neofascista con le sue canzoni antiunitarie e razziste, spadroneggia sui social. E allora tutto è perduto? No. Anche gli storici accademici devono imboccare la via della divulgazione, popolarizzare la ricerca scientifica. E poi vanno individuati i canali giusti per divulgare
e formare. Ricordo un solo esempio: le “Dieci lezioni sulla storia di Napoli”, ideate da Giuseppe Galasso. Quando svolsi la lezione su “Napoli nel Seicento”, all’Auditorium della Rai erano presenti più di mille persone. Uscire dai luoghi accademici, inventarsi location insolite, usare un linguaggio comprensibile a tutti: la via per ridurre il divario fra complessità e semplificazione della storia c’è. Basta cercarla.
http://napoli.repubblica.it/cronaca/2017/08/27/news/la_ricerca_storica_sull_unita_d_italia-174011717/