VITTORIO EMANUELE II cronologia di un re
L’INIZIO DI UN REGNO
1820 – 14 MARZO nasce a Torino nel palazzo avito dei Savoia “Carignano”, il figlio primogenito di CARLO ALBERTO di SAVOIA principe di Carignano e di MARIA TERESA di Lorena figlia di FERDINANDO III granduca di Toscana. Al battesimo riceve i nomi Vittorio Emanule Maria Alberto Eugenio Ferdinando.
1821 – 20 MARZO – Vittorio Emanuele con la Madre da Torino raggiunge il Padre Carlo Alberto a Firenze. In seguito ai moti carbonari di Torino del 1821, che portarono all’abdicazione di Vittorio Emanuele I, Carlo Alberto (già nominato reggente dal cugino, non essendoci altri figli maschi, ed era l’ultimo discendente del principale ramo di casa Savoia) era stato costretto a lasciare la Corte di Torino e a trasferirsi a Novara, per il suo coinvolgimento nei disordini torinesi, dove in assenza del re nel corso dei moti torinesi aveva perfino concesso una costituzione liberale. Il nuovo re Carlo Felice (1765-1831) – fratello minore del precedente, re di Sardegna dal 1821 – di idee fortemente conservatrici – dubitando della fedeltà del suo lontano cugino (del ramo Carignano), gli fece pervenire a Novara un ordine, in cui gli ingiungeva di trasferirsi con moglie e il piccolo neonato Vittorio Emanuele, completamente fuori dal regno, in Toscana, a Firenze, capitale del granducato retto dal nonno materno di Vittorio, Ferdinando III di Toscana.
1822 – 16 SETTEMBRE – Il piccolo Vittorio Emanuele, nella villa del nonno a Poggio Imperiale, corre rischio di bruciare nella culla della sua stanza andata a fuoco a causa di una candela lasciata accesa durante la notte; é salvato dalla nutrice che però muore nelle fiamme.
Come può esser morta la nutrice e non anche il bambino? Molti se lo chiesero. Oltre questo dubbio iniziale, in seguito fin dalla tenera età c’era una grande differenza somatica con il padre, in più cresceva con una bassa statura, (quando fu adulto meno di 1,60) era tracagnotto, a differenza del padre Carlo Alberto, che era magro, longilineo, molto alto, 2 metri. Come del resto alto e longilineo lo era anche suo fratello Ferdinando (poi Duca di Genova, padre poi di Margherita che andrà in sposa a suo cugino Umberto I – figlio dello stesso Vittorio Emanuele, e quindi al suo fianco regina d’Italia – Ferdinando morì giovane a 33 anni, nel 1855, lasciando vedova la 25enne Elisabetta di Sassonia che Cavour (definendola “la più superba bellezza del nord”), voleva poi dare in moglie a Vittorio Emanuele, rimasto vedovo, per fargli smettere la relazione con la “Bella Rosina” – (Ne parleremo più avanti). Elisabetta era rimasta con due figli, un maschio Tommaso e una femmina, Margherita che andrà poi in sposa a 17 anni, nel 1868 al cugino Umberto. Poi diventato Re nel 1878, lei diventerà la prima regina d’Italia Unita (1851-1926)
Se lo chiesero anche i precettori da dove veniva questo principino, quando di fronte a questo bambino trovarono che aveva “la testa dura”; si lamentavano per la sua svogliatezza, la scarsa applicazione sulle lingue, sulla matematica, sulla storia, la grammatica; e sempre carente anche nella semplice lettura. Insomma un refrattario agli studi; lui fin da bambino ai libri di ogni genere, preferiva i cavalli, le sciabole, le armi, la caccia, le escursioni venatorie nelle campagne, nei boschi e in montagna.
La stessa madre andava ripetendo e scrivendo: “Da dove mai è uscito questo figliuolo?… È nato per farci disperare tutti quanti!”.
Ma ancor di più se lo chiesero in molti quando il bambino divenne giovinetto, con una costituzione fisica che non aveva nulla di simile ai suoi antenati. Per non dire come carattere. Lui aveva tenacia e fermezza (non come suo padre ipocondriaco, sempre indeciso e che per questo aveva ricevuto la nomina di “Re tentenna”. E dal Carducci “Italo Amleto”, per il suo carattere cupo, conflittuale ed enigmatico.
Era spesso colpito da crisi mistiche religiose, con la Corte sempre affollata da una cinquantina di religiosi).
Vittorio Emanuele era invece un po’ grezzo, cinonostante possedeva vigore virile, era gioviale, molto coraggioso e spavaldo, alle volte irruente, anche se era di indole comunicativo e affabile come un popolano con i quali si intratteneva volentieri nelle sue scorribande campestri andando a caccia; e in seguito diventato principe ereditario e poi Re aveva anche una schietta, istintiva adesione ai modi pragmatici, ispirati al buon senso comune, lontani dalle sottigliezze della politica fino allora seguita dai suoi predecessori sabaudi. Insomma aveva fisicamente e mentalmente – diremmo oggi – un altro Dna.
Era religioso come il padre ma senza crisi mistiche. Alla popolana.
Un po’ rozzo, si trovava (e si trovò anche da adulto) a suo agio più con il dialetto piemontese che con la lingua italiana. Era molto appassionato cacciatore di selvaggina e di… donne, prima e dopo aver sposato l'”austriaca” e avuti da lei 5 figli. (a proposito delle numerose amanti e dei numerosi figli illegittimi, Massimo D’Azeglio dirà che meritava più che il titolo di “Padre dell’Italia” quello di “Padre degli italiani”, per la scia di figli illegittimi che si lasciò dietro.
Non parliamo poi dei suoi gusti nella vita quotidiana, ai ricchi pranzi di corte lui preferiva una ordinaria zuppa di fagioli. Per come vestiva sembrava un popolano, era sciatto dentro il palazzo e anche fuori, ed era quasi sempre fuori all’aria aperta con il suo cane il suo fucile.
Su quell’incendio e salvataggio del bambino, si nutrirono insomma molti dubbi, per non dire misteri. Il primo: era quella di una lacunosa relazione del caporale Galluzzo inserviente addetto alla casa del conte, su come si era sviluppato l’incendio e com’era avvenuta la morte della nutrice e lo strano salvataggio del bambino. Il secondo: quando Massimo D’azeglio se ne venne poi fuori che non solo non credeva che si era salvato, ma a suo dire il principino era morto bruciato insieme alla sua nutrice e che era poi stato precipitosamente sostituito con un altro bimbo, figlio di un macellaio, di cui fece anche il nome (circolò il nome di Tanaca). Negli stessi giorni dell’incendio costui aveva denunciato la scomparsa di un suo figlio della stessa età. Poi di questa denuncia non se ne sentì più parlare, ma improvvisamente il macellaio diventò un ricco benestante. Questa pettegola storia finì nel dimenticatoio, ma quando il re cominciò a fare qualche banale sbaglio oltre il suo comportamento da popolano, c’era chi era pronto a ricordare “cosa pretendete, è figlio di un macellaio” anche se (forse) non lo era.