Feste ordinate a Napoli in onore del Garibaldi

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RICERCA EFFETTUATA SU “GOOGLE LIBRI” DAL LIBRO “LA CIVILTA’ CATTOLICA-ANNO DUODECIMO ” VOL.XI DELLA SERIE QUARTA -ROMA 1861

da pag. 746 a 752

REGNO DELLE DUE SICILIE 1.Feste ordinate a Napoli in onore del Garibaldi: indirizzo degli operai -2. Un Presidente della Gran Corte criminale destituito, perchè ricososciuto doppiamente traditore = 3. Come si trattano le geniildonne e i preti sospetti – 4.Risposta, in nome dell’emigrazione napoletana, alla circolare del Ricasoli -5. Stato dell’isola di Sicilia.
1.Questa volta non ci dimoreremo in ripetere ciò che nei precedenti quaderni abbiam notato sopra i moti d’insurreziose che scoppiano,or qua er là,da un capo all’ altro del Regno, allora eppunto quando gli oppressori menano tripudio e vanto d’averne spento il fuoco nel sasgae delle loro vittime. Lo stesso diario ufficiale dei Piemontesi, tanto a Napoli che a Torino, continua a registrare ogni dì lunghe filze di dispacci ricevutí da ognuna delle province continentali dove o la reazione prevalse o fu repressa con le consuete atrocità di fucilazioni e d’incendii. Se di questi ultimi giorni v’ebbe un poco di tregua, ciò sembra doversi attribuire al consiglio preso dal Cialdini di dar tempo, ed agio alle bande degli insorti di riunirsi e far corpo, per quindi assalirle e combatterle tutte in una volta. Oltre di che il famigerato Luogotenente era volto a far il festaiuolo pel Garibaldi, e le sue cure indirizzate sollecitamente a celebrare in modo degno di tanto eroe l’anniversario del 7 Settembre. Quindi, colle arti persuasive che sanno adoperare i comitati nazionali, indotti i cittadini a tappezzare di bandiere le facciate delle loro case, e cantato sotto le loro finestre, da branchi di monelli, se pel Garibaldi non comprate le lampe, vedrete che bei sassi vi romperan le lastre; e così via discorrendo. Noi non debbiamo perdere il tempo in descrivere codeste buffonate, per cui si fa violenza alla libertà ed alla coscienza degli onesti cittadini ; e solo accenniamo che il Nomade del 7 Settembre, per dimostrare quale sia lo spirito che regna in Napoli, recita l’indirizzo spedito dalla società operaia al Garibaldi nella Caprera, di cui la sostanza è in queste parole. « In voi sta la salvezza della patria, in voi la felicità del popolo che rappresentate. Gli operai vengono a stringervi la mano, e Napoli tutta, memore del suo liberatore, vorrebbe essere con essi. Generale! La patria vi chiama. Sorgete! Il 7 Settembre è prossimo. Perché non celebrarlo a Roma ? »
Da questo indirizzo si vede che il Re galantuomo è eclissato dai raggi di gloria del romito della Caprera, e a questo penserà il sig. Ricasoli. Quanto al celebrare il 7 Settembre in Roma, si vede che codesti pulcinella avean dimenticato che a Roma v’è, intorno al Papa, una mano di valorosi e fedeli suoi soldati pronti a farsi tutti trucidare prima che aprire il varco alle masnade sacrileghe del Mazzini; e che per giunta vi è un più che sufficiente presidio di Francesi, a’quali non fu dato ardine di deporre le armi a’piedi del filibustiere. Del resto se vogliono provarsi a venire, facciano pure, chè sarà meglio.

2. Levò gran rumore in Napoli la repentina destituzione del sig. Tofano dalla crrica di Presidente della Gran Corte Criminale, ed è bene che se ne sappia la cagione ,la quale è concordemente riferita dai diarii d’ogni colore politico, a quel modo che leggesi nella seguente Corrispondenza allo Sterdando Cattolivo di Genova.
« Vi parlerò dell’avv. Tofano, che voi dovete conoscere : poicbè fu a Genova e difese gli accusati della cospirazione del 29 di Giugno 1857. Il sig. Tofano figurò molto a Napoli sua patria, ove fu Ministro nel 1848: vennne posta imprigionato e discacciato come liberale, si ricoverò a Genova e poscia a Torino col resto della emigrazione. Dopo i recenti avvenimenti ritornò a Napoli; fu creato Consigliere della Gran Corte Criminale e Presideote dello stesso tribunale; ricevette dal gabinetto di Torino sui fondi di Napoli un regalo di 21 mila franchi per certi suoi bisogni urgentissimi; ebbe due figli collocati in collegio a spese dello Stato. Sapete ora cbe avvenne? Negli archivi della polizia di Napoli furono trovate lettere che Tofano da Torino mandava a Napoli, durante l’ultimo decennio, e spiegava, denunciava quanto faceano i fuorusciti, il Governo e tutti i liberali. V’è perfino una lettera in cui Tofano si scusa e si giustifica per la difesa dei mazziniani del 1857 in Genova. Tutte le lettere del Tofaro furono trovate registrate nel ministero a Napoli e scoperte solo ultimamente, alcuni dicono per ispirito di vendetta, avendo il figlio del duca di Caianello denunciato il Tofano, che volva processare il duca padre. Il fogli napoletano del sig. Gervasi, La Pietra infernale, parlò d’un tale emigrato a Torino ed ora in alta carica a Napoli, che facea denunce al Governo borbonico: forse il Tofano; Comunque sia, quest’avvocato fu improvvisamente dispensato dalle sue funzioni, senza pensione od altra rimunerazione; il che è eguale ad una destituzione. Il Tofano pubblicò una lettera la quale invece di smentire,conferma nella loro sostanza i fatti narrati; ei si lamenta solo delle misure eccezionali prese a suo riguardo; ma è rassegnato, credendole necessarie. Tofano ha 60 anni di età. Quanto è feconda la semenza dei traditori!

3. Nelle carceri di san Francesco, dove appunto è custodito il famigerato assassino Demata, sono stipati e commisti ad ogni maniera di facinorosi buon numero di religiosi e di preti, che dalle province vi furono condotti in mezzo a doppia fila di sbirri, e con tutta la orribile solennità onde si sogliono circondare i più insigni malfattori. La cosa è per sè più che ributtante e crudele; ma, a mettere in più chiara luce l’umanità e la civiltà di codesti ristauratori dell’ordine morale, viene a proposito il fatto riferito in una Corrispondenza all’Osservatore Romano n.° 55 e da ninno potuto smentire.
« Il credereste? giorni addietro fu arrestata, per aver sparlato dell’attuale governo, una signora, della quale mi fu detto; ma non ricordo il nome. Fu condotta e lasciata a S. Maria ad Agnone, che è il carcere comune delle donne. Quivi da più mesi sono altre cinque donne, pure per voluto delitto politico. Tre di esse sono plebee; e due poi della classe civile, e sono nubili, ed hanno nome, l’una la signorina Galletti, l’altra la signorina Patrelli , figlia di un architetto, e nipote del sig. Mario Patrelli, colonnello della marina borbonica e direttore dell’osservatorio di marina a S. Aniello a Capo Napoli. La Patrelli fu arrestata,indovinate perchè? Perchè raccoglieva danari da offerirli, pel danaro di S. Pietro, al Papa. Si disse, che quel danaro si raccoglieva da lei , non pel Papa, ma per le reazioni, e fu posta in carcere, dove essa e la signorina Galletti sono accomunate con la feccia delle donne, che vi espiano ogni sorta di delitto comune; e, s’intende bene, senza che si aprisse a loro carico processo alcuno. »

4.Di somigliantii infamie riboccano i giornali eziandio italianissimi, e se ogni animo onesto deve sentirsene inorridito, almeno se ne ricava anche il vantaggio di vedere qual fede si meriti quell’insigne monumento di menzogne, che è la recente Circolare dal barone Ricasoli, per quella parte in cui osa affermare che a Napoli si lasciarono in pieno loro vigore le franchigie costituzionali, e che per conseguenza il rispetto alla libertà di stampa, all’inviolabilità del domicilio e della libertà personale, al diritto di associazione, vieta che il Governo ricorra a repressioni sommarie e sanguinose. Sono niente meno che nove le borgate distrutte dall’incendio, dopo essere state abbandonate alla brutalità selvaggia dei Cialdiniani, che tutto vi manomisero barbaramente, persone e cose. E ciò per tacere degli innumerevoli sospetti accatastati nelle carceri e nelle galere senza processo e senza condanna giuridica; e delle centinaia di infelici trucidati col ferro e col piombo, a sangue freddo, sol perchè denunziati come briganti. Al sig. Ricasoli venne sopra ciò risposto egregiamente, in nome della Emigrazione napoletana, nel diario francese l’Ami de fa Religion di Giovedì 5 Settembre (pag. 555); e la semplice lista degli emigrati è più che bastevole a notare di intollerabile tirannide l’usurpazione piemontese. In codesta lista, ivi recata e che è ben lungi dall’essere compiuta, si noverano 34 Principi colle loro famiglie, 30 Duchi, e il rimanente, fino al numero di 130, Marchesi, Conti, Baroni e Cavalieri del nobilissimo patriziato napoletano. E ciò per nulla dire dei Vescovi sbandeggiati e dei tanti ecclesiastici cospicui per casato, per pietà, per scienze e lettere, che o gemono nelle carceri co’ladroni, o furono spinti in esilio con ostracismo senza esempio nelle storie italiane.

5. Dell’Isola di Sicilia leggesi nell’Unità italiana del 28 Agosto una lettera, scritta dal conte Tholosano, fratello dell’uffiziale superiore di Marina e governatore di Catania; e la rechiamo qui con le sue stesse parole perchè dipingono al vivo lo stato miserando, a cui vennero ridotte quelle già sì fiorenti province. « Le vendette private sono il vero flagello di questa come di altre province sicule, e l’impunità in cui si lasciano, per soverchio timore dei giudici e dei testimonii, le moltiplica, e così si può dire che i Siciliani si lasciano scannare dai loro assassini per timore di morire, dimenticando che stultitia est ne moriare mori. In otto mesi e più da che mi trovo in Sicilia, ho veduto compiersi centinaia di assassinii di ogni genere, isolati ed in comitiva, in rissa e premeditati. Case
minate, altre abbruciate, famiglie intere scannate, omicidii compiuti di pieno giorno e di notte nelle case, nelle vie le più frequentate; e in questa sola provincia , che è delle più miti, se ne sono commessi ottanta e più; ma un reo punito esemplarmente dal ferro della giustizia non l’ho visto ancora, e i soli puniti, orribile a dirsi, lo furono da arbitrarii spari della guardia nazionale o dal furore del popolo, che, stanco dell’inerzia dei magistrati, fece giustizia, o credette farla, sgozzando i rei in carcere. La sera stessa del mio arrivo a Catania un ufficiale della guardia nazionale fu ucciso con un colpo di schioppo, in una delle strade più frequentate, alle ore dieci di sera; il ferito indicò prima di morire su chi cadevano i suoi sospetti, v’erano indizii positivi che confermavano questi sospetti ma il giudice istruttore non credette fosse il caso di far arrestare il sospettato; si sperderono le prove, ed oggi pende pro forma il processo contro ignoti”.
II generale Della Rovere, che vi stava come Luogotenente del Re, lasciava fare a’Siciliani, e così non incontrava quelle opposizioni che i suoi predecessori ; ma non per questo scemò l’odio profondo di che i Siciliani, benché armati gli uni contro gli altri da crudeli discordie, sono animati contro i Piemontesi. Il Della Rovere dovette infine accettare il carico di Ministro della Guerra a Torino, e smetteree la Luogotenenza. Indarno si fecero caldissime istanze al generale Brignone, perchè si contentasse di succedergli; questi stette saldo sul niego; e finalmente, a cose disperate, si volse il Ricasoli al generale Di Pettinengo, che accettò. Ma poco tempo vi rimarrà, essendo già fermata l’abolizione delle Luogoteeenze, sicché tra breve Napoli e Palermo saranno a un dipresso quel che seno Ancona e Firenze,

STATI SARDI(Nostra corrispondenza ) 1. Una nota di Ricasoli e cambiamenti Ministeriali – 2. Come Minghetti, svillaneggiato dalla stampa, dovesse abbandonare il ministero – 3. Terribile incendio in Torino ed altri incendi in Piemonte- 4. La tratta dei Napoletani a Genova, e come sono custoditi al campo di san Maurizio.

1. Io non so se debba incominciare la mia lettera o dalla nota circolare del barone Bettino Ricasoli Presidente del Consiglio dei Ministri, oppure dall’incendioavvenuto in Torino in via di Po, e nella casa Torino. Le materie sono incendiarie ambendue. Darò la precedenza al nostro Ministro degli esteri. Egli avea promesso agli agenti Italiani all’estero, che fra poco tempo le province napoletane, riscaldate dal sole della libertà, sarebbero compiutamente pacificate; ma poichè vide che l’aspettata pacificazione ritardava di molto, pensò di scrivere una seconda Nota agli agenti Italiani, dove raccomanda loro di sperare, e si addentra nelle cause che producono ed alimentano, secondo lui, nel reame di Napoli quello ch’egli chiama brigantaggio. E una causa principale vuole rintracciarla in Roma, e non ha rossore di asserire che il Danaro di San Pietro serve per sostenere i briganti. Tutto lo scritto del Ricasoli è audacissimo, e fa sospettare che fosse il primo passo per muovere alla conquista di Roma. Ma, caso strano! Giunse tra noi il signor Debenedetti, nuovo Ambasciatore di Francia presso la Corte di Torino, e il giorno dopo ch’egli fu ricevuto dal Re, ecco Ricasoli che passa dal portafoglio degli esteri a quello dell’interno, conservando, provvisoriamente soltanto, il primo. Tutti si guardarono in viso e non seppero che dire. L’Opinione del 5 di Settembre osserva che il Barone Bettino passò dagli affari esteri agli interni, perchè la questione interna è la più importante: ma il Cittadino d’Asti, come che ministeriale, risponde all’Opinione, che se la cosa era così, il Ricasoli poteva togliersi dal bel principio il portafoglio degli affari interni, essendo stato incaricato dalla Maestà del Re di comporre il Gabinetto. Ora si ciancia assai sul nuovo Ministro sopra gli affari esterni: l’Opinione assicura che questo portafoglio resterà per buon tratto di tempo nelle mani del signor Ricasoli; v’ha chi dice sia stato offerto e rifiutato dal Conte Arene; e molti affermano che sia riservato al Dottore Farini, il quale tornò or ora da un suo viaggio misterioso e trovasi nella sua villa di Saluggia, dove ha rinnovato tutti gli usi feudali, e i vassalli sarebbero lieti di ritrovare in lui puramente e semplicemente un feudatario del Medio Evo.

2. Ma se Bettino Ricasoli è Ministro dell’interno, che cosa è avvenuto, domanderete voi, di Marco Minghetti, antico Ministro? Egli fu licenziato e presentò una nuova prova ai rivoluzionarli del quanto siano labili la fortuna, gli applausi, le glorie dei rivoltosi. Il Minghetti avea avuto larghissima parte nel presente movimento italiano. Imperocchè nel 1856, quando il conte di Cavour trovavisi al Congresso di Parigi, gli venne chiesta una nota verbale sulle Legazioni, o dirò meglio contro le Legazioni. Il conte di Cavour non seppe che dire, nè conosceva alcun appunto da fare, laonde ricorse in fretta al Minghetti che gli prerarò la famosa Nota. Angiolo Brofferio nelle sue memorie rivelò il fatto, e lo stesso conte di Cavour confermavalo nella Camera dei Deputati il 25 di Marzo del 1862.
Nel Congresso di Pearigi, disse il conte di Cavour, “venni aiutato e protamente dal mio egregio amico, il ministro Mingheti che .ebbe parte principale a quei negoziati, e qui mi è grato avere l’occasione di rendergli la giustizia che gli si deve e, di attribuirgli; quella larga parte di merito che mi si é voluto dare esclusivamente per ciò che si é compiuto a Parigi”. (Att. uff. deva Cam. n.° 38 pag.138, col.3^). Ma la rivoluzione paga male. Il Minghetti, non saprei perchè, venne in uggia ai liberali ; lo chiamavano l’uomo delle regioni, perchè avea divisato di partire l’Italia in tante regioni, censervando un non so che dell’antico ; lo dicevano del colore del cioccolato, peìahè avea fatto colorire con pessimo gusto quella barracca di legno che serve alle tornate della Camera ; e l’uomo di Pietra, giornaletto di Milano; chiamava quanto v’era di sconcio, e di ridicolo una minghettata. Abbandonato dai compagni, schernito ai giornali, non compianto da nessuno, il- Minghetti abbandonò il ministero e ritirassi in Bologna a menar Vita privata.
3. Or eccomi all’incendio. -Nella notte del 27 al 28 di Agosto si appiccò terribile alla casa del conte Tarino che sorge a mezzo la via di Po, e fu avvertito ad un’ora e mezzo del mattino da un beccaio che usciva di casa per somministrare la carne alle truppe del presidio. Si mandò tosto per i pompieri, ma qui apparve come fosse male, amministrata la capitale del nuovo regno d’Italia. Imperooché le trombe idrauliche non s’ebbero se non verso le ore quattro, ed erano in sì pessimo stato, che schizzavano acqua da tutte le parti fuorcbè nelle fiamme. La popolazione, restò altamente indignata contro il Municipio che scialacquava ad ogni momento grandi somme di denaro in feste e luminarie, e così mal provvedeva alla sicurezza della città. Le truppe del presidio si adoperarono con molto zelo affine di estinguere l’incendio; ma, le fiamme si erano già impossessate della casa e delle vicinanze, si che durossi molta fatica a dominarle, e non vi si riuscì che alla fine del giorno. Intanto i volti che crollavano fecero di molte vittime che saranno una ventina di morti senza contare i feriti. E ciò che accrebbe l’orrore dell’incendio furono i ladri che profittarono del trambusto, per impossessarsi della roba degli incendiati, e tra questi ladri fu pure qualche carabiniere, che invecedi cu¬stodire rubava. E a parecchi di coloro ehe rimasero morti sotto le rovine trovarono le tasche piene di scudi che avevano rubato, ed io vi lascio pensare a che punto di spavento ragionevolissimo giungesse Torino, quando da una parte un processo criminale che s’agita tuttavia le diceva che le guardie di pubblica sicurezza facevano comunella coi ladri, e da una grande disgrazia imparava che ladri erano pure tra l’arma una volta così btnmenita de’Reali Carabinieri. Riguardo alla causa dell’incendio chi la vuole fortuita, chi la crede dovuta ad una infernale malizia. Certo è che non si deplorarono mai in Piemonte tanti inoendii come a’giorni nostri. In Torino n’abbiamo avuti tre in poco tempo, questo di cui vi parlo, queso della Consolata, ed un terzo di una fabbrica di cotone. Nella provincia di Cuneo, dal 7 di Luglio al 31 di Agosto ne avvennero sessanta “numero questo, dice il Vice-governatore in una sua circolare, che è senza alcun confronto immensamente maggiore di quello che non siasi mai prima d’ora in qualsivoglia altra stagione avvertito ».
4. Prima dell’incendio i Torinesi avevano corso un altro pericolo, di venire cioè conquistati dai Napoletani e di vedere la bandiera di Francesco II sventolare sulla torre del palazzo Madama. In Italia, o meglio negli Stati sardi; esiste proprio la tratta dei Napoletani. Si arrestano da Cialdini soldati napoletani in gran quantità, si stipano ne’bastimenti peggio che non si farebbe degli animali, e poi si mandano in Genova. Trovandomi testè in quella città ho dovuto assistere ad uno di que’spettacoli che lacerano l’anima. Ho visto giungere bastimenti carichi di quegli infelici, laceri, affamati, piangenti; e sbarcati vennero distesi sulla pubblica strada come cosa da mercato. Spettacolo doloroso che si rinnova ogni giorno in Via Assarotti, dove è un deposito di questi sventurati. Alcune centinaia ne furono mandati e chiusi nelle carceri di Fenestrelle, e qui la malesuada fames et turpis egestas li indusse a cospirare; e se non si riusciva in tempo a sventare la congiura, essi impadronivansi del forte dì Fenestrelle, e poi unendosi con migliaia d’altri napoletani incorporali nell’esercito, piombavano su Torino. Un otto mila di questi antichi soldati Napoletani vennero concentrati nel campo di S. Maurizio, ma il Governo li considera come nemici, e dice l’Opinione che « a tutela della sicurezza pubblica sia dei dintorni, sia del campo, furono inviati a San Maurizio due battaglioni di fanteria ». Ma si sa che inoltre vi stanno a guardia qualche batteria di cannoni , alcuni squadroni di cavalleria, e più battaglioni di bersaglieri; tanto ne hanno paura! E cotestoro, così guardali e malmenati, pensate con che valore vorranno poi combattere pel Piemonte! Eccovi in che modo si fa l’Italia!