Alla Corte di Vittorio Emanuele II
L’ammirazione per la bellissima contessa sposata a 19 anni. Pedina del ascino nella scacchiera di Cavour : Riuscire con qualunque mezzo”
II-
Dopo il sacrificio dellaa costola di Adamo c’è una sola maniera di entrar nella vita. Ma la contessa di Castiglione ha creato intorno atta sua prima naturale vicenda un garbuglio tale da far dannare l’anima a chi intenda scrivere, occupandosi di lei, con precisione di dati e di date.
E’ nata, scrive ella stessa, il 23 marzo del 1843 “au moment où une étoile filante passait sur mon berceau”. E nacque « en secret », scrive ancora, « je ne sais où, ni trop de qui».. Concediamole la pennellata romantica della stella cadente sulla sua culla. Ma dobbiamo rettificare la data: Virginia Oldoini è nata il 23 marzo dell’anno 1835. Ove si accettasse la data da lei preferita, l’anno 1843, si sarebbe costretti ad ammettere che andò sposa al conte Francesco Vèrasis di Castiglione a undici anni, dacché quel matrimonio fu celebrato l’anno 1854, e che dodicenne esplicò presso la Corte di Napoleone III il sottile mandato diplomatico di seduttrice plenipotenziaria affidatole dal Cavour.
Le origini
Nacque a Firenze, in casa del nonno materno, avvocato Lamporecohi, e non nella residenza famigliare degli Oldoini a La Spezia. Stabilito il “quando”, ed accertato il “dove”, proseguiamo con cautela. Le buone giornate Si vedono dal mattino, ed a quella prima bugiala sul « quando » altre ne seguono in copia. Nata da chi? Fedeli alla massima del diritto romano per la quale si vuole il padre sia colui che le giuste nozze designano tale, noi scriviamo onestamente che il padre fu il marchese Filippo Oldoini, primo deputato di La Spezia al parlamento piemontese e, più tardi, ambasciatore d’Italia a Lisbona. Questo scriviamo noi.Ma dalla penna disinvoltamente corrente di Virginia Oldoini fluirono a volta a volta ben altre ipotesi, delle quali tuttavia ella ebbe a sdegnarsi tacciandole di calunniose quand’erse venivano da altri riprese. Figlia di Napoleone? Di Giuseppe Poniatovoski? (Mars! Enfin c’est mon mois, celuì de Joseph, dernier roi de Pologne, mon pére!, le seul qui m’aima… » etc.) O piuttosto di un Savoia o del cardinale Antonelli? Ripetiamo: per noi è figlia del marchese Filippo Oldoini, marito della madre. Che se poi dell’onore di sua madre Virginia tanto poco fu gelosa, ebbene, Dio la perdoni; ma su tali sentieri di insinuazioni, non originate dalla minima documentazione, non ci sentiamo di seguirla.
L’avvocato Lamporecchi, giureconsulto fiorentino di buon nome, nonno della Virginia Oldoini, aveva avuto cura degli interessi del principe Luigi Napoleone, poi Napoleone III. I Napoleonidi domiciliati a Firenze abitavano un piano del suo palazzo, e ne frequentavano il salotto, nel quale si incontravano cogli Holland, coi Poniatowski, col conte Anatole Demidoff, e colla più eletta società fiorentina e cosmopolitica del tempo.
Cronaca di una mezz’oretta perduta di codesto salotto nel quale; vezzeggiata, adulata, carezzata, la bella bamboccetta, Nicchia, si siede sulle ginocchia di un Napoleonide o di un Demidoff (dialogo sommesso a due voci, maschile l’una, femminile l’altra):” — Qual’è la riserva di caccia meglio difesa?
-Il terreno coniugale.
— Qual’è la riserva di caccia in cui i bracconieri si trovano meglio?
-Il terreno coniugale..(sospirato)
Questa sera, alle undici. Mio marito sarà al circolo.
In istrada, in quell’attimo, passa un corteo che reca in processione la Vergine. Dal salotto tutti si precipitano al balcone e rovesciano fiori a ceste sul corteo. Nicchia, la bambocoetta di tre anni, coi fiori scaraventa in strada anche il canestro. Luigi Napoleone le afferra le manine e gliele tiene prigioniere per evitarle di combinare altri guai. Nicchia si divincola e dice: — Dove vai questa sera alle undici ? — Si ride.
Gli anni trascorrono. Il salotto Oldoini, a La Spezia, è altrimenti frequentato da quello che non lo sia il salotto Lamporecchi di Firenze. Vi bazzicano troppo spesso giovani ufficiali di marina dagli appetiti violenti. Nicchia, diciottenne, è corazzata contro l’amore dal suo narcisismo, infatuata com’è della propria bellezza, che formerà il culto vero della sua vita. Comunque, la contessa Oldoini pensa che uno scivolone non ha miglior terreno di un salotto ove non si calzano che scarpini da ballo. Nicchia deve accasarsi presto, e soprattutto convenientemente. Gli Holland l’anno invitata a trascorrere presso di loro a Londra la season. E Nicchia parte alla volta di Londra.
Fulminea notorietà
Storicamente ritroviamo Virginicchia Oldoini, diciannovenne, in casa dei duchi di Inverness, l’anno 1854.
A quel ricevimento Emanuele d’Azeglio presenta all’ambasciatore di Francia, conte Walewski, il conte Francesco Verasis di Castiglione, ventiseienne, vedovo, proprietario in Italia, a Costigliele d’Asti, di terre e castelli, e beneviso alla corte di Vittorio Emanuele II. Il Walewski e il D’Azeglio corteggiano quella sera Nicchia a tutto spiano. Il Castiglione si limita a chiederla in isposa.
Non sarà un matrimonio d’amore. Nicchia è ambiziosa e valuta la propria bellezza valga una corona. Ma la madre la fa ragionare ed aUa casa de La Spezia giungono i doni. La madre di Nicchia crede alla iettatura, e getta in mare due di quei doni, un anello con zaffiri e una collana di perle che sono stati inviati da sue vecchie conoscenze.
La giovane coppia entrò nel bel mondo su un cocchio dorato, fastosamente. Dopo pochi mesi dalle nozze il conte di Castiglione si avviava alla rovina svegliandosi ogni mattino con felice incoscienza e col sorriso sulle labbra nel letto nuziale di porpora e d’oro. Fu la vita splendida in un palazzo storico di Venezia, in villa a Pallanza, a Stresa, all’Isola Bella. Infine, nella cornice sfarzosa creata dal marito, la bella donna viene presentata alla corte di Vittotio Emanuele II.
L’ammirazione suscitata dalla contessa Nicchia di Castiglione varca ormai i limiti del descrivibile. Il Re, galantuomo con baffi da brigante, è l’ultimo che pensi a celare la sua, fulminea. Il conte di Castiglione entra nell’ombra, la contessa di Castiglione balza nella luce. La prime lettere da Vittorio Emanuele II a lei indirizzate in quel periodo, ora soltanto ritrovate, com’ebbi a scrivere in un precedente articolo, tracciano il quadro vivo della resa a discrezione della bella donna.
Cavour, in quell’ epoca presidente del consiglio dei ministri, e parente, alla lontana, della bella creatura, andava vezzeggiandola a modo suo, soprattutto studiandola a fondo, a scrutarne il valore intrinseco, per quanto si riferiva all’intelligenza, e ricercando le causa di quel caldo successo e le armi dì cui la donna disponeva e che era eventualmente disposta ad usare.
Patto d’amicizia Quel suo portamento sovrano, che le derivava indubbiamente dalla convinzione delta insuperabilità della sua bellezza, quella sua conoscenza perfetta delle lingue francese ed inglese, l’eleganza personalissima del suo abbigliamento, il gusto e l’educazione raffinata, quell’accento toscano che tanto spicco dava alle sue parole, un che di spregiudicato che le derivava dagli ambienti cosmopolitici in cui era cresciuta, e la vanità, evidente nella bella donna quanto le sue occulte ambizioni, lo indussero a riflettere, durante le festicciole di corte, quali assolo e quali duetti si potevano impostare, disponendo di siffatto elemento, in quella grandiosa orchestrazione ch’egli aveva ormai fermamente in animo di dirigere.
Si rese conto che una situazione come quella creatasi, date le premure non celate del Re per la Castiglione, se protratta, non avrebbe potuto che originare noie per tutti, nella ristretta cerchia della corte torinese, nella quale a lungo andare le invidie sarebbero esplose. Utilissima altrove, la bella donna avrebbe potuto, se trattenuta alla corte di Torino, riuscire oltremodo dannosa a quella trama di fili sottili, ma di grandiosità politica, cui l’abilissimo uomo di Stato aveva posto mano con un realismo pazientemente audace.
— Napoleone III è un uomo molto Interessante, sapete, cara cugina? — le disse a bruciapelo una sera nel vano di una finestra. La Castiglione guardò Cavour dirittamente negli occhi. Ma quelli, rimasero immoti e freddi dietro le lenti terse.
— Credo,— riprese il Cavour — che il Villamarina sarebbe felice di presentarvi alle Tulléries, semmai decideste di soggiornare qualche tempo a Parigi.
—L’ostracismo, dunque? Come a Pericle? — chiese ridendo la Castiglione.
— Ostracismo? Ma no, un patto di ottima amicizia, senza segreti, anche se segreta, vicini o lontani.» A proposito, ricordo ora che mi avevate accennato al desiderio di vostro fratello di ottenere un incarico a Pietroburgo. Venite a riparlarmene domani al ministero.
— Grazie, caro cugino… ma, a Parigi che dovrei fare?
— Oh, nulla… divertirvi e riuscire. Con qualunque mezzo — continuò il Cavour guardando con distacco ma con fredda insistenza l’ampia scollatura della bella donna — con qualungue mezzo, ma riuscire. Ecco tutto. A domani, dunque.
E l’indomani una nuova pedina entrava nella scacchiera di Cavour.
Rupignié (continua)
StampaSera 27/03/1951 – numero 73 pagina 4
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