The Queen of Hearts. Virginia Oldoini, contessa di Castiglione
Il taccuino proibito della contessa
Una giovane studiosa torinese entra nel mito di Virginia di Castiglione, spregiudicata amante di re e imperatori Sconvolse la moda e la morale: liberò la gonna dalle gabbie e catalogò su un libretto tutte le sue conquiste maschili. Virginia Verasis Asinari Oldoini nacque a Firenze il 23 marzo 1837. Suo padre, il marchese Filippo Oldoini, fu deputato al primo Parlamento italiano e ambasciatore a Lisbona.
Innamorata di sé e di nessun altro, offrì il suo fascino al potere. Voleva essere «la più bella donna» del suo secolo, «Regina di cuori», novella «Elena di Troia». Spregiudicata, narcisista, s’illuse di sedurre l’Europa, manovrare la storia, in un gioco più grande di lei. In soli due anni bruciò l’intera sua vita. Morì sola e folle.
Ma riuscì a sconfiggere il tempo. Ancora oggi è ricordata come un’icona di «polposa» e smagliante bellezza: alta, di candida carnagione, «corpo da Venere», con capelli dorati, occhi azzurri venati di viola, piccoli piedi e mani affusolate. E’ il ritratto di Virginia, Elisabetta, Luisa, Carlotta, Antonietta, Teresa, Maria dei Marchesi Oldoini di La Spezia, passata alla storia come la «Contessa di Castiglione», nata a Firenze il 22 marzo 1837.
A 19 anni, nel 1856, Cavour la inviò a Parigi «per civettare, o se d’uopo, sedurre l’Imperatore Napoleone III», per allearlo alla causa italiana. Lei si gloriò di aver così «fatto l’Italia e salvato il Papato». Ma servì soprattutto la sua ambizione, in un’avventura che nel 1857 ebbe fine, per consegnarla a una disperata decadenza.
Lo certifica la documentata ricerca condotta dalla studiosa torinese Sara Anlero, allieva del professor Umberto Levra, Presidente del Museo del Risorgimento. Indaga la vita di una donna che osò farsi «imprenditrice del proprio mito, a ogni costo». Rubò bellezza e cinismo alla madre, Isabella Lamporecchi. Non ebbe una felice infanzia. Il padre Filippo la trascurava. Fu il nonno Ranieri che la educò. La chiamava «Verginicchia». Lei preferì «Nicchia». Così la vezzeggiò anche Cavour. Era invece «Nini» per Vittorio Emanuele II, che lei sedusse nel 1855. Mentre Napoleone III a letto la invocava come «Minà».
Anlero ha accertato che le piacquero i maschi fin da bambina. Un giorno il padre le trovò bigliettini sconvenienti e la portò in convento. Lei per una settimana ostentò una fede fanatica, fino a insospettire le monache, che la rimandarono a casa. Colta, parlava inglese, francese e tedesco, si preparò a nozze vantaggiose. Nel 1854 sposò il conte Francesco Varasis di Castiglione, che la portò a corte a Torino. Nel 1855 Virginia gli diede un figlio, Giorgio, che poi trascurò, per curare la relazione con Vittorio Emanuele II. «Con Cavour assicura Anlero – non ne ebbe alcuna, le metteva soggezione». Al bel Costantino Nigra disse di sì, come a tre principi Doria che sedusse insieme.
Cavour sapeva chi mandava a Napoleone. A Parigi lei civettò anche con il banchiere Rothschild e con il direttore del Louvre. Forse ebbe anche altri. Le conquiste le catalogava su un taccuino, con note in codice: «E» stava per «carezze», «B» per «bacio», «BX» per «molto più di un bacio», «F» per «rapporto completo».
Amava apparire, spendere. A Parigi liberò le gonne da gabbie, vestì attillato, con spacchi, biancheria intima nera, giarrettiere gioiello, segnate da frasi licenziose. Sceglieva abiti color ametista, lavanda, viola vescovo, con fiori di glicine e margherite. Il colore preferito era «rosso Magenta». Una volta per andare a un ballo si rotolò nuda nella colla e poi fra le piume. Per le altre donne era un «monumento di siccità ed egoismo». Virginia non se ne curava. Ma il successo finì il 6 aprile 1857, quando si sventò in casa sua un attentato contro Napoleone, forse progettato per screditarla.
Cadde in disgrazia, ma lei rilanciò. Fra il 1861 e il 1867 si offrì all’obiettivo dei fotografi alla moda Mayer e Pierson. La ritrassero a letto, o in pose teatrali, con le gambe nude fino al ginocchio. Uno scatto fu esposto all’Expò del 1867. Paul Baudry la dipinse come la «Maya Desnuda» di Goya. «Ma lei – dice Anlero – fu invidiosa della propria immagine e la distrusse». L’epilogo fu triste, in una casa dove velò ogni specchio, dove morì sola, ipocondriaca, autoreclusa per paura di fantomatiche aggressioni. Spirò a Parigi il 28 novembre 1899. Fino all’ultimo s’illuse che le dedicassero un padiglione all’imminente Expò del Novecento. Ebbe dieci persone al funerale. Riposa al cimitero Père Lachaise.
The Queen of Hearts. Virginia Oldoini, contessa di Castiglione, fotografata da Pierre-Louise Pierson
(Photo via Vintage Ephemera)
La Castiglione
The Queen on Hearts, by Pierre-Louis Pierson, 1861-63
Virginia Oldoini (1837–1899), born to an aristocratic family from La Spezia, entered into an arranged and loveless marriage at age seventeen to Count Francesco Verasis di Castiglione. Widely considered to be the most beautiful woman of her day, the countess was sent to Paris in 1856 to bolster the interest of Napoleon III in the cause of Italian unification. She was instructed by her cousin, the minister Camillo Cavour, to “succeed by whatever means you wish—but succeed!” She caused a sensation at the French court and quickly—if briefly—became the emperor’s mistress. Separated from the husband she had bankrupted by her extravagances, she retreated to Italy in self-imposed exile in 1858. She returned to Paris in 1861, however, and once more became a glamorous and influential fixture of Parisian society, forming numerous liaisons with notable aristocrats, financiers, and politicians, while cultivating an image of a mysterious femme fatale.
In July 1856, the countess made her first visit to the studio of Mayer & Pierson, one of the most sought-after portrait studios of the Second Empire. Her meeting with Pierre-Louis Pierson led to a collaboration that would produce more than 400 portraits concentrated into three distinct periods—her triumphal entry into French society, 1856–57; her reentry into Parisian life, from 1861 to 1867; and toward the end of her life, from 1893 to 1895.
Fascinated by her own beauty, the countess would attempt to capture all its facets and re-create for the camera the defining moments of her life. Far from being merely a passive subject, it was she who decided the expressive content of the images and assumed the art director’s role, even to the point of choosing the camera angle. She also gave precise directions on the enlargement and repainting of her images in order to transform the simple photographic documents into imaginary visions—taking up the paintbrush herself at times. Her painted photographs are among the most beautiful examples of the genre.
While many of the portraits record the countess’ triumphant moments in Parisian society, wearing the extravagant gowns and costumes in which she appeared at soirées and masked balls, in others she assumes roles drawn from the theater, opera, literature, and her own imagination. Functioning as a means of self-advertisement as well as self-expression, they show the countess, by turns, as a mysterious seductress, a virginal innocent, and a charming coquette. Provided with titles of her own choosing, and often elaborately painted under her direction, these images were frequently sent to lovers and admirers as tokens of her favor. Unique in the annals of nineteenth-century photography, these works have been seen as forerunners to the self-portrait photography of later artists such as Claude Cahun, Pierre Molinier, and Cindy Sherman.
Pierson’s earliest photograph of the countess, The Black Dress (Martini di Cigala Collection, San Giusto a Rentennano, Siena), dates from 1856, a few months after her arrival in Paris, and shows her demurely posed before the camera, wearing a black velvet evening gown with her hair in ringlets. Soon, however, the images began to take on the elements of fantasy and personal display that would become hallmarks of her collaboration with Pierson. In a photograph of 1856–57, for example, she appears pale and solemn in the white garb of a nun. In The Queen of Hearts (1861–63; Bibliothèque Nationale de France, Paris), re-creating her appearance at a masked ball, she is a personification of love in a voluminous gown and veil festooned with roses and hearts. In The Queen of Etruria (1863; private collection), also reprising one of her costumes for a ball, she is an exotic and imperious ruler from antiquity.
After the fall of the Second Empire in 1870, the countess lived an increasingly reclusive and eccentric life in an apartment on the Place Vendôme, venturing out only at night, shrouded in veils. Toward the end of her life, following a hiatus of some twenty-five years, the Countess di Castiglione resumed her sessions with Pierson. The pictures reveal her mental instability and loss of all critical sense. Conscious of the earlier work she had accomplished with Pierson, she dreamed of showing their oeuvre at the Exposition Universelle of 1900 in a retrospective titled “The Most Beautiful Woman of the Century.” This was not to be. The Countess di Castiglione died on November 28, 1899, at the age of sixty-two.
Following her death, her reputation as a woman of mystery and “divine beauty” endured, thanks in large part to the legacy of her photographic oeuvre. Among the aesthetes of fin-de-siècle Paris, her life was the subject of admiring and often obsessive curiosity. Prominent among them was Robert de Montesquiou, who spent thirteen years writing her biography, La Divine Comtesse (published in 1913), and who assembled a large collection of her photographs, 275 of which were acquired by the Metropolitan Museum in 1975. Her life has also been the subject of numerous subsequent biographies and a 1955 film, La Castiglione, starring Yvonne De Carlo.
Malcolm Daniel
Department of Photographs, The Metropolitan Museum of Art
Source: The Countess da Castiglione | Thematic Essay | Heilbrunn Timeline of Art History | The Metropolitan Museum of Art