La morte di Anita Garibaldi

COP 80 Giuseppe_Garibaldi_per_G_S_Marchese-2RICERCA EFFETTUATA SU “GOOGLE LIBRI” DAL LIBRO “GIUSEPPE GARIBALDI ” di G.S.MARCHESE TORINO-1860
Da pag.74 A 85

XIV -Uscirono, da San Marino in piccolo stuolo; tutti fermi, tutti risoluti, tutti consecrati a vincere o a morire pel suolo natio; ma tutti però portavano scritta in fronte piuttosto la certezza della morte che quella della vittoria. Eppure affrontavano impavidi questa triste certezza.
Annita, che avea voluto dividere i pericoli e le fatiche del marito nell’assedio di Roma e nelsuo tentativo sulla Toscana, non lo volle abbandonare -in questa più che le altre, rischiosissima spedizione. Parea anzi che un fatale presentimento la spingesse a maggiore espansione di cuore verso di lui, ed abbandonato il suo consueto fare gaio e le corse solite or qua or là nelle file della legione a rimuovere i prostrati, a sollevare i sconfortati, parea più concentrata in se medesima, più sollecita verso lo sposo, più languidamente carezzevole.
Essa soffriva d’assai, ché gli stenti e le privazioni ne aveano abbattute le forze ed il cammino le riusciva disagevole oltremodo, nello stato di gravidanza in cui si trovava.
Eppure stava innanzi a tutti, accanto al suo Giuseppe, a lui solo intenta, quasi sentisse una secreta voce nel cuore a dirle ch’erano quelli gli ultimi giorni chevivrebbe con lui.
Il drappello pervenne a Cesenatico nella notte del 1° al 2 d’agosto. Un po’ per forza un po’ colle buone, si fecero consentire i pescatori e barcaiuoli di quel lido a dar quante navicelle erano necessarie el trasporto a Venezia. Tredici barcaccie bastarono all’uopo.
Quando que’militi si trovarono adagiati nelle barche, separati da’ loro persecutori da un bel tratto di mare, trasportati da un venticello che spirava propizio, un grido di gioia uscì da tutti i petti. Già sognavano Venezia, e pareva lor proprio di vedere apparire sul lontano orizzonte la magica città.
Garibaldi, che si trovava sul suo elemento favorito dopo tante lotte sostenute in terra, dovea pur esso sentirsi soddisfatto; ma pur stava all’erta e pareva scandagliar collo sguardo le nebbie circostanti ed ascoltar con inquietudine la voce di lontani pericoli.
Annita era mutata nell’aspetto, e questo faceà palpitare il cuore del condottiero per un fatal presentimento. Era mutata d’aspetto’, in vero, e nelo sguardo e nel sorriso che rivolgeva allo sposo si leggeva chiara l’espressione d’una rassegnazione sublime a dolorosi destini.
Senza essere su perstizioso, Garibaldi era colpito eome da un funebre avvertimento quando contemplava in silenzio il pallore che avea invaso il fronte d’Annita, nonchè l’insolita espressione de’suoi occhi, e notava con amarezza l’attitudine prostrata di tutta la sua persona.
Ahi! che non erano fallaci quelle fatali e misteriose voci che parlavano di mali venturi!
La squadriglia de’garibaldini fu scorta in sul mattino dai legni austriaci che incrociavano tra i due porti di Magnavacca e di Volano.
I barcaiuoli, impauriti alla vista del temuto stendardo, non intesero più voce di comando, e datisi alla fuga alla ventura, senza ordine e senza pensiero, trassero co’loro movimenti insani in preda al nemico una gran parte di que’ miseri .
Garibaldi fu il solo che non si, smarrì all’improvvisa apparizione; ma preso il comando della barca la spinse con prontezza in certe lagune di stretta imboccatura ove i tedeschi noi potevano inseguire. – Ma la gragnuola delle palle che venia dalle navi cadeva pur fitta nella laguna, onde fu forza al generale d’uscir dalla barca ed abbandonarla per nascondersi fra i giunchi, le alghe e le altre erbe palustri della sponda e cercare dietro ad esse di fuggire al più presto, mentre già i Tedeschi erano scesi ne’palischermi onde appressarsi più agevolmente alla terraferma. .
Il terreno in cui si trovavano Garibaldi la moglie e quattro o cinque de’suoi (a questo si rimaneva omai ridotta, la legione) era allagato per modo che a gran faitica si potea talora tenere il capo fuori dell’acqua. Annita avea le vesti tutte inzuppate e pesanti; e s’affondavaa di tratto in tratto in quella melmaccia, per modo che era mestieri che dúe uomini ne la traessero a forza e la portassero, sollevata in aria per parecchi passi, perchè non rimanesse annegata.
La palude, mandava un fetore ammorbante, onde la povera donna che nell’angoscioso cammino apriva i polmoni, anelanti di vita novella, assorbiva i miasmí; e più cercava di respirare e vieppiù se le infondevano nel petto i germi di morte.

ANITA
Al Casone della Chiavica di Mezzo in cui prima s’imbattè la mesta comitiva, Annita s’ebbe un letticciuolo ove potè ripasare per un istante e far asciugar le vesti. Ma la febbre maligna già s’era abbarbicata come l’edera parassita che strozza la più rigogliosa pianta, al corpo dell’infelice e se ne dichiaravano di minuto in minutopiù manifeste le traccie.
Quando convenne porsi di nuovo in viaggio, per non cadere in mano de’ Tedeschi, la poveretta era fuor de’sensi.
I fuggiaschi s’erano procacciato un biroccino, e sulla rete di questo avean posto un materasso sul quale coricarono Annita, avvolta in uno sciallo, imperocchè il suo corpicciuolo era tutto irrigidito dal freddo febbrile, quantunque il sole irraggiasse cuocente ogni cosa all’intorno.

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Il marito andava presso al funebre convoglio e tenea un ombrello aperto sul capo dell’infelice perchè troppo non se le infuocasse il cervello.
Si procedeva innanzi cauti; arrestandosi di tratto in tratto, prendendo talvolta alcuna scorciatoia, talvolta seguendo sentieri sassosi; e quando le pattuglie, imperiali si facean troppo vicine, lasciando scorciatoie e sentieri per attraversare i campi.
Si giunse infine ad una terra del marchese Guiccioli, nella parroochia delle Mandriole, ad un dodici miglia di distanza da Ravenna. Là, siccome Annita parea presso a dar l’ultimo respiro, Garibaldi chiese l’ospitazio al fattore, che l’accordò con premura.
Annita, sempre in deliquio, fu trasportata, sopra un rustico letticciuolo. Un medico si trovava lì presso. Fu chiamato.

XV.
Annita, pallida, scarmigliata, stavasi abbandonata sul letticciuolo, ela sua testa, ancor bella in tanto squallore, parea proprio inchiodata sull’origliere dalla gelida mano della morte.
Di tratto in tratto essa apriva quel suoi grandi occhi neri e gli volgeva attorno e parea cercare pietosamente chi la soccorresse, con quell’affanno,intenso che è naturale a chi sta per morire; e di tratto in tratto ancora, mandava fuori dal petto un sospirone e gli venia profferito penosamente e flebilmente un: Santa. Vergen do Carmel! un o Santa Cruz!
Stava ritto in piedi d’accanto il marito, in preda ad acerbissima angoscia, ed or guardava pietosamente la dolce compagna del viver suo, ed or volgeva gli occhi attorno ed or gli alzava al cielo, quasi invocando, nelle miserie in cui si trovava, un aiuto sopranaturale.
Gli astanti, scossi pur essi dal tremendo caso, erano poco discosti dal letto, mestissimi nell’aspetto ed in preda ad affannoso silenzio. , .
Il medico cercava col maggiore zelo ad apprestare i soccorsi dell’arte, ma non era così atto al dissimulare, che non gli si mostrasse in volto la poca fiducia della ..guarigione.
Questa fiducia non era in alcuno. L’alito dell’infelice s’andava abbreviando di minuto in minuto e non uscivale dal petto che con istento sempre maggiore e con tale un rantolio penoso, che era un supplizio atroce l’udirlo. Le membra si irrigidirono; provossi ancora a parlare e riaprì gli occhi un istante (ultima prepotente aspirazione dell’animo verso la luce) e gli racchiuse tosto, vinta nell’estrema lotta. Piegò alcun poco il capo e rese l’anima a Dio.
Il medico, che contava i battiti del polso, ripiegò’ con rispettosa cura sul petto la mano del cadavere e poscia sollevò lo sguardo, esitante ed incerto; ad osservar Garibaldi. Questi avea compresi quei moti cauti e pieni di funebre pietà; ne avea compresa la fatal significazione, ed un grido di dolore volea prorompergli dal petto, ma lo contenea lo spasimo che gli stringea convulsamente la gola. Si gettò ginocchioni accanto al capezzale, ed allungato il collo sul viso della morta; impresse un disperato bacio sulle sue gelide labbra.
I compagni trassero a forza dal tugurio il loro duce per tema che attentasse alla propria vita. Quando ebbe riavuta calma sufficiente per pensare a’ proprii casi, Garibaldi chiese di rivedere ancora una volta la spoglia mortale di colei che se l’era fatta compagna. Entrò nella rustica cameretta, s’appressò al letticciuolo e contemplò un’ultima volta, colla cupa voluttà della disperazione, il volto pallido d’Annita.

Poscia tolse al cadavere l’anello nuziale, che offerse all’ospite generoso, per guiderdone della cordiale accoglienza, e diede gli ordini opportuni perchè ad Annita fossero fatti solenni e cristiani funerali.
Ma questi ordini rimasero vani, che giungeano da tutte parti e ad ogni tratto avvisi che squadriglie d’imperiali ronzavano là d’intorno; ne mancò chi avvertìa Garibaldi che, ove non avesse voluto aver cura della propria salvezza, gli era mestieri averla pei generosi che s’erano affidati alla sua sorte. Per altro verso, il campagnuolo che gli avea dato albergo lo scongiurava a partirsi per non compromettere gli ospiti, e a lasciare a lui l’incarico di sotterrare, di nascosto, la povera Annita.
Il cielo, che serbava il difensore di Roma ad altre imprese, gli diè la forza di rassegnarsi alla fuga. Ei strinse la mano al buon campagnuolo, e senza,profferir parola gli raccomandò in una occhiataa supplichevole il tesoro che era costretto ad abbandonargli.

La piccola schiera di fuggitivi si partì dalla capanna in preda ad una profonda costernazione.
Garibaldi precedeva i suoi assorto in mestissimi pensieri. Camminarono alcun poco sicuri e poi dovettero appiattarsi nelle macchie per isfuggire all’occhio delle pattuglie austriache. Quando furono giunti, dopo parecchie ore di cammino, in vetta ad un alto monte, Garibaldi, che non s’era mai voltato indietro sino a quel punto, s’arrestò ad un tratto e (quasi cedendo ad una forza invincibile, con cui avea lottato sin allora) spinse lo sguardo in quel luogo della sottostante pianura in cui era il casolare del campagnuolo.
E i suoi occhi s’affissero per un istante su quel casolare lontano, che, velato dai vapori della sera, quasi si perdea nell’estremo orizzonte, e sulle pupille gli spuntò una lagrima!

XVI.
Colla dispersione della legione de’garibaldini, col novello volontario esilio del loro capitano e colla resa di Venezia, caduta poco tempo di poi in poter degli austriaci, l’Italia entrò in una fase d’apparente rassegnazione.
Rassegnazione vera non era quella, ma ne avea il sembiante. Garibaldi, che non volea nemmeno portare la maschera di questa virtù, che dobbiam credere gli sia piuttosto antipatica, partì alla volta dell’America. […OMISSIS…]