Pontelandolfo: Alla scoperta delle antiche peculiarità del territorio
Alcuni giorni fa ho avuto modo di fare una scoperta eccezionale alla località Costa del Resicco, accompagnato in una esplorazione di straordinaria valenza storico ambientale naturalistica dall’amico Mario Mancini, discendente della leggendaria famiglia dei Cianfrone, frequentatore e conoscitore esperto di ogni più remoto anfratto del territorio di Pontelandolfo.
Alle spalle dell’insediamento di Marziello dalla caratteristica architettura tradizionale, nei pressi del crocevia di mulattiere di collegamento pedestre tra le infinite località montane e che permetteva il movimento migratorio degli armenti verso gli alpeggi, velato dal risveglio primaverile della vegetazione, riposa il torpore dell’oblio un vero e proprio villaggio rurale primordiale di casèlle insistente sulla crosta rocciosa di un costone, che dalla sua altezza scopre l’intero territorio di Pontelandolfo e dove si apre un panorama mozzafiato dei paesi del Sannio. Il villaggio fantasma si compone di decine e decine di abitacoli di pietra di diverse dimensioni e caratteristiche architettoniche rimasti immobili nel tempo, che hanno resistito al lento inesorabile scorrere dei secoli più o meno integri. Uno scenario inondato dalla magia di fiaba da mille e una notte.
Immersi nel silenzio sorgono dal terreno antichissimi abitacoli, capaci di accogliere una singola persona o agglomerati di casèlle, dotati di pertinenze murarie nelle quali sono state ricavate nicchie e piccole finestre, di dimensioni tali da poter ospitare interi nuclei familiari, che, probabilmente, fungevano da dimora fissa per i pastori stanziali e le proprie famiglie.
Alcune costruzioni, invece, hanno la caratteristica di essere equipaggiate alla sommità delle mura perimetrali solo di un prolungamento di tegoloni in pietra, una sorta di tettoia, per il riparo dalla pioggia.
Altri manufatti si presentano con muri perimetrali disposti per tre lati, il quarto aperto, senza alcun tipo di copertura, alla cui sommità, secondo la memoria storica degli anziani abitanti del luogo, vi si appoggiava, in epoche successive, il tipico grande ombrello del pastore a protezione dagli eventi atmosferici.
Tantissime altre sono le casèlle di cui esistono solo le primitive tracce sul terreno. Una base rotondeggiante di solide pietre ne è la inconfutabile testimonianza, il segno immortale del tempo che fu.
La casèlla, dunque, che caratterizza il territorio di Pontelandolfo a differenza della totale assenza nei paesi limitrofi, è una sorta di baita, una capanna di pietre faldate connesse a secco mediante graduale rastremazione del diametro della colonna con pietre squadrate fino al collarino della copertura. Quasi sempre ubicata su terreni demaniali, veniva utilizzata come rifugio per i guardiani intenti alla pastura degli armenti in montagna. La storia ci dice che l’ casèll’, nel corso degli anni roventi legati all’Unità d’Italia, vennero prese in prestito dai partigiani insorgenti, che se ne servirono come nascondiglio e postazione di avvistamento per prevenire gli attacchi della nemica Guardia Nazionale.
Adagiate lungo le falde dei crinali montuosi di Piano Feletta, Monte Calvello, Acqua del Monte o sui pendii assolati di ripidi versanti montuosi nelle immediate vicinanze degli antichi percorsi della transumanza alle località Laganelle, Costa del Resicco, Marziello e Cogli, attraversati dai montanari spesso con pesanti carichi sulle spalle per raggiungere ogni più piccolo e lontano angolo della montagna, l’ casèll’, che hanno sfidato il trascorre dei secoli, le intemperie e l’abbandono, e, nonostante l’incuria e l’oblio, miracolosamente – moltissime di esse – si presentano agli occhi del visitatore ancora in tutto il loro antico splendore in segno di fierezza, a dimostrazione della saldezza dell’impianto.
L’abitacolo, dotato di un’apertura frontale di ingresso sempre esposta a levante, parte da terra su una base solida e pietra su pietra faldata a secco senza l’aiuto della calce, del cemento o altro materiale collante, va fino al tetto. Un lavoro di intreccio che richiedeva una forte dose di capacità tecnica, soprattutto nel completare la volta curva senza alcun sostegno.
Terminata la casèlla sulla volta a botte venivano posate altre pietre a protezione delle prime e a lavori ultimati c’era chi copriva il tutto con una poltiglia di strami di argilla o pozzolana bagnata e lavorata con la paglia sulla quale scivolava l’acqua piovana.
L’unico attrezzo utilizzato per questo tipo di lavoro era il martello per adattare la pietra prima di posarla sul muro e darle una faccia presentabile, per il resto il pastore costruttore procedeva ad occhio per via di pratica.
Gabriele Palladino