Ricerca effettuata su “Nuova enciclopedia popolare italiana” 1868-69 -società unione tipografico-editoriale TO-NA- 1869
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MOLISE (PROVINCIA Dl) (stor.) – Sull’origine delle nuove città e terre sorte nella detta provincia, e sulle colonie albanesi e slave stabilitesi nella medesima, riceviamo un prezioso scrittarello del signor Luigi Alberto Trotta, da Toro, che volentieri pubblichiamo. Premettiamo che nell’assetto dell’odierno reame d’Italia, la provincia (con Campobasso capoluogo) spartesi in tre circondarii, Campobasso, Isernia, Larino; in 30 mandamenti e 134 comuni, con popolazione di 346.007 abitanti.
L’E. ha poche parole negli articolini Albanesi ed Italo-greci; per lo che l’articolo presenta còlma una grave lacuna.
Tra il finire de’ Longobardi e il cominciamento de’ Normanni sorsero molte borgate. La Cronica Vultunese dice che i Normanni incominciarono ad edificare castella in vece di tugurii, a’ quali dettero i nomi secondo i vocaboli dei luoghi: Castella ex villis aedificare coeperunt, quibus ex locorum vocabulis nomina indiderunt.
Allora sorsero le acque, le case, i casali, i campi, i castri, i castelli, i castellini, i castellucci, le civite, i colli, le fosse, le macchie, i monti, le pietre, i Penti, le ripe, i sassi, e quindi gli odierni comuni di Acquaviva (Collecroce e d’isernia), Campobasso, Campochiaro, Campodipietra, Campolattaro, Campolieto, Campomarino, Casacalenda, Casalcipriano, Casalduni, Castropignano, Castelbottaccio, Casteldelgiudice, Castelpagano, Castelpetroso, Castelpizzuto, Castelvetere, Castellino, Castelluccio (Acquaborrana e in Verrino), Celtellone, Cerce (Maggiore e Piccola) (Quercus Major et Minor), Civita (Nova, Vecchia, Superiore e Campomarano), Colle, Colledanchise, Colletorto, Fossaceca, Guardialfiera, Guardiaregia, Guglionesi (Collis Nisi), Macchia (Valfortore e d’Issernia), Belmonte, Motagano, Montecilfone, Montefalcone, Montelongo, Montenero (di Bisaccia e Valcocchiara), Monteroduni, Montorio, Psche. Pesco (Lanciano e Pennataro), Pietrabbondante, Pietracatella, Piietracupa, Petrella, Ponte, Pontelanfolfo, Ripa(Limosani e Bottoni), Rionero, Rocca (Mandolfi,Vivara e Aspromonte), Salcito, Sassinoro, Spineto.
Questi comuni ebbero un epiteto per distinzione, e fu aggiunto al nome comunee di origine: Dove ora è Campobasso (Campus bassus) vi era da presso Campus de prat, ed erano due diverse borgate riunite da poi col nome che prevalse ed assorbì l’altra.
Pare che il Sannio Pentro corrisponda in parte all’antica Provincia di Molise, cioè alla topografia di questa, prima del 1811 , allora che il governo francese l’ebbe ingrandita con una ben determinata e naturale configurazione geografica: le une città però, Bovianum vetus, Esernia, Trivento, Tifernum, Sespinum, Sirpio, Murgantia, Aquilonia, Marones, Mrcrae, Duronia, Cimetra (presso a Tiferno), e i Fagifolani, corrispondono a’ confini presenti di Molise, intorno alla quale sono disposte a guisa di cerchio. Ma non è certo il sito di tutte, se archeologi ed eruditi lo cercano tuttavia, e se talvolta, rinvenute alcune rovine che ne indicano uno, disputano a quale tra esse città risponda. Mentre nell’antichità erano importanti i luoghi lontani da Campobasso, oggi invece è tale Campobasso stessa, città capitale di Molise: essa cominciò a prevalere sotto gli Angioini, quando Napoli divenne metropoli del regno; ma crebbe d’importanza sotto casa d’Aragona, sul cadere del medio evo. Perciocché fino a quando l’Italia meridionale fu divisa in parecchi Stati, maggioreggiavano nella nostra contrada Isernia e Bojano; dopo che tali Stati si fusero in uno solo e formarono un regno, all’importanza storica e topografica seguì la politica ed amministrativa. In questo nuovo stadio si solleva Campobasso, e non fu centro fittizio, perché è naturale mercato di 100,000 abitanti. E’ poi una prova che Campobasso sorse ben tardi (al tempo testo indicato), il non essere mai stata sede vescovile, poiché tali furono quasi tutte le nostre più antiche città: fuori di quelle che serbano ancora il loro vescovo, la altre di remota antichità l’ebbero pure, come Sepino, Morcone, Limosano, e più tardi Guardia Alfiera.
Oltre delle ville (mucchio di casipole; donde i nomi villaggio, villano e simiglianti) abitale da fattori o castaldi (massari) e lavoratori (rusticani), erano allora le campagne sparse di chiese e monasteri, e dal loro titolo particolare sorsero altre borgate che si distinsero con esso. In quel tempo le predette contrade furono campo di guerre civili e di brutali scorrerie de’Saraceni, e i poveri villici, per cansare danni e pericoli incessanti e prepotenti, si raccoglievano intorno a questi asili ospitali, a queste oasi in quel mare agitato da tempeste sociali, e vi erano accolti, ed eglino vi si attaccarono come a tavola di naufragio e vi si afforzarono; così le chiese e i monasteri furono i germi di nuove costella e terre : ad tuitionem patriae necessaria facta castella, come Vittore II con bella espressione diceva in un privilegio dato a’Cassinesi. In tal modo anche nel predominio di uno stato di desolazione straordinaria, per l’opera dell’inesauribile carità del cristianesimo e potente influsso sociale di esso, contrade deserte e solitaria, monti brulli, valli uliginose ai convertirono in popolose borgate, in che la messe, la vite e l’olivo covrirono invece de’rovi e delle spine, e l’uomo nella feconda sicurezza della pace costantemente abitò invece delle belve.
Grandi città, come Magdeborgo, Salisburgo, Monaco, Spira, Argentorato, Magonza, Nimega, Westminster, Fulda, San Gallo, Appenzell (abbatis cella)……. in origine furono semplici celle o monasteri. Molise pure ha : Santa Croce (di Morcone e di Magliano), S. Biase, S. Elia (a Pianise), S. Agapito, S.angelo (Limosano, del Pesco, in Grotte), S. Felice, S. Giovanni in Galdo (da Waldus, Gualdus, nemus, silva), S. Giacomo, S. Giuliano (del Sannio e di Puglia), S. Lupo, S. Martino in Pesilis, S. Massimo, S. Polo, S. Pietro Avellana, Santo Stefano – un piccolo calendario di santi.
La badia di Sant’Elena in Pantasia fu fondata da Pandolfo e Landolfo (976). Nel diploma di fondazione è detto: ut liceat vobis et ipsius terris casalia seu villas aedificare et homines ibidem ementiare (condurre uomini ad abitare). Là da presso vi erano ville e casolari ed una terra detta Montecalvo; ma rovinarono tutti, come pure la badia, e da una chiesa intilolata alla Santa Croce, sorse da poi Santa Croce, detta di Magliano, dal nome di una delle ville di quella contrada; San Martino in Pensilis sorse il quinto secolo, da una chiesa eretta in onore del gran vescovo di Tours, dello stesso nome, che da tempo così antico è ancora il patrono di tale terra. Ururi, prima detto Auròle (Aurora), fu abitato da Benedettini, a cagione di un monastero che vi avevano (Santa Maria), fondato da Sassone, Falcone, Alferio e Jaquinto, e dalle pie donne Munda, Daga e Radelgrima, che abitavano Larino, nome si trae dall’istrumento di fondazione tra il 900 e il 1000. San Pietro Avellana fu un monastero fondato (1025) da san Domenico, cassinese, abate di un cenobio di Sora; S. Lupo era una chiesa eretta nel nono secolo da’monaci della badia di S. Sofia di Benevento. Ferrazzano è il nome di una contrada dove eravi una chiesa detta di Sant’Angelo (953) e fu donata allora con altre al monastero cassinese di S. Modesto dal principe Pandolfo I, appellato Testa di ferro.
– Ecclesiam, dice l’atto di donazione, Sancti Angeli de loco Firacciani. Bonefro è colonia di Venafro. In una bolla di Lucio III (1181) ed in un’altra d’Innocenzo IV (1254) è chiamato Venafro, che poi si cangiò in Venifro, e da ultimo in Bonefro; come Rotello da prima si chiamò Lauritello e Loritello, da un piccolo laureto che gli diede il nome.
Così, dopo che gli schiavi erano divenuti servi, costoro, per mezzo della feudalità fatti coloni, divennero uomini anche più liberi. In questa seconda trasformazione
sociale si popolòla campagna, stanza sconosciuta agli antichi, che la coltivarono movendo dalla città dove erano raccolti, quando non erravano in bande. Allora, nel rigoglio della nuova vita, la campagna predominò su la città, e del pari la proprietà e il vivere privato prevalsero alla vita ed alla proprietà pubblica.
Per opera del cristianesimo, l’uomo ritornò nel suo naturale svolgimento, i nazionali si affratellarono con i Barbari, la famiglia fu una piccola società, e l’eguaglianza e la carità fecero prosperare i nuovi germi della vera civiltà. Il crescere delle borgate (da burg, palazzo, che d’ordinario n’era il centro) risuscitò l’agricoltura, e mantenne, col libero lavoro, libero il cuore e vivo il sentimento della dignità personale e dell’amor patrio, e spense l’ardore di conquistare, spento che ebbe il prestigio della forza.
Dalla venuta de’Saraceni comincia veramente la storia della detta contrada. Delle sue scarse e povere città e dei castaldato di Bojano non si fa quasi menzione prima, si che le loro memorie si perdono ne’numeri cronologici della successione de’ signori longobardi del ducato di Benevento, da’quali tutta la regione era pure dominata. Sino a questo ponto però niente di civile fu operato dai nostri antenati eglino allora soltanto servirono, tollerarono, generarono e morirono, per far luogo ad un’altra generazione, la quale ripetesse la stessa animale vicenda. Questo stato di tranquillante servitù è chiamato godimento di alta pace dal pacifico cronichista vulturnese : Nec erat formido, aut metus bellorum; quoniam alta pace omnes gaudebant usque ad tempora Saracenorum; ma era la pace del sepolcro, e lo scompiglio delle correrie musulmane, benchè brutale, destò un poco lo spirito di vita, e poi potè produrre nuovo vigore nazionale.
La presa di Costantinopoli (1453) deve pure essere ricordata riguardo a Molise, non pel proposito dell’origine di nuove terre, ma pel ripopolarsi di alquante di esse. Pochi anni dopo quel grande e vergognoso disastro della cristianità (1467), vennero i nuovi abitanti dell’Albania e dell’Epiro per isfuggire al furore fanatico de’ Turchi, dai quali il loro capo Giorgio, detto Scanderbeg (Alessandro Signore), della nobile e prode casa Castriota, li aveva sino a quell’anno tenuti illesi con invitto valore. La spada di questo eroe aveva pure difeso torre italiane, e Fordinando di Napoli se n’era valuto contro Turchi e Francesi. I profughi Albanesi ed Epiroti qui ripararono, e !a loro sventura quivi s’ebbe ospitale accoglienza; ma furono sparai in diversi punti. In Molise gli Albanesi ripopolarono Santa Croce di Magliano, Ururi, Portocannone, Campomarino, Montecilfoni, Santa Croce, ricca di vasti ed ubertosi campi, e valico da Molise a Capitanata, attrasse gente soverchiante e povera di altre terre, e s’italianò ; le altre restano ancora Albanesi nulla lingua e nei costumi, le quali le fanno distinguere dalle terre finitime, per le loro forme fantastiche e pittoresche dell’Oriente. Questaa gente veniticcia fu dagli eruditi detta italo-greca, dal paese dove fu accolta e dal rito patrio che ritenne.
Acquaviva Collecroce era da prima un monastero de Benedettini; ma distrutto questo e la popolazione,fu convertito in commenda e conceduto a’Gerosolimitani.
Nel 1562 il commendatore don Antonio Polletta condusse quivi una colonia di Schiavoni, d’quali è pure popolata San Felice e Montemitro.