Chiesa della SS. Annunziata
Nel 1878, quando ancora erano chiaramente visibili i resti dell’antico castello, Danielen Perugini affermava che la Chiesa originaria fosse stata costruita al suo interno. Un’attenta
analisi dell’organismo architettonico, infatti, gli permise di evidenziare le notevoli similitudini tra l’architettura del castello e quella della Chiesa.
I pezzi di pietra calcarea con cartocci e bastoni alla gotica della porta d’ingresso della Chiesa, infatti, secondo Perugini dimostravano che la Chiesa fosse coeva alla cinta di
fortificazione del castello.
Lo storico tramanda, inoltre, che un tempo le fondamenta dell’edificio furono utilizzate come sepolcro per gli abitanti colpiti dalle ripetute pestilenze come sembrerebbe testimoniare anche l’annesso ospedale ancora visibile a metà ottocento ed adibito a carcere circondariale.
Dopo successive mutilazioni e trasformazioni, che l’hanno privata di molti degli ambienti originari, la Chiesa appare oggi nella sua veste barocca sormontata da una slanciata edicola con cuspide e bulbo, ma persa l’originaria funzione di luogo di culto, è oggi adibita ad auditorium a seguito di appositi interventi di restauro.
Chiesa del SS. Salvatore
La Chiesa parrocchiale del SS. Salvatore ha origini molto antiche, forse di epoca longobarda, come testimonierebbe la dedica. Ma non si hanno notizie certe prima del 1656, perché verso il 1746 l’Archivio dell’Arciprete andò distrutto in un incendio.
Sulla base delle esigue fonti storiche oggi a nostra disposizione, tuttavia, è certo che l’organismo architettonico più antico andò completamente distrutto durante il terremoto del
1688. La Chiesa, quindi, fu ricostruita dieci anni più tardi e consacrata dal Cardinale Orsini.
Oggi la facciata nella veste settecentesca, presenta tre portali cui corrispondono le tre navate interne. Pregevoli sono gli altari policromi, le statue lignee del ‘700, l’organo settecentesco e alcune tele di Luca Giordano.
Cappella S. Rocco
La Chiesa di San Rocco, oggi lungo viale Europa, all’entrata del paese, un tempo sorgeva in aperta campagna ed era affidata ad un eremita nominato dal Comune e dall’Arcivescovo. Le fonti tramandano che la chiesetta già esisteva nel cinquecento e dipendeva dalla Chiesa della SS. Annunziata. Ma solo più tardi nel 1609 la Chiesa viene consacrata a S.Rocco.
Luogo di ricovero per gli ammalati a ridosso del centro abitato, a seguito della peste del 1656 che dimezzò l’intera popolazione, l’antica chiesetta fu ricostruita nel 1660 per voto
degli abitanti di Pontelandolfo. Completamente distrutto durante il terremoto del 1688, la Chiesa fu nuovamente ricostruita nel 1785, come testimonia la lapide situata sul portale
d’ingresso.
Nel 1895, secondo l’idea dell’Eremita Giovanni Sforza, l’antico nucleo fu ampliato per ottenere stanze che avessero accolto gratuitamente e ricoverati gli infermi che vivevano in
campagna del lavoro agricolo. Per la realizzazione dell’Ospedale San Rocco furono offerte sabbia, calce, pietre, travi, suppellettili ed ogni cosa utile e necessaria.
Dell’intero organismo architettonico, oggi rimane la sola Chiesa caratterizzata da un’ampia ed alta facciata a pareti lisce ed uniformi, in pietra locale, fornita di portico e arricchita
nell’ordine superiore da finestre ad arco. L’interno ad un’unica navata, caratterizzato dal pregevole altare in marmi policromi dedicato a San Rocco, custodisce ancora oggi, preziose tele del settecento.
Il culto di San Rocco è ancora molto sentito dai Pontelandolfesi; in onore del Santo, infatti, tutt’oggi si tiene una ricca e sontuosa festa, importante momento di aggregazione per la
comunità locale.
Chiesa di S.Donato
Le piu antiche notizie storiche sono scarse e frammentarie, tuttavia abbiamo menzione per la prima volta di S.Donato in un diploma del luglio 1100, con il quale il Duca Ruggero il Normanno, figlio del Duca Roberto, nel riconfermare all’ Abazia di S. Maria della Matina, in territorio di S. Marco, tutti i possessi e diritti avuti in donazione, include tra tali possessi anche le chiese di S.Venere, S.Giovanni, S.Benedetto e S. Felice ” in territorio Castelli Sancti Donati “. Apprendiamo pure che sotto la dominazione normanna signore di San Donato era Ugone che in un giudicato del 1153 della Curia di S. Marco ed in un altro del 1157 della Curia di Cassano si sottoscrive Ugone di S. Donato. Nel 1276 San Donato è infeudato successivamente ad Eduardo da Firmo ed a Filippo Breton o Bridone, conta 464 abitanti e paga alla Corte Angioina un tributo di once nove, tarì otto e grana otto. Una decina di anni piutardi San Donato è sotto la signoria di Baiamonte d’ Arci il quale concede la figlia Adelasia e quindi la Terra di San Donato a Gerardo d’Arena, signore d’Altomonte . L’esistenza di miniere di ferro nel territorio di S.Donato, già nota nei secoli passati, aveva richiamato l’attenzione di Giovanuccio e Guiduccio Passavante, del contado di Lucca , i quali ottennero da Roberto d’Angiò la licenza per lo sfruttamento di esse secondo gli accordi presi con Filippo Tordo di Pistoia , che nel 1310 era signore del Castello di San Donato, che passò nel 1936 al figlio Jacopo. Troviamo successivamente che San Donato è una delle terre appartenenti al dominio feudale della famiglia Sangineto, conti di Altomonte e Corigliano, da cui passa alla famiglia Sanseverino per effetto del matrimonio, nel 1374, di Margherita Sangineto con Venceslao Sanseverino conte di Chiaromonte e Tricarico. Bernardino Sanseverino , Principe di Bisignano, verso il 1510, concede in feudo ad un cadetto della sua casa, Francesco Sanseverino di Calvera, residente in Senise, la terra di San Donato e Policastrello . Nasce così il ramo dei Sanseverino di San Donato. Ma quando Francesco I di Francia ordinò al maresciallo Odet de Foix, visconte di Loutrec, di procedere verso il sud d’Italia alla conquista di Napoli, il nostro Francesco Sanseverino fu tra i feudatari calabresi favorevoli ai francesi, e con lui il fratello Roberto, e ciò gli provocò la confisca del feudo in seguito alla rovina del prode e sfortunato sovramo (1528); egli fu espressamente escluso, perchè imputato di fellonia, dai successivi provvedimenti di indulto concessi da Carlo V dopo la restaurazione spagnola. Carlo V, tuttavia, con privilegio emesso il 2 Settembre 1532 in Ratisbona reintegra Pietro Antonio Sanseverino nel possesso dei feudi di San Donato e di Policastrello che furono del padre . Questo nuovo barone, che vive in mezzo ai suoi vassalli, promuove la costruzione della Chiesa della SS. Trinità, affiancata al palazzo baronale, e, fuori le mura, la costruzione del monastero dedicato alla Madonna del Soccorso. A Pietro Antonio, deceduto nel 1569, succede il figlio Scipione come terzo barone di San Donato e Policastrello.
Questi sposa Isabella Caracciolo del ramo Pisciotta. Viene completata la costruzione della Chiesa SS. Trinità ed all’ ingresso, sull’ arco di pietra tufacea, viene scolpito lo scudo partito con emblemi, tuttora visibili, dei Sanseverino e dei Caracciolo: nel I°, d’ argento alla fascia di rosso; nel II°, d’oro, al leone rampante d’azzurro. Scipione Sanseverino nel 1570 compra, per 30.000 ducati, la terra di Montesano, che apparteneva ai Loffredo, ed a Margaritando di Loffredo concede in matrimonio la figlia Artemisia. Al figlio primogenito Antonio Maria, di malferma salute (morrà il 6 Agosto 1580 a sette mesi di distanza dala morte del padre), lascia la casa di Napoli; erede nel testamento aperto 24.1.1580 risulta il figlio secondogenito Ippolito, sposato a Lucrezia Carafa, Marchesa di Corleto. La signoria di Ippolito dura sette anni , durante i quali si abbatte sul suo feudo una grave carestia, che costringe gli amministratori della terra di San Donato a ricorrere ad un prestito, concesso da Marc’ Antonio Giordano di S. Agata, di mille ducati ” per convertirli in compra di vettovaglie per vitto di cittadini e remediare alla penuria che correva”; purtroppo a trenta anni di distanza il debito non era stato estinto e la misera condizione dei sandonatesi aveva lasciato arretrato anche il pagamento dei cento ducati annui di interesse dovuti, per cui nel 1615 doveva intervenire nella Questione il Consiglio Collaterale. Ippolito Sanseverino, deceduto nel Settembre 1587, lasciava le figlie Livia e Isabella e la moglie incinta. Nascerà il figlio Scipione junior. L’ amministrazione del feudo è assunta per il figlio minore da donna Lucrezia Carrafa, che donna energica e capace, seppe curare con eccellenza gli interessi del figlio. Intanto gli procura il titolo di Marchese ( ella era Marchesa di Corleto) nel 1598 e più tardi, con provvedimento di Filippo III , quello di Duca di San Donato, con estinzione di quello i Marchese.
Nel 1605 donna Lucrezia acquista per il figlio il feudo di Roggiano e quello rustico di Larderìa; l’ anno successivo cadrà sotto il suo dominio anche il feudo di Altomonte, poi passato alla casa dell’ Annunziata di Napoli. La figlia Livia nel 1603 và sposata ad un uomo di grande prestigio, don Pietro de Vera, presidente del Sacro Regio Consiglio e, rimasta vedova, nel 1609 sposa don Giorgio de Mendoza e Aragon, Vicerè e Governatore della Provincia di Calabria Citra. L’ acquisto del feudo di Roggiano comporta in parte anche lo spostamento della residenza, per buona parte dell’ anno, da San Donato a Roggiano della famiglia ducale, e i sandonatesi sentono più il peso fiscale affidato per la riscossione a gente di pochi scrupoli. Don Scipione muore nel 1639 ed il ducato resta al figlio Francesco , sposato a donna Porzia Sanseverino di Marianello; questi hanno una sola figlia: Anna, nata nel 1645. E’ un periodo di grave malcontento per i sandonatesi, che in concomitanza e in conseguenza dei fatti successi nella capitale del Regno nel 1647, tumultuarono contro il loro signore, al quale tolsero ogni rispetto ed obbedienza “mettendo fuoco ai suoi magazzini di grano, ammazzandogli tutte le mandrie dei vari animali, facendo prigioniera la Duchessa, con morte di due sue femmine e del fattor econ tanti altri eccessi di crudeltà”, come risulta da un dispaccio del Residente veneto a Napoli in data 6 Agosto 1647.
Casale di S.Teodora
Tanto, ma tanto tempo fa e, precisamente nel 180 a.C., i proconsoli romani P. Cornelio e M. Bebio Tanfilo condussero in un esodo forzato, nelle vicinanze della Piana della Sorgenza, i Liguri Apuani, poi chiamati Bebiani, i quali fondarono in detta località, il villaggio di Ercole (Pagum Herculaneum).
Gli abitanti del villaggio trascorrevano le giornate in allegria: la fertilità dei campi e la bontà dei pascoli assicuravano loro vitelli grassi ed ottimo vino per le “grandi abbuffate” notturne tra dolce musica e ricche danze, dopo che essi avevano rigenerato il proprio corpo nelle calde acque termali del Resicco, ai piedi del colle Montolfo.
Così nei secoli.
Nell’862 d.C., in una calda notte d’estate, mentre corpi ubriachi, avvinghiati, senza le vesti che coprissero le nudità, si concedevano per l’ultimo piacevole atto della grande festa, il famigerato e terribile saraceno Sawdan piombò all’improvviso nel villaggio e con tutta la sua malvagità e la ferocia dei suoi uomini, si diede al saccheggio, devastando ogni cosa. Non ci fu tempo per organizzare una difesa, il villaggio di Ercole in poco tempo fu completamente distrutto.
I pochi superstiti sfuggiti all’eccidio perché rifugiatisi nel bosco adiacente, quando fu notte tornarono al villaggio, raccolsero i corpi straziati dalle lame dei saraceni e diedero loro sepoltura nella piena del torrente Alenticella.
Quando tutti i corpi ormai erano stati inghiottiti dai flutti, improvvisamente un vortice separò le acque che ribollirono e da esse emerse maestosa Santa Teodora. Il suo celeste mantello fece da ponte tra le acque e la terraferma, ed il miracolo avvenne. I morti tornarono in vita. Prima i bambini, poi le donne e gli anziani, quindi tutti gli altri tornarono a ripopolare la piana ed il risorto villaggio di Ercole, al quale fu dato il nome di Casale di Santa Teodora.
Più attendibile è però l’ipotesi, confermata da più storici, che il soavissimo Vescovo Principe Longobardo “Landolfo” in viaggio dalla città di Maleventum, oggi Benevento, diretto verso Roma, a circa un chilometro dall’antico Casale di Santa Teodora, onde poter attraversare il torrente Alente fece costruire un ponte, al quale diede il suo stesso nome: da questo Pontis Landulphi (poi Pontelandolfo) il nome, evocato dallo scrittore medioevale Falcone, per indicare l’abitato che si sarebbe formato nei pressi.
Diverse vicende, nei secoli che seguirono, devastarono il borgo.
Il primo noto evento risale al 1138 data in cui Pontelandolfo subì un primo assedio ed incendio per mano di Re Ruggero il Normanno, a causa della ribellione del Conte di Ariano.
Fu feudo del Bursello, dei Sanframondo, degli Svevi, dei d’Angiò, nonché dei Gambatesa che per ragioni difensive, a protezione del piccolo borgo, già cinto interamente da mura, costruirono nel XIV secolo una imponente torre, tutt’oggi esistente, che maestosa si erge dal suolo per 21 metri. Le mura di base hanno uno spessore di metri 4,50 e s’in…. continua pagine 3
….. ura di base hanno uno spessore di metri 4,50 e s’innalzano a scarpa sopra un cerchio di base di 7 metri di raggio. Un anello di pietra bruna separa le mura di basamento con le mura soprastanti, che si innalzano in forma perfettamente cilindrica per uno spessore di metri 3,00.
Nel 1349 un forte sisma distrusse interamente l’abitato.
Ricostruito, fu nuovamente distrutto quasi interamente da un forte terremoto nel 1456.