Paludi Pontine da “L’album -giornale letterario e di belle arti”

 

Ricerca del Prof.Renato Rinaldi  tratta da “L’album -giornale letterario e di belle arti” 1^ distribuzione ROMA anno ottavo 1841

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Le paludi pontine presentano un tale aspetto di grandezza, che ricordano la vasta estensione del mare: a determinata distanza intersecate da canali si estendono
di maniera, che a fatica giunge lo sguardo a trovarne il confine. In esse tutto è silenzio: non villaggio, che annuncii aver quivi l’uomo soggiorno; ma capanne soltanto, che si sollevano pochi piedi dal terreno, sostenute con pali, coperte di paglia e senza apertura tranne la porta, essa pure stretta e bassa: qua e colà poi greggie e armento, che va liberamente pascolando. Chi si fa a trascorrere le paludi pontine in stagione d’inverno o anche di autunno, è costretto a riconoscervi una terra dannata a perpetua sterilità; ma tale non è: le paludi sono fertili più di qualunque altro luogo; nè vengono lasciate in abbandono. – L’agricoltura ivi esercitata
è in grande: le terre sono lasciate in riposo alcuni anni, onde di poi essere più obbedienti alla mano di chi le coltiva. – Per conoscere perfettamente le paludi pontine conviene visitarle in tempo della seminazione e della mietitura : allora cento aratri e cento solcano quella vasta pianura; una folla di gente rompe quelle nere zolle, e tosto si vedono verdeggiare il frumento e la segale; per raccogliere i quali nel giugno vengono a torme i montanari. Qua e la veggonsi innalzate tende, a cui dintorno ammiri una folla di gente che fa lucicare in mano le falci, e ti sembra vedere allora una schiera di soldati accampata: vedi uomini, donne intente al lavoro, fanciulletti nelle fasce, che piangono e stridono adagiati sull’erba accanto alle loro madri; sopraintendenti a cavallo, che sorvegliano e che rimproverano.
I mietitori sono trattati come gli schiavi contadini a tempi degli antichi, che avevano sempre dinanzi il bastone, che li minacciava. Questo aspetto è affatto prosaico, e non passa gran tempo, che molti si veggono lividi, macilenti, con gli occhi appannati: è la febbre che ha loro penetrato le ossa: l’aria cattiva
che domina in tutta quell’aria pia e deserta pianura è terribile a quegli infelici, molti de quali ne rimangono vittima, e così partiti dai loro casolari per andare nelle paludi a cercarvi pane per sè e per i figli v’incontrano la morte. E compassionevole la loro vista in questa campagna: essi lavorano e nel maggiore silenzio: tutto tace: odi soltanto la cicala, la locusta e la allodoletta, la cui voce viene dispersa nell’aere.
Pittorico piuttosto si è l’arrivo dei mietitori. Toltisi dal montano lor casolare, dove da quel momento altro non vedi, che donne, le quali vanno cantarellando lugubri canzoni, vecchi cadenti, che cercano un raggio di sole, fanciulli seminudi e rovesciati aratri; toltisi dal montano casolare tra il pianto e i sospiri di chi vede partire i figli, lo sposo, partono in grande numero seco portando cibi, bagagli e villerecci stromenti. Un carro a grandi ruote e tirato dai buffali serve a trasportare le cose loro, i fiacchi, le donne, che hanno bambini e via. Durante il viaggio cantano, fanno carole a suono di cornamusa nei luoghi dove fanno fermata: con siffatto modo si studiano distrarsi dal dolore della partenza, e dal pensiero dei pericoli cui vanno incontro.

L’arrivo dei mietitori nelle paludi pontine presenta un bel quadro al pittore, e il francese Robert, genio brillante, ardito, seguace del semplice, lo rappresentava in una grande tela, che ha acquistata molta celebrità.

Robert, che mancò alla pittura nel 1835, era grande pittore: la semplicità grandissima, che domina nei suoi quadri lo rende, ammirabile. I mietitori delle paludi pontine sono un quadro, dove trova ognuno grande espressione nelle figure, naturalezza nell’atteggiamento:e di questo pregevole lavoro ne faceva una incisione il sig. cav. Paolo Mercuri, cittadino romano, allievo dell’ospizio apostolico, e che ha nome di grande incisore sì in Italia che in Francia. Egli ha mirabilmente trasportato nella sua incisione la naturalezza, il carattere e la precisione dell’originale: la finezza dell’intaglio è da artista grande: per cui nulla vi ha da desi derarsi in questo suo lavoro, che con piacere facciamo conoscere al lettore del nostro giornale (1).

Domenico Zanelli.

Pagine da 30 a 32 ETITORI_album_giornale_letterario_e_di_b_Pagina_1(1) La incisione sovrapposta fu ritratta su quella originale del Mercuri, dal Mochetti la cui nota valentia nello incidere in rame non ha mestieri di nuovo elogio.