Ricerca e elaborazione testi del Prof.Renato Rinaldi Da:Rivista SAMNIUM Anno III 1930
Da pag. 45 a 48
A PROPOSITO DI MATTEO CECCHITELLA
IL MASANIELLO DI BENEVENTO
Nel 1917, in un articolo uscito nella « Rivista Storica del Sannio (Annata III. fasc, 1) col titolo « Il Capitano Cecchitella, ovvero il Masaniello di Benevento », A. De Rienzo pubblicava su questo de¬magogo alcuni appunti da lui presi dal secondo volume di un breve Diario manoscritto, che dalla Libreria dei marchesi Pedicini era passato alla pubblica Biblioteca Arcivescovile; il qual volume, aggiunge il De Rienzo, non si sa se fu poi involato, disperso o non restituito dal prestito, si che egli non potè più rivederlo.
L’articolista alla stregua di quegli appunti ci narra la storia della sollevazione popolare avvenuta in Benevento il 25 gennaio 1741. In quella città, a ragione ritenuta allora come il granaio di Napoli, a causa della sua frequentatissima dogana di cereali, il popolo, esasperato contro gli incettatori regnicoli, sordidamente ingordi e dispoteggianti e più ancora contro gli interni manutengoli dei « forestieri affamatori », dopo due giorni di ansie tremende e di veglie alle porte della città e per le piazze, si fermò a pubblico parlamento e stabilì di scegliersi un capo nella persona di Matteo di Caterina, soprannominato Cecchetella, garzone di molino, più degli altri ardimentoso e fiero. Questi dichiarato Capitano, con l’assistenza di un altro coraggioso, tal Francesco Perone, condusse i ribelli, ed al forno di un certo Fierro si ricorse persino al rogo, e si sarebbe sacrificata addirittura la vittima senza l’intervento di Monsignor Manfredi, allora Vicario Apostolico, il quale, togliendo dalle mani del Parroco di S. Marco il SS. Sacramento, che quegli recava come Viatico ad un moribondo, non lo avesse mostrato ai tumultuanti, che ristettero dal loro furore, sì che il Fierro, arresosi al Vescovo, fu dal prelato, sempre col Viatico a fianco, condotto a salvezza nella rocca pontificia. Da quel giorno Benevento ebbe a despota il capitano Cecchetella, il quale, disfattosi dei Perone, si circonda di uno Stato maggiore, costi¬tuito dagli intimi suoi. Fin qui il De Rienzo, per quel che riguarda l’episodio saliente della insurrezione demagogica bene¬ventana del 25 gennaio 1741.
In un ms. della Nazionale di Napoli (1 Cod. mise. I. AA. 35 – Le due carte portano a tergo la scritta: La ribellione di Benevento) trovo due piccole carte nelle quali si parla dell’episodio in questione e che mi piace trascrivere per intero, data la brevità dello scritto stesso:
« Matteo Cecchitella, garzone d’un mugnaio di Benevento, fattosi capo della plebe di quella città si sollevò, e prese per compagni altri sette che chiamò Caporali, contro i nobili am¬ministratori dell’Annona a causa del prezzo del grano, che pa¬reva troppo’alto, e se ne attribuiva la colpa ai suddetti. Giovanni Battista Longo, scarparo fece segni di disapprovare la condotta del Cecchitella e disse con questo vostro susurrare, volete far mangiare al pubblico il grano a 20 carlini di tomolo.
Per queste parole fu d’ordine del Cecchitella preso il Longo, legato, e postoli fune al collo, per impiccarlo; in quel men¬tre passando il Sant.mo Viatico, il Vicario, che lo portava sup¬plicò per la vita del Longo, e il Cecchitella concesse che fosse condotto in prigione nel castello, ove sta anco presentemente con patto di dovergli esser fatto processo, e che se gli faccia grazia della vita, purché questa sia chiesta dalla Confraternita del Sacram.to, che ha il privilegio di liberare un condannato.
Seguita il Cecchitella a farsi condurre in carrozza da i Nobili, esso in primo luogo, con molto seguito di popolo il quale fa la ronda la notte, distribuendo le guardie, e tenendo le chiavi della Città.
Interviene nel Consiglio della Città, occupa il primo luogo, e copre (sic) esso solo col suo berretto.
L’uomo suddetto maestro scarparo ha avuto dal popolo molte sassate, alcune delle quali hanno colpiti più nobili. Un magazino del medesimo scarparo è stato dal popolo rotto e, portatone via il grano che v’era dentro, e tratta la sua roba, come di mobili, e altro, strapazzata e guasta.
Ha formato un Consiglio di nove, cioè esso, quattro del ceto dei massari o sieno contadini, e quattro Nobili. Egli è il Capo, vuol esser chiamato Signor Cecchitella, e per favorire i Nobili, chiede loro alle volte del tabacco e presone prende la scatola, e ne offerisce al resto della brigata. Andando Cecchitella dal Governatore circonda il palazzo con 300 de’ suoi; esso e i sette Caporali suoi compagni lasciano lo schioppo alla porta, ed entrano a conferire armati solamente d’armi corte.
Il Cecchitella obbligò il Vicario a scrivere lettere giustificatorie in favore de’ tumultuanti a Roma, e le mandò per uno de’ suoi, e giurò, e rinnovò innanzi al Vicario, e fece giurar da i suoi, che in caso di Roma venissero ordini di gastigo avrebbero, prima di subirlo, mandata a fuoco e a sangue la città, e impose pena di morte a chi portasse lettere, e di saccheggio e prigionia a chi le scrivesse fuori di Benevento, perchè nessuna giugnesse a Roma prima delle suddette. Uniti alla Plebe Beneventana si vedono anche alcuni Casali.
Mercordì primo del corrente febbraio posarono le armi, e uno dei tumultuanti andò dal Principe di Morra e gli disse: vi ricordo che il popolo ha poste giù l’armi, perchè voi, e altri Nobili del Paese l’avete assicurato che non glie ne verrà alcun male; ma se il Re di Napoli, come ha il popolo preinteso, manderà armi in questa Città, a un fischio verranno in nostro aiuto 20 mila persone, sì della Città, come dei Casali, e manderemo la Città tutta a fuoco, e a sangue; come abbiamo tra di noi concertato.
In questo mentre il Popolo ha abolito la Corte Civile, di¬cendo che non è tempo a proposito questo per pagar debiti. Questi Capi vanno continuamente in casa dei Nobili, e Civili, animandoli a non aver paura di cos’alcuna ».
Così, senz’alcun segno d’interpunzione, s’interrompe il ms. napoletano: ognun vede come il racconto in esso contenuto è più ampio e più minuzioso.
Nel nostro ms. il Capitano è chiamato semplicemente Matteo Cecchitella e non Matteo di Caterina, detto Cecchetella; di Francesco Perone non è fatto cenno, ma invece sono assegnati al Cecchitella sette compagni chiamati Caporali. Il ribelle e vittima non è un Fierro fornaio, ma Giovanni Battista Longo scarparo, il quale si permette di mormorare contro la condotta del Cecchitella; non è il rogo che si prepara per lui, ma l’impiccagione, ed è proprio il Vicario in persona, non il Parroco di S. Marco, quegli che porta il Viatico al moribondo, e bene espliciti sono i patti che il Capitano pone alla salvezza del condannato dall’ira popolare.
Infine il nostro ms. si diffonde nella descrizione del breve regno di questo Masaniello settecentesco, il quale ha anche il suo lato simpatico in quella sua spavalderia tutta meridionale di starsene col berretto in capo, mentre gli altri stanno a capo scoperto, di voler essere chiamato Signor Cecchitella, e di offrir lautamente a destra e a manca il tabacco…. degli altri !
Dopo quanto si è detto è naturale domandarsi: « Che cosa sono dunque i due foglietti del codice miscellaneo di Napoli ? ». Non appartengono di certo al disperso volume della Biblioteca Arcivescovile di Benevento, oltre che per ovvie ragioni facili a comprendersi, per il fatto stesso delle differenze sopra notate. Facevano allora parte di un diario come quello di cui parla il De Rienzo, forse ancor più ampio e più preciso, o sono, come mi sembra più probabile, due fogli di appunti staccati, perso¬nali, su quell’episodio di storia locale beneventana? Forse nessuno potrà mai dirlo; ad ogni modo essi, pur così come sono, servono a consolarci un tantino della mancanza del volume irreperibile, almeno per quel che riguarda il punto culminante del breve periodo del potere demagogico del Capitano Matteo Cecchitella. il Masaniello beneventano del Settecento.
MARIA ROCHE BELSANI