PREFAZIONE
In tutti i tempi e presso tutti i popoli guerrieri, si è volta cura principale a fortificare i punti più importanti del paese che si voleva difendere, e si è sempre cercato, per contrapporsi alle offese, di aggiungere alle antiche nuove difese; e l’infinità di modi, di maniere e di sistemi escogitati son segni evidenti che non si era contenti del già fatto, e che bisognava cercare qualche nuovo trovato onde meglio opporsi agli sforzi di quelle. Questa necessità veniva talmente sentita dalla generalità, che Stati anche piccolissimi, si sono assoggettati ad ingenti spese per rendere forti uno o più punti del territorio, e ciò con la mira di proteggere il paese e far fronte alle eventualità d’una guerra che si dovesse combattere con forze disparate, e per la quale fosse d’uopo attendere estranei soccorsi o il beneficio del tempo, per potere con vantaggio osteggiare l’inimico.
Ecco perché tutti i Re di Napoli, sperando aver sempre dalla loro parte il mare, pensarono in tutte le epoche di affortificare, sempre maggiormente Gaeta, nella quale la natura gareggiando con l’arte a renderla forte, facevala considerare indispensabile ad assicurare il Regno, e riguardare come ultimo rifugio ín caso di disgraziata guerra.
Tanto più che collocata quasi a confine dello Stato, e potendo in certo modo intercettare la principale strada che da Roma conduce a Napoli, ed anche ad ogni istante ricevere soccorsi quando il mare è libero, minaccia di continuo il conquistatore nelle sue comunicazioni con lo Stato della Chiesa ( Rapporto all’Imperatore Napoleone I° del Generale Campredon che diresse l’a,asedio nel 1806). Ed ecco la ragione dei tanti formali assedi che convenne porvi in tutti i tempi dagl’invasori del Regno, se volevano essere sicuri di possederlo.
E poichè le finanze dello Stato non permettevano di rivolgere anche ad altri siti eguali cure, ne derivò che vennero trascurati punti egualmente importanti, strategicamente parlando, quali Pescara e Capua, forniti di mediocri fortificazioni, nonché altri che sarebbe convenuto fortificare, e che avrebbero potuto, di unito a Gaeta, giovare immensamente ad un esercito obbligato a tenersi sulla difensiva.
Quindi in tutte le guerre combattute dal principio del secolo e forse anche prima, è avvenuto, che l’esercito Napolitano obbligato a ripiegare sulle Piazze forti per rifarsi delle perdite sofferte, o per acquistare dalla posizione del sito energia bastevole a resistere ad un nemico più forte, è stato alla spicciolata distrutto, giacché l’ aiuto che sperava trovare in esse, riusciva insufficiente per lo intrinseco valore delle fortificazioni o per la totale manpanza, di queste nei punti strategici naturali.
E se quella parte di esercito che ripiegava sopra la penisola che finisce a Gaeta, avea speranza di resistere un tempo maggiore, non poteva però più pretendere di tornare all’offensiva, giacchè riusciva facile al nemico, per la mancanza di opere distaccate, tenerla con poca forza completamente bloccata.
Sarebbe avvenuto il contrario se si fosse avuto un completo sistema di Piazze forti, tra le quali un corpo di truppa abilmente manovrando, avrebbe continuamente minacciato i fianchi e le spalle d’un nemico che si fosse ostinato ad internarsi nel Reogno, e lo avrebbe o disfatto o obbligato alla ritirata.
Ma, e per la deficienza di danaro, e perchè posta sul mare, offriva migliori condizioni delle altre, ed in ultimo perchè già a sufficienza forte, a Gaeta soltanto si rivolsero le cure per migliorarne ed aumentarne le opere.
Questa esclusiva preferenza fè sì che oggidì le sorti del Regno furono brevemente decise e ridotte nella sola Gaeta, mentre ben altre sarebbero state se, tolto di mezzo il tradimento, l’esercito Napolitano avesse potuto contare sulle altre due principali Piazze, di Pescara e di Capua ; sotto t’ultima, delle quali e non a Gaeta si sarebbe conteso il Regno.
Quali cause avessero prodotta la guerra fratricida ultimamente combattuta, e quali la dissoluzione, di parte dell’esercito Napolitano, appartiene alla storia, non a noi chiarire; solo diremo che, non appena il tradimento faceva abbandonare la Piazza di Pescara ed il Castello di Aquila, quantunque già da lunga pezza preparati a buona difesa, riusciva agevole ati Piemontesi entrare nel Regno per gli Abbruzzi, e senza timore alcuno scendere in Terra di Lavoro per attaccare alle spalle, all’improvviso, il residuo di truppa Napolitana che aveva ancora di fronte le schiere della rivoluzione, contro le quali da due mesi con fortuna combatteva. Allora si fu che, potendo venir tagliata dal nemico la linea di difesa strategica Gaeta – Capua, con¬venne abbandonare quest’ultima Piazza alle proprie forze, e fare Gaeta centro di operazione contro il nemico che si avantasse sia per la vallata di Roveto, sia per quella di S. Germano, sia in ultimo per le altre agli sbocchi del Volturno e del Garigliano.
Conseguenza di questo nuovo piano si fu la ritirata delle truppe Napolitane dietro questo fiume, che veniva a formare una prima linea naturale di difesa, mentre una seconda ottenevasi dalla natura dei siti e da opere di campagna abilmente disposte.
Però la linea di difesa del Garigliano aveva la sua estrema dritta estremamente debole, quantunque poggiata al mare, che la Francia, officialmente, pe’ Napolitani garentiva; e questa debolezza a cui non erasi riparato a tempo debito, nacque dalla sicurezza nella quale si vivea, che impossibil fosse una invasione Piemontese senza dichiarazione di guerra, ed anche dalla mancanza di mezzi, che dovevano ricavarsi sopra luogo, non potendo Gaeta sopperire ai moltiplici bisogni di un esercito in campagna; epperò la testa di ponte che si progettò per guardare quel punto, tardi cominciata e lentamente proseguita non era che appena tracciata allorquando l’inimico era già di rincontro; e non essendosi potuto disfare completamente il già fatto, fu cagione che quegli se ne avvantaggiasse, ed i Napolitani ne soffrissero nel fatto d’armi del 29 Ottobre 1860, che pur tuttavia riuscì a vantaggio di questi.
Ad onta però della deficienza di difese per rinforzare tale ala dritta delle posizioni Napolitane, si sperava poter far testa all’inimico, essendo ivi raccolta quasi tutta la truppa, e la migliore ancora,di cui potesse disporre il Re di Napoli, non avendo a temersi, come dicemmo, nulla dal mare che era neutrale e che perciò non veniva garentito da alcuna opera ; non trasandandosi però nello stesso tempo di guardare il centro e l’ala sinistra, dove la posizione d’Isoletta e le difese successive, facevano supporre che l’inimico con isvantaggio le avrebbe attaccate.
In caso poi che la prima linea venisse ad essere forzata, la truppa Napolitana poteva ripiegare sopra Mola, che allora alla meglio fortificavasi, per la stessa ragione, di sopra, solo dal lato di terra, e difendere questa posizione e le altre d’Isoletta, di S. Niccola e di S. Andrea.
Ma la defezione, che così potrebbe chiamarsi, della flotta Francese, rese nulli i piani fatti, e la truppa disposta lungo la linea dal Garigliano a Gaeta, attaccata di fronte e bersagliala dal mare, era costretta a ripiegare parte sotto la Piazza, alla quale dopo poche scaramucce l’inimico pose l’assedio, e parte nello Stato Romano, non essendo più tenibili le posizioni dell’ala sinistra che venivano ad essere prese alle spalle .
Lo scopo di questo lavoro non è di descrivere tutti quelli eseguiti dal Genio Napolitano incominciando dalle posizioni dell’esercito al Volturno, ma di parlare solo di quelli eseguiti dalla linea di difesa del Garigliano insino alla caduta di Gaeta; quindi tralasceremo di discorrere dei molti fatti a Caiazzo, a Gerusalemme, dei lavorí fatti a Teano, del trinceramento per artiglieria costruito sulla traversa che da Cascano conduce a Teano e che costeggia S. Giuliano, Rocci, Fontanelle ed altri paesi, di quelli anche per artiglieria costruiti nelle gole della Montagna Spaccata, o sia di Cascano, al di là del viadotto, delle tagliate d’alberi sulle traverse che da Cascano conducono a Teano e Rocca Monfina, e della rottura di qualche ponte, ec. , lavori tutti pei quali ci mancano gli elementi precisi e che non potremmo attualmente procurarci; ma solo ci contenteremo di descrivere quelli che ebbero un’influenza più diretta sulle operazioni fatte nelle vicinanze di Gaeta e nella Piazza istessa.
E qui crediamo utile avvertire che, scevri di ogni personalità e spirito di parte, ci atterremo a mettere sotto gli occhi dei nostri lettori quelle osservazioni che sotto il punto di vista militare crediamo dover fare, e che perciò non intendiamo attaccare nè l’opinione, nè la riputazione di alcuno.
Un atlante di circa 22 tavole servirà di corredo e di schiarimento a questa relazione, e conterrà non solo quelle dei parziali lavori eseguiti fuori e dentro la Piazza, ma anche una tavola del terreno dal Garigliano a Gaeta, una della Piazza e terreno circostante, una terza la pianta della fortezza, ed un’ altra i particolari delle brecce avvenute per effetto degli scoppi succeduti durante l’assedio.
Se la qualità e quantità dei lavori eseguiti credesi insufficiente o non corrispondente pienamente allo scopo che si doveva raggiungere, se ne accagioni la mancanta quasi completa di mezzi in cui vedevasi ridotto l’esercito Napolitano, non il discernimento o la volontà di chi li eresse.
Una introduzione descrittiva ed alcune riflessioni sull’attacco e sulla difesa precedono e seguono il lavoro.
Lo scrittore chiede il compatimento dei benevoli lettori, che, vorranno tener presente le difficoltà in cui si è trovato per raccogliere, nei momenti attuali, elementi il più che possibile precisi, essendogli sufficiente compenso alle durate fatiche, l’aver fatto conoscere l’operato del Genio Napolitano in momenti difficili tanto, ma tanto onorevoli.