RICERCA EFFETTUATA SU “GOOGLE LIBRI” DAL LIBRO “AVVENIMENTI D’ITALIA ” VOL.II -torino-1865
Da pag.73 A 86
CAPITOLO SECONDO
Battaglio del Volturno.
I.
La città di Capua, di Santa Maria, di Caserta e di Maddaloni si trovano presso che esattamente sur una medesima linea, dall’ovest al sud. Tutti questi punti sono uniti fra essi da molte strade, ed hanno di dietro altre strade che portano a Napoli. L’armata di Garibaldi occupava queste posizioni a partire da Santa Maria ed accampava sur una linea di dodici chilometri. Santa Maria sulla sinistra, di fronte il Monte Sant’Angelo, all’estrema destra Maddaloni, ed alle spalle il villaggio di San Tammaro. Quest’ultimo si trova nella posizione di una linea parallela al Volturno, che cadrebbe ad angolo retto sulla linea di battaglia, passando lungo i bastioni e il campo trincerato a Capua. La città di Caserta ha davanti San Leucio e il Monte Caro. Maddaloni estrema destra, è posta in faccia al Ponte’ della Valle.
II.
Il generale dittatore comandava il corpo di armata di Santa Maria e aveva scelto per posto la sommità del Monte Sant’Angelo, intanto che i generali Turr e Medici tenevano Santa Maria, e il colonnello Fardella, San Tammaro. Il generale Sirtori si trovava a Caserta, il general Bixio a Ponte della Valle e Maddaloni.
Il generale napoletano Ritucci si decise a riprendere l’offensiva ed a spingere le sue truppe verso Santa Maria, Sant’Angelo e Maddaluni. A tale oggetto si disposero tre colonne. La prima, sotto gli ordini del generale Von-Mechel, formando l’ala sinistra dell’esercito, muover doveva per Dugento e Maddaloni, a fine di riconoscere il nemico da quel lato.
Delle altre due colonne, l’una comandata dal maresciallo Afan da Rivera e dai due comandanti di brigata generale Barbalunga e colonnello Polizzi, riconoscer doveva le fortificate alture di Sant’Angelo in Formis ed il sottoposto villaggio: l’altra, comandata dal generale Tabacchi, aveva ordine di minacciare sulla fronte Santa Maria e distrarre il nemico da qualunque operazione militare che avesse potuto fare contro il generale Von Mechel.
La cavalleria, in seconda linea, doveva sostenere le colonne, che procedevano innanzi, in caso di positivo combattimento, ed in pari tempo guarentire l’ala destra dell’esercito napoletano.
III.
All’alba del primo ottobre la fortezza di Capua fece varie scariche, e quindi i napoletani sortirono dalla piazza, dirigendosi in colonne serrate ed in tre corpi sul monte Sant’Angelo, Santa Maria e San Tammaro. Alla stessa ora Sirtori era attaccato a Caserta e Bixio a Ponte della Valle. L’armata napoletana marciò, con vigore e compatta su tutto il fronte di battaglia.
I napoletani che s’avanzavano, contro il monte Sant’Angelo, si misurarono col dittatore in persona. Garibaldi non ha che pochi uomini con lui, e questo piccolo numero di combattenti non è nemmeno de’suoi migliori. Egli slancia in avanti, contro il nemico che si arrampica sulle rocce, il battaglione siciliano, comandato da alcuni inglesi; ma i regii si spingono innanzi, tagliando la comunicazione con Santa Maria e involgono il dittatore.
La posizione del pugno d’italiani è compromessa. Si telegrafa per chiamar Bixio, ma Bixio dalle otto del mattino combatte ed ha respinto quattro volte l’assalto de’ regii. Alle tre pomeridiane gl’italiani avevano perduto due cannoni.
Garibaldi non si perde di coraggio, grida che la giornata debb’essere degl’italiani, e comprende che la vittoria si deciderà a Santa Maria. I suoi uffiziali, il suo stato maggiore, e le guide mettono mano alla sciabola. Cento uomini si slanciano, col dittatore alla testa, dalla parte della città, riaprendo la comunicazione, riprendendo due pezzi e ritornano riconducendo soccorsi e prigionieri.
Allorchè Garibaldi ordinò questa mossa, vi fu alcuno il quale disse che si mancava di cartucce. Egli rispose che avevano le baionette.
Il dittatore restò un momento a Santa Maria; vide che i suoi soldati tenevano fronte a’regii e che questi non avrebbero potuto riacquistare la batteria in posizione e ripartì di galoppo per monte Sant’ Angelo.
Arriva e trova i napoletani battuti, che abbandonavano, ritirandosi le chine del monte, verso le 5 ore e mezzo di sera. L’estrema destra era vittoriosa. ..
Da una parte e dall’altra si era combattuto con accanimento, con perdite enormi. I volontarii avevano resistito con un coraggio impareggiabile.
Ma l’armata italiana è sempre sotto la minaccia di una sconfitta. San Tammaro non è più suo. I garibaldini , che v’erano, si sono ritirati verso Santa Maria , lasciando ai regii il villaggio, che saccheggiarono ed incendiarono. La cavalleria del re aveva caricato sei o sette volte nella giornata su’ piani di San Tammaro ed aveva recati gravi danni.
D’altra parte il dittatore sente che Sirtori aveva perduto terreno a Caserta.
Ed, in fatti, ecco ciò che era avvenuto da quella parte. Sirtori era stato attaccato dal grosso delle forze regie, all’improvviso, cioè da colonne vegnenti da Caserta Vecchia e S. Leucio. La metà de’soldati italiani ebbe appena il tempo di schierarsi in battaglia. I calabresi ritiravansi battendosi male; il generale batte la ritirata abbandonando Caserta e fa fronte più lungi. Invia a domandar da tutte le parti soccorsi, ma tutti sono impegnati. Allora egli telegrafa a Villamarina, ministro di Sardegna, esponendo la posizione come disperata. Gli si risponde che i piemontesi arriveranno, ma che bisogna loro accordar tempo per arrivare. Sirtori si vede battuto,sente Garibaldi compromesso,ma sa che Bixio è vincitore e si sostiene sempre, gettando in prima linea i migliori de’suoi soldati. la giornata intera si passa senza che la situazione migliori, anzi diventa più grave. La notte pose fine al combattere.
IV.
Ecco come viene narrato il fatto avvenuto al 1 ottobre dalla Gazzetta di Gaeta del 4, dietro i rapporti uffiziali:
” Alle 2 antimeridiane dei 1° ottobre uscirono le truppe da Capua, liete e fidenti nel loro valore, per la porta di Napoli.
All’alba, aprirono il fuoco i cacciatori dell’ala sinistra ed il battaglione tiragliatori della guardia, che per la prima volta combatteva e con valore.
Allo avanzarsi dei nostri uscirono gli avversarii da Santa Maria e discesero da Sant’Angelo, ma in breve tern¬o po furono vigorosamente respinti ed obbligati di ritornare alle lor forti posizioni. La colonna de’ cacciatori alla sini¬stra, con vivo fuoco di fucileria, protetta dalle artiglierie di montagna, si spinse risolutamente innanzi, e, giunta sulla dominante posizione di Sant’ Angelo, conquistò alla baionetta tre batterie colà piantate, i pezzi delle quali parte furono inchiodati, altri rovesciati ne’sottoposti burroni, trasportò nella piazza sei pezzi di artiglieria da campo e di montagna, e procedendo sempre innanzi superò la prima e la seconda barricata del villaggio di Sant’Angelo in Formis, fece molti prigionieri, prese armi e munizioni in gran copia, cavalli e muli , e poscia si ristorava colla zuppa preparata pei nemici, vinti e messi in fuga.
“Non è a descriversi l’energia e l’ardore dimostrato dagli uffiziali e soldati de’ cacciatori e dalla cavalleria di questa colonna nella ricognizione di Sant’ Angelo, e la bravura degli uffiziali e soldati di artiglieria, i quali, colla precisione de’loro tiri, furono di possente aiuto alla fanteria.
Nè altrimenti poteva avvenire, poichè la presenza di S. M. il Re in quel punto animava e sosteneva il coraggio de’ prodi, che combattevano, e coi quali in seguito divise la gioia del successo.
La colonaa, destinata a minacciare Santa Maria, riconobbe il nemico e tentò un attacco, nel quale alcune compagnie del 9° e del 10° di linea, ed altre dei tiragliatori, con islancio incredibile, giunsero nel paese, superando le prime barricate sotto il fuoco micidiale di molte batterie.
Le LL. AA. RR. il Conte di Caserta e il Conte di Trapani non lasciarono dal guidare quelle colonne, e divisero colle truppe le fatiche e pericoli. Meritate lodi si debbono all’artiglieria, la quale perdè diversi uffiziali, sott’uffiziali e soldati nell’attacco delle prime batterie di Santa Maria , ove si vide obbligata di lasciare due pezzi, solo perchè, feriti e morti il maggior numero degli animali, tornava impossibile di ritirarli sotto il vivo fuoco della mitraglia nemica.
Eguale onorevole menzione meritarono i cacciatori a cavallo pel loro brillante modo di combattere.
Sulla destra della linea, il brigadiere Sergardi, con meno di duie squadroni di lancieri ed un distaccamento di zappatori e quattro pezzi, attaccò il villaggio fortificato di San Tammaro, superò le barricate, se ne impossessò, prese una bandiera e tolse al nemico molte armi, munizioni e prigionieri.
Il generale Colonna, rimasto sulla sponda destra del Volturno, impedì al nemico di passare il fiume a Trifrisco, ove si presentò con forze imponenti, le quali furono respinte nel bosco di San Vito, e poscia da’bravi cacciatori snidate e disperse. »
V.
Dalla parte di Bixio, non vi fu, in paragone agli altri combattimenti, che una scaramuccia. Sirtori aveva dinanzi a sè 80Q0 uomini; Bixio non ne aveva che 2000, tenendo pure al Ponte della valle sei pezzi di cannone trincerati.
I napoletani, che lo avevano attaccato, invece di venire da Capua, come le colonne di Santa Maria e di Caserta, vennero lungo il corso del fiume, da parte di Salapala e di Lumatola.
Il generale garibaldiano fece ripiegare i suoi avamposti e attese dietro i cannoni che il nemico lo assalisse; allora ordinò il fuoco ed una carica alla baionetta. I napoletani vennero respinti.
Bixio ebbe cognizione della posizione di Sirtori, e appena si sentì libero, lasciò qualche compagnia a Ponte della Valle e si portò a passo di corsa sulla strada di Caserta.
VI.
In questo fatto si narra il seguente episodio riguardante a Garibaldi :
Garibaldi era partito col suo stato maggiore da Caserta alle 5 e un quarto del mattino, e, arrivato a Santa Maria, saliva in calesse e si avviava alla volta di Sant’Angelo. Tre carrozze seguivano il cocchio del generale, in cui trovavansi il colonnello Deideri, il capitano Baffo e due altri ufficiali. Missori e Paverini erano nella seconda, col conte Arrivabene, che aveva preso il posto accanto al cocchiere. Altri dieci ufficiali seguivano nelle altre due.
Mezz’ora prima della partenza di Garibaldi da Caserta, il capitano,Gusmaroli aveva ricevuto l’ordine di scortare un pezzo da 18 a Sant’Angelo, e fu egli incontrato da Garibaldi a 400 metri dal piccolo ponte , che attraversa la strada consolare, a un miglio da Sant’Angelo.
Giunte che furono le quattro carrozze a 100,metri dal ponte, un battaglione di cacciatori napoletani movendo dalla direzione di Capua , era giunto a 80 passi dalla strada consolare che esse percorrevano. Il pericolo era imminente, ed ove i regii fossero arditamente corsi alla carica, avrebbero indubbiamente avviluppati ed arrestati que’cocchi. Ma invece di precipitarsi sulla strada, i cacciatori napoletani aprirono un vivissimo fuoco contro le carrozze, che già strascinate dal corso velocissimo dei cavalli, erano giunte a 20 passi dal ponticello. La pioggia di palle era talmente fitta, che uno dei cavalli della seconda carrozza cadeva morto in un col cocchiere che lo guidava. A vedere que’calessi, sembrava impossibile che coloro che gli occupavano avessero potuto salvarsi. Vennero essi traforati da centinaia di palle.
Arrestati i cocchi, Garibaldi scese il primo; gli ufficiali lo seguirono, e, come per orizzontarsi in quel periglioso tafferuglio, scesero nel fossato, che corre perpendicolarmente alla strada. Serrarsi tutti attorno di Garibaldi, fu un momento; eglino erano decisi a vendere a caro prezzo le loro vite minacciate. Gli avamposti di Medici, che guardavano quel punto, erano bensì indietreggiati, ma ordinatamente e senza cessare il fuoco.
Erano eglino milanesi, ed alla voce di Garibaldi, che gli eccitava a resistere, quel pugno d’uomini perdurava nel fuoco, dietro le piante della strada e dietro il parapetto del ponte. Quell’ordine fu dato ed eseguito in un momento, ed accadeva che i napoletani, sebbene s’avanzassero sempre, pur il facessero lentamente. Più dei soldati di Medici, però, valeva ad arrestarli il cannone del Gusmaroli, il quale, avvedutosi come Garibaldi e i suoi compagni fossero sul punto d’esser fatti prigionieri, aveva diretto il pezzo contro gl’irrompenti cacciatori. Garibaldi aveva guadagnato cinque minuti, e per lui cinque minuti non è breve corso di tempo.
Calmo e sereno, cogli occhi sfolgoranti d’ardire, rinvenne egli sulla strada per giudicare la situazione, e, sguainando la spada, al grido di viva l’Italia, s’apprestava a caricare i napoletani.
Erano venti ardimentosi, che intendevano opporsi allo avanzare di un intero battaglione. Veduto però come i cacciatori napoletani avessero rallentata la marcia, quello stuolo scese di bel nuovo nel fossato, seguendo la via che, attraverso le radici di quei colli conduce a sant’Angelo.
In questa via Arrivabene,poggiando troppo nella direzione di S. Prisco, fu ferito in una gamba e poi fatto prigioniero dai napoletani, che avevano girato il monte.
VII.
Garibaldi, sendo nella notte andato a visitare la posizione di sinistra trovò che Monte Sant’Angelo era bene difeso, e che Santa Maria aveva poco sofferto. Finalmente sentì che i napoletani, vincitori a San Tammaro, avevano abbandonato quella posizione e si erano ripiegati con quelli ch’erano stati battuti a Santa Maria e a Monte Sant’Angelo. Il dittatore vide che non v’era nulla a temere da questa parte e corse immediataniente a Caserta.
Intanto Villamarina, ministro sardo, aveva ricevuto i dispacci di Sirtori, il cui linguaggio era pressante. Il ministro divise le inquietudini del generale ed inviò sul campo di battaglia 1500 piemontesi, cioè un battaglione della brigata del Re e due batterie che si trovavano in città. Questi soldati, partiti la sera, arrivarono nella notte al campo.
VIII.
Allo spuntare del giorno 2 ottobre Garibaldi, Sirtori, Bixio e i 1500 piemontesi si trovavano fra Marni e Caserta. Il segnale della partenza era dato e si marciava in avanti.
I napoletani nella notte non istabilirono alcun trinceramento e neglessero le cautele le più elementari della guerra. Affaticati, si riposarono nel parco di Caserta.
I piemontesi marciavano alla testa ai garibaldini, e, da truppe fresche, piombarono con furore sui regii storditi. I soldati di Francesco II resistettero, ma senz’ordine; vennero stretti su tutt’i punti, si sbandarono e vennero fatti in gran parte prigionieri.
Alle undici ore del mattino non vi era più resistenza in nessuna parte, e Garibaldi potè scrivere alle 2 ore pomeridiane : La vittoria è completa su tutta la linea.
IX.
Un milite che si trovò in questo combattimento così scrive: « Dirvi con qual furore i combattesse colà non sarebbe possibile. Io ho fatta l’ultima campagna di Lombardia, mi sono trovato a Magenta ed a Solferino, ma ora credetti assistere un’ altra volta a quelle orribili carneficine. Le posizioni de’garibaldini furono prese e riprese tre volte alla baionetta. La mitraglia solcava profondamente il suolo. Cosa strana! si combatteva senza neppure levare un grido, con un silenzio fremente. Il cannone solo rimbombava da tutte le parti; il cielo era sereno: il sole brillava con tutta la pompa de’ suoi splendori. »
Tutte le forze regie, che hanno preso parte all’azione, erano in numero di 25 mila contro soli 15 mila garibaldini. Il re Francesco II comandava in persona vestito da borghese, e fu veduto qualche volta al fuoco.
Garibaldi trovavasi, quasi per miracolo, dappertutto e specialmente dove più ferveva la lotta e maggiore era il pericolo. Durante il fiero combattimento visitò tre volte tutt’i punti annunciando la vittoria ed incoraggiando i suoi soldati alla tenzone.
I carabinieri genovesi fecero prodigii di valore. Essi soli fecero prigioniero un battaglione di napoletani. I carabinieri non toccarono gravissime perdite. La quinta brigata stette sempre in prima linea a Sant’Angelo e si segnalò per rara intrepidezza di fronte alla mitraglia nemica.
Il maggiore Morici con soli 30 uomini riprese una batteria dalle mani de’regii con ardimento ed intelligenza incomparabili. Garibaldi lo promosse al grado di tenente colonnello.
Il brigadigre Assanti, dopo aver, combattuto co’suoi tutta la giornata dei 1° ottobre, apportando gravi perdite al nemico, nel successivo giorno indefessamente continuò a combatterè con tutta la sua brigata, a seguito dei generale dittatore dalla parte, di Caserta Vecchia, una,colonpa di regii che ascendeva a 8000 uomini, costringendo il nemico a, lasciare un’immensità di prigionieri circondati dalle sue colonne, e grave danno arrecandogli per morti, e feriti.
X.
Ecco l’ordine del giorno pubblicato da Garibaldi; dopo questo fatto, in data 2 ottobre:
“Militi dell’armata italiana!
” Combattere e vincere è il motto dei valorosi che vogliono ad ogni costo la libertà dell’Italia, e voi l’avete provato in questi due giorni di pugna.
Ieri su tutta la linea la vittoria vi coronava. Oggi in Caserta e sulle sue alture si compiva uno di que’fatti d’armi che la storia registrerà tra i più fortunati.
I prodi e disciplinati soldati del settentrione, comandati dal valoroso maggiore Luigi Soldo , hanno mostrato oggi di che è capace il valore italiano riunito alla disciplina, e se sarà calpestata ancora questa antica regina del mondo, quando i suoi figli sieno concordi tutti al riscatto della loro terra, guai !”
Nella rivista che nel giorno 6 ottobre Garibaldi fece a Caserta, il dittatore volse parole cortesi a tutti, ma allorchè si trovò dinanzi di un decimato corpo di bersaglieri. Túrr disse a Garibaldi: – Eccovi i bravi bersaglieri milanesi. – Il generale li osservò e disse loro: – Mi ricordo; sono quei prodi che caricarono così bene nella giornata del primo ottobre, e ch’io ebbi occasione di vedere. Bravi vi batteste da veri italiani, da vecchi soldati; io vi ringrazio a nome anche d’Italia.
XI.
Poco mancò che le schiere di Francesco II piombassero sulla capitale. La strage dell’una e dell’altra parte fu grande, e dopo il tripudio del popolo nelle prime ore del cessato pericolo, la capitale era atteggiata a serietà confinante colla mestizia pensando allo sparso sangue italiano.
La mancanza di cavalleria e la scarsità di artiglieria dei garibaldini fece risaltare la loro prodezza, ma rese assai più lunga e sanguinosa la lotta,
La vittoria riportata da’ garibaldini al Volturno occupò non solo la stampa napoletana, ma quella di tutta Europa. L’importanza, la durata e la ferocia dell’azione, lungamente dubbiosa, l’ardito tentativo del Borbone, sebben fallito, e il capitale pericolo che corse Garibaldi, scossero l’opinione pubblica.
Dopo i fatti del 1 e 2 ottobre Garibaldi mandò al sig. Villamarina, ministro sardo, un suo aiutante, per ringraziarlo dell’aiuto che gli avevano recato i piemontesi.