ANCORA LA BATTAGLIA
Di Antonio Pagano
Il miglior resoconto circa la condotta del generale Scotti al Macerone rimane tuttavia quello del cappellano don Giuseppe Buttà (Un viaggio da Boccadifalco a Gaeta), eroico comprimario nella difesa di Gaeta:
“Trovavasi in S. Germano (Cassino, allora enclave pontificia, ndr) il generale Scotti, con un’alta missione politica e finanziaria; egli si avvicinò ad Isernia. Aveva sotto il suo comando poca gente, cioè 240 volontari e pochi gendarmi, capitanati dal tenente colonnello Achille de Liguori; questa poca forza gli era stata data per proteggere le popolazioni dalle intemperanze e soprusi de’ rivoluzionari contro quei paesi da costoro invasi. Scotti non volle credere agli avvisi di de Liguori; il quale avevagli fatto conoscere che alla Vandra era giunto un Corpo di esercito piemontese. A questo avviso avrebbe dovuto correre per occupare la forte posizione del Macerone, dove con poca gente si poteva tenere a segno numeroso nemico, e darne conoscenza al generale in capo Ritucci. Scotti, poco curandosi di tutte le notizie che riceveva conformi a quanto avevagli detto de Liguori, rimase inoperoso, supponendole false, o che aveva da fare con masse armate solamente.
Nondimeno prese una determinazione che è inesplicabile, cioè a dire, si recò a Venafro ov’era altra truppa per condurla ad Isernia. Si trovava in quel paese un pelottone (cioè un plotone, ndr) di cacciatori a cavallo, comandato dal 1° tenente Paolo Vincenzo Santacroce, due cannoni guidati dall’aiutante de Felice, e dieci compagnie del 1° di linea (l’altre due erano ad Itri) comandate dal tenente colonnello Gioacchino Auriemma, uffiziale che si era ben distinto nel 1849 sotto Satriano alla riconquista della Sicilia, ed in varii fatti d’armi nel 1860. Auriemma ligio alla disciplina militare non voleva marciare per Isernia senza l’ordine del Generale in Capo, ma Scotti l’obbligò facendo uso di quella facoltà che avea di Commissario straordinario con l’alter-ego. Scotti la mattina del 20 ottobre, diede l’ordine a tutta la sua gente di salire sulla montagna del Macerone ed attaccar zuffa co’ supposti rivoluzionari. In quella sopraggiunsero tre villici tutti affannosi, e dissero al tenente Santacroce che sul Macerone era accampata molta truppa estera. Scotti, avvisato, tuttavia non volle crederlo, anzi sgridò molto il Santacroce, e gli diede del ciarlone; costui era andato alla scoperta, ed assicurava che sul Macerone vi fossero soldati piemontesi. Quel Generale aveva proprio la mania dell’incredulità e di condurre i suoi soldati al macello: fece arrestare i tre villici come spargitori di notizie false, ed ordinò a tutti i suoi dipendenti di assalire i supposti rivoluzionari sul Macerone: egli però rimase aspettando sulla via consolare. Quella poca truppa fu divisa in tre piccole colonne e marciò all’assalto del nemico; il quale trovavasi sopra una posizione inespugnabile. Sul Macerone realmente era giunta una parte dell’esercito piemontese, cioè ottomila uomini con artiglieria e cavalleria, e procedevano a grosse colonne. Comandava l’avanguardia il generale Griffini con due battaglioni di bersaglieri e due cannoni rigati. Costui, appena vide la poca truppa napolitana che si avanzava, mandò incontro una squadra di rivoluzionari per insultarla, ma costoro furono ben picchiati ed inseguiti dai soldati borbonici. Giunti i Napoletani a tiro, furono assaliti da tutta l’oste sarda. Cialdini con la brigata “Regina” dalla via maestra, corse alla carica, e prolungava le ale del suo esercito per avviluppare i borbonici. Costoro si difesero da valorosi in quello scontro ove combattevano uno contro dieci e con lo svantaggio della posizione e della sorpresa. Si distinse piú di tutti per bravura ed accorgimento il tenente colonnello Auriemma, che dirigeva quello assalto; si distinsero pure i due maggiori del 1° di linea Ciccarelli e Pellegrino, il capo pelottone de’ Cacciatori a cavallo Santacroce, l’aiutante di artiglieria de Felice, non che il tenente colonnello de Liguori, che comandava i gendarmi. Però essendo pochi di numero, ripiegarono inseguiti da’ lancieri di Novara, comandati dal capitano Coccolito-Mondio. Furono feriti in quell’incontro i tenenti Antignano e Giordano. Rimasero prigionieri 400 soldati del 1° di linea, ed il comandante Auriemma. I lancieri di Novara, caricando i Napoletani, che ancora erano sulla via consolare, fecero prigioniero il generale Scotti; mentre gli altri presero la via di Venafro. Con lo Scotti furono fatti prigionieri il colonnello Gagliardi dello Stato Maggiore, il tenente colonnello de Liguori, tre uffiziali di gendarmeria, 125 gendarmi e i due cappellani del 1° di linea D. Francesco Mirone e D. Oronzo Lagatta, tutti e due feriti, uno al braccio e l’altro alla testa, da un lanciere di Novara. Dei cacciatori a cavallo rimase prigioniero il 1° tenente Santacroce … il resto dei soldati Napoletani si ritirò per i monti di Venafro, e raggiunse il grosso dell’esercito in Teano”.
Il generale Scotti fu poi inviato prigioniero a Torino. In una nota a pie’ di pagina il Buttà conchiude: “Quattro storici contemporanei, cioè Delli Franci, Cava, tutti due dello Stato Maggiore, de Sivo e Farnerari dicono parole amare contro il generale Scotti, per il modo come si comportò prima e dopo la di lui prigionia”.
Frattanto il Ministro degli Esteri di Francesco II, Casella, inviava una protesta al Corpo Diplomatico residente in Gaeta: “… Mentre Re Francesco lascia la vita a’ volontari stranieri ed a’ suoi ribelli, diventati garibaldini, generali sardi mettono a morte i sudditi fedeli del legittimo Sovrano, combattenti per la Patria …” e Francesco II a sua volta, fece pervenire un accorato appello ai sovrani d’Europa, divenuti sordi ad ogni convenienza politica. Austria e Russia, potenze conservatrici e alleati naturali del Regno, avrebbero pagato successivamente in modo amaro la loro fellonia e cecità: ” … Per sí turpi atti forse i regi soldati saranno schiacciati, e soccomberà l’indipendenza e l’antica Monarchia di questo paese, ma soccomberanno pure tutti i diritti, i principii e le leggi su cui la sicurtà delle nazioni riposa. Le Sicilie cadute saranno prova al mondo ch’è lecito calpestare la lealtà e la giustizia … i diritti, i trattati, spregiando le umane leggi, e sfidando l’opinione dell’Europa civile”.
CONSEGUENZE DEL MACERONE
Dopo il Macerone, nei giorni 21 e 22 ottobre, l’esercito sgombrò la linea del Volturno e iniziò la ritirata oltre il Garigliano. Furono molti i fatte d’arme in cui rifulse il valore dei nostri soldati. Ma ormai l’esercito era accerchiato e la sua prossima fine era nell’aria. Gaeta fu l’estrema difesa della Monarchia e del Regno. A questa seguí una dittatura ferocissima, sanguinaria, di cui non è dato trovar simili negli annali delle storie. Neppure in questo secolo di mostri.
Il 2 novembre 1860 cadde la piazza di Capua. Fuori le mura, a godersi lo spettacolo della resa, c’era quella vermona vestale del cinismo e del tradimento, di nome de Benedictis, insieme ad altri carognoni generali vendutisi al nemico, tutti degni d’ ‘a forca ‘e masto Donato: Adraga, Zaini, Jovine, Ferrarelli, Locascio, Cosentino “tutti beneficati, o mantenuti gratis da’ Borboni nei collegi militari … I soldati capitolati di Capua entrarono in Napoli il 4 novembre, e furono vilipesi e insultati dai camorristi; poi furono mandati a Genova …” (Don Giuseppe Buttà, ibidem).
Vadano ai valorosi e fedeli soldati delle Due Sicilie e a tutti i martiri della feroce invasione le benedizioni della nostra Patria derelitta, con la speranza che il Divino Artefice e Sommo Reggitore dell’Universo li abbia felicemente accolti nel Suo infinito seno. Amen.
Preghiera di Francesco II (diario, 31 dicembre 1867):
“Metto nelle mani del Signore la causa del mio trambasciato (afflittissimo, N.d.R.) paese”.
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