Il filosofo Marotta: «Napoli e la sindrome briganti»
Corruzione. Imbrogli. Degrado dell’etica civile. Il filosofo Marotta: «La città sconta il genocidio di intellettuali del 1799. Da allora il Potere si è fatto gli affari suoi».
di Enzo Ciaccio
27 Dicembre 2015
Colpevole o innocente che sia, «il governatore della Campania Enzo De Luca è», come tutti gli altri che amministrano i territori al Sud d’Italia, «il discendente di quei briganti di strada cui re Ferdinando IV di Borbone affidò il governo dopo aver ammazzato gli intellettuali che avevano animato la rivoluzione napoletana del 1799».
Gerardo Marotta, 88 anni, avvocato, filosofo illuminista, giacobino, liberale, fra gli ultimi discepoli di Benedetto Croce e presidente dell’Istituto italiano per gli studi filosofici, spiega che «da allora nelle terre del Sud d’Italia hanno governato sempre e soltanto i discendenti di quei banditi».
«GENOCIDIO DELL’INTELLIGENZA». Ecco perché, aggiunge, «non c’è da meravigliarsi per la corruzione, i ricatti, le accuse e tutto quel che di imbarazzante si sta ipotizzando in Regione Campania».
Lo “sguardo da fanciullo”, il cappellaccio nero a larghe falde, la voce flebile ma stentorea, una vita dedicata alla cultura liberale: imbrogli, raccomandazioni, degrado dell’etica civile sono, per il filosofo di via Monte di Dio amatissimo alla Sorbona, «conseguenze inevitabili di quel genocidio dell’Intelligenza perpetrato da re Ferdinando».
E si sa che – quando si ammazza il Pensiero – «sono guai per tutti».
Già, ma per Napoli c’è speranza o no di riscatto? Gerardo Marotta ha accettato di parlarne con Lettera43.it.
Il filosofo Gerardo Marotta.
DOMANDA. Perché lei sostiene che tutti i guai della politica al Sud d’Italia comincino con la sconfitta della rivoluzione napoletana del 1799?
RISPOSTA. Perché la vendetta consumata da re Ferdinando IV contro gli intellettuali che si erano ribellati fu un genocidio: andarono a stanarli uno a uno, sterminando le menti eccelse e le figure secondarie.
D. La conseguenza?
R. Da allora a Napoli scomparve ogni traccia dei filosofi, dei giuristi, dei letterati, degli scienziati della politica. Fu una operazione di pulizia etnica.
D. E poi?
R. Il disastro fu completato affidando il governo della cosa pubblica alle orde di briganti che avevano aiutato il cardinale Ruffo a sconfiggere la repubblica.
D. Chi erano?
R. Analfabeti, delinquenti, gentaglia che non aveva la minima idea di come si governa. E dopo di loro governarono i figli. E poi i nipoti, e i pronipoti. I Borbone mantennero intatta l’impostazione anti-intellettuali del loro regno.
D. Ma ai giorni nostri le cose saranno pur cambiate. O no?
R. Per niente. Dopo aver ottenuto la Costituzione, ci si è accontentati di farsi governare dagli esponenti della cosiddetta società civile.
D. E allora?
R. È stato un madornale errore.
D. Perché?
R. Al governo sono rimasti gli analfabeti, cioè i discendenti dei briganti di Ferdinando IV. Gente che non ha la più pallida idea di come si amministri un territorio e che pensa solo a farsi i fatti suoi.
D. Giudizio troppo drastico, forse.
R. Napoli oggi è affollata di persone bravissime a farsi i fatti propri.
D. Possibile che siano tutti “briganti”?
R. No, qualcuno onesto e capace c’è ancora. Ma non vi accorgete che non si riesce a mettere insieme una giunta comunale o regionale decente? Il sindaco De Magistris ha trovato il bravo Nino Daniele per la Cultura, ma poi il resto… è scamonea (pianta erbacea dagli effetti purgativi, ndr).
D. Governare Napoli è complicato per tutti.
R. Dal 2011, quanti assessori sono cambiati? Una folla. È normale un tale girotondo? No che non lo è. Del resto, già Francesco Saverio Nitti ai suoi tempi fece i conti con l’impossibilità di governare con quel tipo di persone. E ne prese atto.
D. Il critico d’arte Philippe Daverio sostiene che per risollevare Napoli dovrebbero andare al governo gli optimates, cioè i migliori.
R. Invece in Campania e al Sud d’Italia accade il contrario: al Potere ci va lo scarto della società.
D. Eppure, prima dell’eccidio di re Ferdinando era tutto un fiorire di intellettuali e la cultura europea si irradiava proprio da Napoli.
R. Lo sapeva bene il presidente François Mitterrand, mio amico, che quando nel 1989 si trattò di celebrare l’anniversario della rivoluzione francese pretese la presenza a Parigi di una delegazione napoletana che potesse testimoniare l’importanza dei moti del ’99 soffocati nel sangue.
D. Stefano Caldoro, poi Enzo De Luca: ne dia un giudizio, da cittadino campano.
R. Non si tratta di grandi statisti. E neanche di statisti. Caldoro ci ha fatto fare la fame: non erogava un soldo alla cultura ma sprecava in feste, balletti, sagre del maiale.
D. E De Luca?
R. Non lo conosco. Mi dicono che a Salerno avrebbe fatto bene. Le accuse? Sono assai pesanti.
D. Che ne pensa?
R. Ignoro il suo grado di preparazione, ma so che – come gli altri – si porta addosso il peso dei suoi predecessori “briganti”. E scommetto che, al di là dei finti elogi, non riuscirà mai a trovare 10 o 12 persone in grado di fare gli assessori in maniera decente.
D. Dunque, per Napoli e Campania non c’è speranza di riscatto?
R. Il filosofo Biagio De Giovanni di recente ha espresso preoccupazioni molto simili.
D. Se Napoli piange, però, Roma e Milano mica ridono. O no?
R. Vero, ma altrove – almeno – qualche buona idea riescono a realizzarla. Prenda il sindaco Giuliano Pisapia, per esempio.
D. Ne dà un giudizio positivo?
R. Rispetto agli altri, sì. Ma il fatto che non abbia alcuna intenzione di ricandidarsi dimostra che lui per primo sa di non poter ripetere i buoni risultati fin qui miracolosamente ottenuti.
D. A Napoli sarebbe possibile ottenere i risultati di Pisapia?
R. No, e neanche a Reggio Calabria e nelle altre città del Sud d’Italia.
D. La sua visione dei Borbone sembra da film horror.
R. È solo verità storica. Antonio Serra, che era il più grande economista d’Europa, veniva tenuto in carcere in condizioni talmente brutali che i Gesuiti, rischiando la pelle, gli procurarono un giaciglio di seconda mano per alleviargli le pene.
D. Se quel che dice è vero, gli intellettuali napoletani di oggi chi sono: usurpatori di titolo?
R. In Italia la classe degli intellettuali ha retto fino a Pier Paolo Pasolini. Poi, Alberto Moravia docet, gli intellettuali non hanno più accettato di impegnarsi in politica in prima persona.
D. Da quando?
R. Lo spartiacque fu negli Anni 60 Aldo Moro che, su richiesta della lobby dei costruttori, buttò fuori da uno dei suoi governi l’economista Antonio Giolitti, nipote del liberale Giovanni, colpevole di aver elaborato uno straordinario piano di programmazione economica.
D. Il portone di Palazzo Serra di Cassano, sede dell’istituto per gli studi filosofici, è chiuso in segno di lutto per il degrado di Napoli.
R. Lo feci riaprire solo nel 1994, all’epoca del promesso Rinascimento di Antonio Bassolino che non c’è stato. Poi, è stato richiuso.
D. Riaprirà, prima o poi?
R. Al momento non ne vedo le condizioni.