Cronache dal brigantaggio e dintorni di Valentino Romano (III)

Cronache dal brigantaggio e dintorni di Valentino Romano (III)

Posted by altaterradilavoro on Feb 6, 2025

Il fiume della Storia trascina e sommerge le piccole storie individuali, l’onda dell’oblìo le cancella dalla memoria del mondo; scrivere significa anche camminare lungo il fiume, risalire la corrente, ripescare esistenze naufragate, ritrovare relitti impigliati sulle rive e imbarcarli su una precaria Arca di Noè di carta.

Claudio Magris

Solo una spiacevole vertenza …

Castelliri, ottobre del 1861

Il 27 ottobre del 1861, tre ragazzine tra i dodici e i tredici anni, Maria Grazia Lisi, Pasqua Velocci e Maria Baglioni, che abitano nei pressi di Veroli, in territorio pontificio, vengono mandate a raccogliere castagne nei boschi di Castelluccio (ora Castelliri): devono prima munirsi del permesso scritto da parte del sindaco di questo paese che ricade in territorio dell’ex Regno delle Due Sicilie; lo ottengono, previo pagamento di 32 grani a testa.

Si annuncia una serena, anche se faticosa, giornata di lavoro: bisogna aiutare le famiglie in qualche modo e, di questi tempi, anche a quell’età non si è più bambini ma adulti. Ma le ragazze non hanno fatto i conti con la sporca guerra che insanguina le loro terre. Lungo il confine si muovono le bande brigantesche che agiscono in territorio napoletano e si riparano poi nello stato pontificio. La zona è perciò presidiata costantemente dalle truppe dell’esercito italiano, anche per fronteggiare quello francese che difende il territorio del papa.

Le ragazze hanno pieno solo a metà i sacchi, quando sopraggiunge una pattuglia del 44° Reggimento di Linea: i soldati, intraviste persone aggirarsi nel bosco, non ci pensano due volte, non possono essere che briganti. E aprono il fuoco alla loro volta. Il risultato è devastante: Maria Grazia Lisi, dodici anni appena, è colpita a morte. La pallottola fatale, come scrive il comandane delle truppe francesi al suo omologo italiano entrée par la partie gauche de la poitrine, etait sortie par la partie droite de dos, prés de la colonne vertebrale aprés avoir touchè le poumon.”

Le ragazze superstiti scappano a casa per avvertire i parenti e sul posto accorre subito Pasquale Lisi, uno zio della poveretta: deve sudare sette camicie per convincere i soldati italiani a consegnargli il corpo perché possa trasportarlo a Veroli. I fanti,  al contrario,  vorrebbero portarselo dietro, a Castelluccio, magari per occultare nel miglior modo possibile l’omicidio.

Immediatamente prorompe lo sdegno della popolazione ed anche quello del generale De Gerandon, che comanda il corpo d’occupazione francese a Roma. Se ne fa portavoce con una durissima nota che rischia di provocare un serio incidente diplomatico: senza mezzi termini bolla il fatto come  un atto di barbarie immotivate e chiede espressamente la punizione dei colpevoli, il cui comandante è il colonnello Lopez. Aggiunge anche che i soldati protagonisti di questo tragico fatto sono gli stessi che qualche tempo prima avevano ucciso a Monte S.Giovanni due uomini in fuga.

Evidente è l’imbarazzo delle autorità politiche che non sanno che pesci prendere: Della Rovere, ministro della Guerra, scrive a Lamarmora che comanda il VI Gran Dipartimento Militare sollecitando una commissione d’inchiesta. La sua missiva è un capolavoro di ipocrisia politichese perché, se da un lato chiede l’accertamento della verità, dall’altro ne suggerisce l’interpretazione: “… per parte mia devo soggiungerLe come non possa credere alla stupida barbaria della quale vengono accusati nostri soldati; solo un errore potrebbe spiegare il fatto se fosse vero.”

Istituita la solita, spicciativa commissione d’inchiesta, non si viene a capo di nulla: la relazione finale del capitano Zanzi parla di “fortuito caso”; la morte della povera ragazza è “non altrimenti che una spiacevole vertenza”.

De Gerandon proprio non ci sta e continua a inondare le autorità italiane di missive infuocate, ribadendo che si è trattato di “un atto di inaudita e premeditata barbarie del quale ha avvertito il suo governo”. Invano, perché nonostante i suoi sforzi, non riesce ad ottenere giustizia.

E La Marmora che dice? Fa spallucce e, scaricando la patata bollente al Ministero, se ne esce con un infastidito: “Questi francesi…si preoccupano di piccole vertenze, sconfinamenti di bersaglieri e non si preoccupano delle bande al confine”.

Evidentemente, per l’eroico comandante dei bersaglieri di sua maestà, morire per nulla,  a dodici anni, per una pallottola scostumata, è una bagatella!

Meglio occuparsi di cose più serie. I briganti, per esempio!

(Da Briganti e galantuomini, soldati e contadini, Laruffa Editore, Reggio Calabria, 2016)