LE DONNE DEL BRIGANTAGGIO | 21° episodio CHI HA UCCISO APOLLONIA?
di Valentino Romano (*)
Catanzaro, marzo del 1864
La sera del 31 marzo una pattuglia mista di soldati del Regio Esercito e di Guardie Nazionali perlustra le campagne intorno a Catanzaro: è una serataccia, piove a dirotto e i militi, bagnati fradici, cercano riparo dove possibile; intravedono in lontananza un casolare illuminato e vi si dirigono. I militi, giunti nei pressi e udito il suono di una zampogna e il vociare allegro di più persone, s’insospettiscono e si dispongono a raggiera per circondare la masseriola: non si sa mai, può essere un’innocuo passatempo dei contadini ma anche una festicciola organizzata da briganti. In quel preciso momento esce dal casolare una donna e si accinge ad allontanarsi; sull’uscio s’intravede un uomo che sembra far la guardia. La donna, tale Anna Pellano, moglie del colono Salvatore Canino, che successivamente interrogata, dirà poi esser uscita per soddisfare un “bisogno naturale”, si avvede della presenza di armati e li scambia per briganti. E, cosa che ai soldati appare rivelatoria, li invita a entrare, spiegando che dentro vi sono altri loro compagni. Ma è un attimo: al chiarore di un lampo Anna scorge le divise e si terrorizza: “Allora siete la forza, mamma mia, mamma mia”. L’uomo sull’uscio lancia l’allarme, “allarmi, la forza. I due riparano precipitosamente all’interno della casupola e ne rinchiudono la porta. La zampogna tace all’improvviso e il suo suono è sostituito, dopo qualche secondo, dal crepitare di colpi di moschetto che partono dalle finestre. I militi non si fanno sorprendere e rispondono al fuoco con veemenza. Il conflitto si protrae per oltre un’ora. La casa è circondata, come si è detto, e non vi è possibilità di fuga alcuna per gli occupanti, né dalle finestre né dai tetti. I briganti assediati, perché tali sono gli ospiti della casa, tentano allora una fuga disperata: dalla porta principale del fabbricato rurale fanno uscire una “gran quantità di pecore ed asini” e, confusi tra gli animali e con il favore del buio, riescono a dileguarsi. Sono momenti concitati, si spara all’impazzata alla cieca e, nei cespugli circostanti si sente il lamento di un ferito. Alla fine i primi militi riescono a irrompere nella masseriola, rinchiudono all’interno Anna, Salvatore e Raffaele, suo fratello e chiedono, ricevendone un deciso diniego, se vi sono ancora briganti in casa. Il grosso della truppa ricerca vanamente nei pressi dell’abitazione il brigante probabilmente ferito. Visto vano il tentativo, tutta la truppa procede a un’accurata perquisizione della masseria, partendo dai bassi e dai magazzini. Passa così un’altra ora: i militi chiedono nuovamente ai coloni se vi è nascosto qualcuno. La risposta è fredda: “adesso accendiamo il lume e facciamo diligenza”. I due fingono di perlustrare i piani alti e ne discendono, riferendo ai soldati: “sopra non vi sono più briganti ma una donna che a loro apparteneva, morta”. Ai militi non resta che accertarsi del fatto e due ufficiali salgono al piano superiore, trovando la “disgraziata scannata”, ancora calda, mentre ancora sgorga il sangue”.
“Sono stati i briganti”, sostengono i due coloni.
Ormai è quasi mattino, le prime luci dell’alba permettono ai militi di catturare il brigante ferito che viene subito interrogato. E il brigante fornisce la sua dichiarazione, spiega che si trovava in quella casa con altri quattro compari e con la sua donna, Apollonia Marino; che non era nemmeno la prima volta e che era lì da due giorni. Al comparire della forza avrebbe raccomandato alla donna di rimanere nella stanza e – in caso di cattura – di dichiarare di essere stata presa con la forza. Gli inquirenti vogliono saperne di più: un sospetto atroce si fa strada nei loro pensieri. E gli chiedono dove si trovasse la donna; risponde di averle consigliato di starsene nascosta dietro l’uscio della stanza al piano. Viene interrogato Raffaele, l’altro dei fratelli Canino, che ammette di essere salito nel piano superiore al momento dell’attacco della forza ma di non aver visto la donna che è stata sempre chiusa in una camera; non ha sentito alcun grido o tramestio di colluttazione ma, ugualmente, crede che Apollonia sia stata uccisa dai briganti per non essere loro d’impaccio nella fuga. Anche Salvatore e Anna si tengono sulle stesse generiche posizioni: tutti recitano la solita litania della costrizione e della paura che li ha costretti a dare ospitalità ai briganti.
La voce pubblica, i testi ascoltati e le informazioni di P.S: lasciano trapelare però il sospetto che i fratelli Canino e Anna siano da lungo tempo manutengoli dei briganti, che ne abbiano, anzi, tratto considerevoli vantaggi economici e che abbiano dato loro più volte ricovero. Insomma, ci sarebbe materiale sufficiente per incriminarli di manutengolismo. Ma, stranamente vengono assolti.
C’è quel sangue di donna però, quel sangue ancora caldo dopo quasi tre ore che grida vendetta; che indica chiaramente come la poveretta sia stata uccisa quando i briganti non c’erano più, certamente per eliminare un testimone scomodo. Ma sono dettagli: è solo il sangue di una ragazza qualsiasi fra i 16 e i 20 anni: l’omicidio di una poveraccia è reato che isola dalle competenze tribunali militari in tutt’altre faccende affaccendati. Cosa vogliamo che gliene possa importare a lorsignori di chi l’abbia uccisa? Anzi, è pure più funzionale attribuirne la paternità ai briganti. Tanto non possono difendersi.
E così non solo un crudele omicida non viene perseguito come dovrebbe essere doveroso ma un’altra poveraccia, Apollonia, va a ingrossare la folta schiera delle vittime femminili della guerra cafona.
Del resto, una in meno, una in più …cosa cambia?
(*) Promotore Carta di Venosa