CHI ERA LA “DRUDA”?

LE DONNE DEL BRIGANTAGGIO | 32° episodio MA SI PUÒ SAPERE DI CHI ERA LA “DRUDA”?
di Valentino Romano (*)

Melfi, novembre del 1861

Il distaccamento di Melfi del 62° Fanteria della Brigata Sicilia, tramite i Reali Carabinieri, viene avvertito della presenza del feroce capobanda Gerardo Gammino nella vicinanza della cascina Cattapane, verso l’Ofanto.
Il rifugio del brigante è una grotta, dove si è riparato con il suo luogotenente Antonio Buldo di Lacedonia e un donna, Rosa Cilenti.
È ormai sera quando una formazione mista (soldati del Regio Esercito e Guardie Nazionali) composta da una sessantina di uomini raggiunge il posto e circonda la grotta, impedendo ogni via di fuga agli occupanti. Tuttavia stanare il capobrigante è impresa ardua: la grotta, infatti, è conformata in modo tale da poter resistere ad ogni attacco. L’accesso visibile è consentito solo attraverso una strettoia appena sufficiente a consentire il passaggio di un uomo e, quindi, facilmente difendibile. Alcuni contadini del posto spiegano ai soldati che all’interno vi sono dei grandi ambienti e – a quanto si dice – lungo il cunicolo d’accesso vi sarebbero anche delle piccole aperture laterali che potrebbero consentire la fuga.
L’ufficiale comandante si rende allora conto che i briganti sono sì intrappolati ma anche che catturarli è estremamente difficoltoso e dispone a più ampia raggiera la sua forza: da qualsiasi parte dovessero tentare di svignarsela i briganti si troverebbero di fronte un fucile spianato. La situazione è di stallo, dunque. Che fare? Il prudente ufficiale pensa bene allora di mandare in avanscoperta non un soldato ma un contadino. Tanto, avrà pensato, anche se lo ammazzano cosa importa? Ce ne sono così tanti (e pure infidi) in giro che uno in più o uno in meno non cambia nulla. E il povero contadino, sicuramente stramaledicendo la sfiga di essersi trovato da quelle parti proprio in quei momenti, muove i primi, incerti passi lungo il cunicolo. Dall’interno l’accoglienza, come si può facilmente intuire, non è propriamente la migliore: certamente non ci si poteva aspettare un garbato “accomodatevi!”. Al suo posto, infatti, arriva una schioppettata che costringe il malcapitato a precipitosa ritirata. A lasciarci le penne sono tre Guardie Nazionali (una uccisa sul colpo, altre due ferite) alle quali il comandante aveva dato l’ordine di seguire il contadino. Il “vai avanti tu che poi vengo io” dell’ufficiale corrisponde, infatti, a una sorta di “schema d’importanza”: prima i contadini che non contano proprio nulla, poi le Guardie nazionali che contano solo qualcosina in più (ma proprio qualcosina, niente d’importante, veh) dei contadini; e poi, se proprio non se ne può fare a meno, i soldati del Regio esercito che, invece, contano eccome!
Il tentativo abortisce e, del resto l’oscurità della notte, non favorisce altre soluzioni: si decide allora di attendere le prime luci dell’alba. Giunta questa, si tenta un altro assalto, ma anche l’ennesimo tentativo non sortisce l’effetto desiderato: è d’uopo escogitare qualcosa e il maggiore comandante si consulta con le “persone distinte” del paese che, nel frattempo, sono corse sul posto per godersi lo spettacolo; così nel malaugurato caso di negativo esito finale nessuno potrà prendersela solo con lui. E il consiglio delle “persone distinte” è di una perfidia che non ha eguali: si ricorra al solito ricatto degli affetti, prelevando dalle loro abitazioni il padre e il fratello di Gammino e li si costringa a convincere il congiunto ad arrendersi. Detto fatto! Una volta arrivati, i due chiamano a gran voce il brigante, ma dalla caverna non arriva nessuna risposta. Solo si sente un rumore “come se si lavorasse di zappa”. Non c’è tempo da perdere, i briganti stanno trincerandosi o stanno aprendosi una via di fuga e il maggiore vorrebbe costringere i parenti a entrare nella grotta: però padre e fratello del capobrigante oppongono un netto rifiuto a causa – dice il rapporto – della “perversità del brigante”.
Che fare allora? Altro consulto con le “persone distinte” e si decide di stanare i briganti …affumicandoli: all’ingresso della caverna viene ammucchiata molta paglia e legna alle quali si dà fuoco.
Le fiamme crepitano e il fumo, sospinto dal vento, invade la grotta. Si dà nuovamente voce agli assediati ma, nemmeno questa volta, si ottiene la benché minima risposta. Anzi, il silenzio è assoluto, sono cessati anche i rumori.
D’imperio il maggiore costringe il fratello del brigante a inoltrarsi nella grotta con una lanterna: dal di fuori si sente l’uomo chiamare, poi più nulla; dopo qualche tempo ne esce sconvolto, in lacrime. All’interno sono tutti morti.
Il maggiore del Regio esercito, che oltre ad essere estremamente prudente è altrettanto sospettoso, non è del tutto convinto e manda dentro anche il padre che, a sua volta, esce confermando il generale decesso degli occupanti.
Solo a questo punto gli eroici soldati ritrovano improvvisamente il coraggio che prima avevano nascosto da qualche parte e, uno alla volta, entrano nella grotta. Poi ne escono, portandosi dietro, tra gli applausi delle “persone distinte”, i cadaveri di Gerardo, Antonio e Rosa con tutti gli oggetti rinvenuti nella caverna.
È stata dura, ma finalmente si può tornare in città a festeggiare: qui, more solito, i corpi dei briganti, “dietro preghiere degli abitanti, giulivi di questo fatto”, sono esposti nella piazza principale.
E il bravo maggiore stila un meticoloso rapporto sull’accaduto, non trascurando di elencare gli oggetti rinvenuti: una croce d’argento, alcuni anelli d’oro, una fede bancaria di 200 ducati, duecentosette piastre, due fucili, due pistole, vestiti e divise militari, materassi, cuscini e lenzuola.
Solo alla fine del rapporto si preoccupa di riportare le generalità dei briganti e della donna, che prima ha indicato solo genericamente come “briganti” e “druda”: “Gammino Gerardo di Melfi, Buldo Antonio di Lacedonia ma residente a Melfi e Rosa Cilenta, druda de’ due suindicati”.
Amici, avete letto bene …” druda de’ due”; e che, se di briganti nella caverna ce ne fossero stati di più, il maggiore cosa avrebbe scritto, “druda di tutti?” Ma tant’è, ormai è morta e si può dire quello che si vuole; a chi volete che importi se, oltre che per “brigantessa” la facciamo passare pure per puttana? Tra l’altro e detto tra noi, nella concezione dei militari e delle “persone distinte”, il secondo termine è sinonimo o rafforzativo del primo. E poi a chi importa ripristinare la verità dei fatti? Certamente non ai “cittadini giulivi” della sua morte e, ancor meno ai vertici militari che leggeranno il rapporto.
Sicuramente, però, importa a voi che leggete e a me che scrivo, perché, tutti insieme e pur – come al solito – senza nutrire anacronistici rancori, non ci beviamo più la favoletta che ci hanno sempre propinato a scuola della “esportazione della libertà al Sud” e del conseguente trionfo della civiltà e del progresso. Come dite, allora “si stava meglio quando si stava peggio”? No, amici miei, il Sud è stato sempre “peggio”! S’intende solo a quei tempi! O no? E con questo dilemma vi auguro una buona domenica.

(*) Promotore Carta di Venosa

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