Nota dell’Autore
Questo lavoro deriva dalla mia tesi di laurea Studio linguistico di testi di briganti sanniti, svolta sotto la sapiente guida del prof. Nicola De Blasi e discussa presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università “Federico II” di Napoli nell’A.A. 2000-2001. Il volume rappresenta un punto d’arrivo di un lungo percorso di studi durato ben dieci anni, durante il quale ho ottenuto due importanti riconoscimenti: il terzo premio nella sezione “Tesi di laurea” al Concorso letterario “Mario Pannunzio” bandito dal Centro Studi e Ricerche “Mario Pannunzio” di Torino, per la singolarità e l’elevato spessore scientifico dell’argomento trattato (18 ottobre 2003); un diploma di merito nella sezione “Ricerca” alla XV edizione del Premio Internazionale “Atheste” di Este (Padova), bandito dall’Associazione Italiana Maestri Cattolici e l’Unione Cattolica Artisti Italiani (31 ottobre 2004).
Dei trenta testi, oggetto di studio della mia tesi, ne ho selezionato sedici sui quali ho concentrato la mia attenzione.
Lo scopo è stato quello di pubblicare i sedici testi sul Bollettino Linguistico Campano, rivista di dialettologia, sociolinguistica e storia della lingua italiana (Liguori editore) diretta da Nicola De Blasi e Rosanna Sornicola.
Per ragioni di spazio, la pubblicazione dei testi è avvenuta in due tempi: Sedici lettere di briganti sanniti in BLC, 3-4, 2003 e Sedici lettere di briganti sanniti. Il lessico in BLC, 11-12, 2007.
Dunque, per me l’epilogo più gratificante di questa indagine sugli scritti dei briganti sanniti sarebbe stata la pubblicazione in un unico volume dei due saggi poc’anzi menzionati. Ebbene, questa importantissima occasione mi è ora data dalla Provincia di Benevento, presieduta dal prof. ing. Aniello Cimitile, che ringrazio infinitamente per aver permesso la pubblicazione del presente lavoro. Rivolgo, inoltre, un pensiero di gratitudine all’assessore con delega alle politiche per la cultura Carlo Falato e alla dott.ssa Irma Di Donato, dirigente settore relazioni istituzionali, affari generali,internazionali, presidenza Provincia di Benevento, al dott. Antonio De Lucia, direttore responsabile ufficio stampa della Provincia di Benevento e al dott. Pellegrino Giornale, portavoce del Presidente.
La mia infinita riconoscenza va al prof. Nicola De Blasi, non solo punto di riferimento costante e prezioso, ma anche ispiratore della mia ricerca: i suoi insegnamenti, durante il mio percorso di studi, sono stati fondamentali nella mia formazione linguistica. Al prof. De Blasi devo, altresì, un sentito ringraziamento per avermi dato per primo la possibilità di pubblicare i testi dei briganti sul BLC. Ringrazio, il prof. Francesco Montuori per le importanti indicazioni ricevute al momento dell’impostazione del glossario. Grazie di cuore, infine, alla casa editrice Auxiliatrix Arti Grafiche Benevento, e a tutti coloro che hanno condiviso con me le tappe di questa ricerca, aiutandomi con preziosi consigli.
ANGELA GENTILE
Introduzione
1. Studi sulle scritture dei briganti
I testi briganteschi hanno richiamato l’attenzione di studiosi appartenenti a vari settori della ricerca. Nell’ambito di indagini sull’uso della scrittura tra i criminali, storici di antropologia criminale, in particolare Cesare Lombroso(1895) e Francesco Cascella(1907), si sono tempestivamente occupati degli scritti dei briganti, con lo scopo di evidenziare i rapporti tra scrittura e devianza sociale, mettendo insieme psichiatria, antropologia, criminologia e grafologia.
L’autobiografia del brigante lucano Michele Di Gè è divenuta oggetto di un profondo interesse da parte degli storici Giustino Fortunato(1911) e Gaetano Salvemini(1914). Nel curarne l’edizione, i due studiosi, con poca attenzione filologica e linguistica, hanno sottoposto il testo ad un lavoro di revisione, per avvicinare la lingua scritta di Di Gè a quella accettata come corretta. Hanno voluto attirare l’attenzione sulle condizioni sociali delle plebi meridionali, dando la parola ad un ex brigante e conservandone l’integrità del messaggio. Uno studio linguistico più accurato del testo di Di Gè caratterizza l’edizione critica curata da Nicola De Blasi(1991:62-63); che ha evidenziato come i testi briganteschi siano interessanti in una prospettiva storico-linguistica.
In tempi recenti, infatti, i testi dei briganti sono stati esaminati anche dal punto di vista linguistico, in quanto considerati una fonte preziosa per gli studi sull’italiano popolare dei semicolti: scriventi «sottratti all’area dell’analfabetismo ma neppure del tutto partecipi della cultura elevata»(Bruni 1978: 230. Sulla produzione dei semicolti e l’italiano popolare cfr. tra gli altri: D’Achille 1993: 41-79; Cortelazzo 1972; Coveri 1987: 87-102; Berruto 1983: 86-106).
L’interesse storico-linguistico degli scritti di briganti è stato sottolineato per la prima volta da Bruni(1984:467-468), che indicava i biglietti minatori come esempi di italiano popolare post-unitario. Una raccolta di testi briganteschi di area lucana è stata studiata da De Blasi(1990:373-398,De Blasi 1991), il quale, in particolare, pone in risalto il legame che gli scritti di semicolti hanno con la cosiddetta cultura dell’oralità, propria di chi si muove in un contesto in cui non domina la scrittura.
La ricerca recente di fonti linguistiche in archivio ha consentito ad altri storici della lingua di rinvenire e pubblicare scritti briganteschi, come un biglietto ricattatorio salentino (Coluccia 1994: 722-723) e una lettera indirizzata agli abitanti di Rossano Calabro dal brigante calabrese Domenico Straface, la quale, probabilmente, non è autografa, ma è un’invenzione di Vincenzo Padula, curatore della rivista “Bruzio”, in cui il testo è comparso nel 1864 (tale il parere di Librandi 1992: 785-786). Meritano almeno un accenno gli studi linguistici riguardanti due epistolari: quello di area sabina del brigante Giulio Pezzola (1598-1673), personaggio simbolo del brigantaggio nel periodo vicereale e le lettere di Michelangelo Di Pronio (1761-1791), esponente di una potente famiglia criminale abruzzese della fine del Settecento( Presso l’Archivio di Stato dell’Aquila, si conservano più di quaranta lettere del Di Pronio, una è riprodotta da Taso 1994: 615-616.
) L’enorme rilevanza degli scritti briganteschi è confermata, infine, dall’attrattiva da essi esercitata nei confronti di paleografi come Petrucci e Bartoli Langeli, nell’ambito delle loro indagini sulla diffusione sociale della scrittura e, in particolare, sulla “scrittura popolare”. È interessante lo studio condotto da Bartoli Langeli su una lettera di Tommaso detto il Bronco o Brontolo, bandito e contrabbandiere, protagonista di un’insurrezione antigiacobina (1798) scoppiata intorno al Trasimeno, nel territorio perugino occupato dai Francesi(Bartoli Langeli 2000: 154-156; Minciotti 1988: 120, 141 ss.). Analizzare, afferma il noto studioso, i comportamenti degli scriventi di livello culturale medio-basso ossia vedere, leggere, interpretare i loro prodotti grafici è il modo migliore per capire le grandi fasi della storia d’Italia allo specchio della scrittura(Bartolo Langeli 2000:8).
2. I testi: obiettivi della ricerca
Dei briganti del Sannio sono conservati testi di vari tipi, destinati ad una diffusione pubblica o privata, di tono minaccioso o semplicemente informativo, scritti in un italiano più o meno intriso di tratti linguistici dialettali, regionali e addirittura di provenienza burocratica e colta.
In questo volume sono esaminate sedici lettere di briganti che imperversarono nell’area territoriale beneventana e del massiccio del Matese, compreso tra Benevento, Campobasso e Terra di Lavoro. I testi sono tutti epistolari e possono essere così differenziati(Indagini sui tipi di testo in cui si sono cimentati i briganti sono state condotte da De Blasi 1990: 373-399):
1. biglietti di ricatto con richieste di denaro e di viveri, indirizzate dal capobrigante alle famiglie dei sequestrati, per lo più proprietari terrieri (Albanese, De Masi, Fuoco 1-3, Signori brig. l -2, Pace);
2. lettere inviate ai familiari con richieste di denaro e informazioni varie (Lodovico, Cutillo 1-2, Maturo);
3. lettere di ricatto, rivolte ai propri manutengoli con richieste di denaro e aiuti come armi e cavalcature (Setola 2, Setola 3);
4. lettere rivolte alle autorità (Setola 1, Setola 4).
Dei sedici testi, due sono custoditi nell’Archivio di Stato di Benevento e sono stati esposti in occasione della mostra “Brigantaggio sul Matese 1860-1880”, promossa nel 1983 dall’Amministrazione Provinciale di Benevento; i restanti sono tratti dal Fondo brigantaggio del Tribunale Straordinario di Caserta custodito nell’Archivio Centrale dello Stato di Roma, allegati come prove a carico negli atti processuali che avevano come imputati i briganti stessi.
I briganti adottavano per lo più la forma scritta epistolare, perché si trovavano nella necessità di comunicare con i propri familiari e per esercitare, attraverso la scrittura, forme di ricatto. Un’estorsione sarebbe stata considerata più credibile se fosse stata affidata a biglietti scritti autografi del capobanda oppure dettati ad uno dei gregari in grado di scrivere (es.: i biglietti di ricatto Fuoco 1-3 e Pace) o al prigioniero stesso nel caso di un sequestro di persona (es.: il biglietto di ricatto De Masi).
Si tratta di testi che hanno un indubbio valore storico come testimonianze dirette per capire più a fondo le componenti del complesso fenomeno del Brigantaggio. Tuttavia, essi meritano di essere osservati anche dal punto di vista linguistico, poiché consentono di compiere un interessante viaggio nel panorama linguistico popolare sannita degli anni post-unitari.
I briganti di fine Ottocento, per lo più pastori e contadini, appartengono a pieno titolo alla categoria dei semicolti: sono personaggi di ridotta alfabetizzazione che, per motivi diversi, si accostano alla scrittura e trovano, a volte, proprio nella vita di brigante le circostanze favorevoli alla pratica e all’apprendimento della scrittura stessa(È il caso del brigante lucano Gioseffi del quale la Biblioteca Nazionale di Napoli conserva un singolare manoscritto finora unico nel suo genere: un quadernetto cucito in un portafogli (De Blasi 1991: 141-148). La lettura di questi testi consente, quindi, di descrivere la varietà di lingua usata dai briganti sanniti, intrisa di dialettalismi locali e meridionali, ma anche ricca di riflessi della lingua burocratica o dell’italiano scolastico, i modelli probabilmente più diffusi e più facili da imitare.
Leggere queste scritture potrebbe risultare affascinante per qualunque lettore, perché sono un’esclusiva chiave d’accesso per entrare nella viva e cruda quotidianità dei briganti. Se le minacce dei biglietti di ricatto fanno di essi dei feroci criminali senza scrupoli, nelle lettere inviate ai familiari emerge il lato più umano dei nostri scriventi semicolti. In esse risaltano le difficoltà, gli stenti di una vita da latitanti e un legame affettivo profondo, nostalgico con la famiglia e la terra natia.
Il brigante Giuseppe Cutillo di Solopaca, dal conFino di sora, invia una lettera alla Carissima zi archangela, nella quale sollecita l’invio di piastre 36, 3 cammiscie le scarpe e la cammisciola, perché si ritrova con una terribbela maladia… ignute e scalize: riesce a sopravvivere grazie ad una bonda di buono cristiane e qualiche divote per certo straccia e li mosina. È particolarmente significativa la lunga lettera che il brigante Pasquale Maturi indirizza alla moglie dallo Stato Pontificio, dove aveva trovato rifugio. Egli tanta e tanta volte l’ha mantate achiamare, poiché è suo desiderio che lei lo raggiunga magari con tutti li Figlio. È consapevole della mole di responsabilità che sua moglie ha, a causa della sua lontananza, perciò non esita a darle opportuni consigli su come sbarcare il lunario: stato sempere accorto alii aFFari toi {, .. } aFFittare il paesi e la casa a quel persone che ti pono pacare.
Inoltre, la parte finale della lettera è un vero e proprio elenco di nomi di persone, per lo più parenti, ai quali il brigante porge i saluti, quasi per rievocare la socialità perduta! Dunque, questi testi rappresentano per i nostri briganti l’unico filo di collegamento con la loro terra, l’unico modo per continuare a far parte, anche se idealmente, della vita dei piccoli borghi sanniti. Insomma sono abili e arditi capibanda, colpevoli di eccidi, sequestri, furti e violenze minori, ma pur sempre contadini, pastori, braccianti: uomini con una storia alle spalle, una propria identità, una propria vita, una propria personalità.
In conclusione, nonostante i fiumi d’inchiostro che la storiografia ufficiale ha versato sul Brigantaggio e i nostri briganti, che cosa potrebbe aggiungere di originale il vedere, il leggere e l’interpretare i loro prodotti grafici? La risposta può essere condensata in sole tre parole: la lingua, la personalità, la quotidianità.