LE DONNE DEL BRIGANTAGGIO | 29° episodio ALLA FIERA DELL’ASSURDO.
di Valentino Romano (*)
Gaeta, gennaio del 1864.
Il Tribunale Militare di Guerra in Gaeta condanna alla pena di anni venti di forzati quattro contadine, Raffaella Locolle di Fondi, Maria Domenica Pannozzo di Capo di Mele, Francesca Conti di fondi e Antonia Magaro di Casale di Sora. Vent’anni, accidenti. Si può dire una vita! Che cavolo avranno combinato per beccarsi questa pena? Avranno assalito, armi in pugno, un intero reparto di soldati del Regio Esercito? Avranno depredato con i loro uomini paesi, villaggi e masserie, sequestrato e torturato possidenti? La curiosità è grande e m’immergo nel fascicolo. Ma, sulle prime, ho l’impressione che questo risenta del disordine degli archivi di quel periodo, oppure che sia monco – come spesso capita – delle parti più interessanti: infatti trovo soltanto che Francesca e Antonia sono state arrestate il 15 settembre del 1863 da una squadriglia mista perché si aggiravano nelle campagne “portatrici l’una di un canestro pieno d’uva e fichi del quantitativo di quindici circa rotoli [per inciso, il rotolo è un’unità di misura corrispondente a poco meno di 900 grammi], e l’altra di sei uova dura”.
Le due donne avevano subito dichiarato di stare a raggiungere la vicina abitazione di un’amica, Raffaella. E la squadriglia era piombata allora in casa di quest’ultima dove aveva rinvenuto un’altra donna, Maria Domenica con un fagotto di panni che confessava essere destinati al marito: i militi allora avevano proceduto a un’accurata perquisizione della capanna, “trovandosi altresì nascosti due grossi piatti di Maccheroni già cotti, sufficienti per sette ad otto persone”.
Sarebbero queste le colpe delle donne? Ebbene sì, è inutile che cerchi altra documentazione (che, peraltro, non c’è) nel fascicolo. La spiegazione sta nel rapporto che segue l’arresto: Raffaella è moglie del capobanda Farignoli, Maria Domenica del brigante “Fall’Ovo”. E gli arguti militi avevano fatto presto a tirare le somme: nella capanna “certamente dovevano convenire diversi briganti della banda” per sollazzarsi con le quattro donne. Ecco la colpa grave.
Il seguito della storia? Amici, c’è bisogno che ve lo spieghi io? Sbattute in galera tutte e quattro! Anche perché “le incolpate vengono additate dalla voce pubblica come favoreggiatrici del brigantaggio”. E ti pareva? Quando non ci sono prove certe interviene sempre l’autorevolezza della “voce pubblica”; una diceria, una calunnia non si negano a nessuno In questo caso poi c’è un’ulteriore aggravante “ in aggravio – recita la sentenza – pur anco la circostanza d’essere entrambe [Raffaella e Maria Domenica] legate in matrimonio ai due nominati Famigerati briganti, uno dei quali il Farignoli venne ucciso a guari dagli stessi compagni mentre l’altro si mantiene tuttora in istato di brigantaggio percorrendo la Campagna”. E così le quattro donne, per un cesto di frutta, sei uova sode, due piatti di maccheroni e un fagotto di panni, vengono condannate a venti anni di lavori forzati. E, sempre a leggere la sentenza, gli è andata pure bene: i giudici militari infatti hanno pure riconosciuto le circostanze attenuanti, dal momento che non erano stati accertati reati precedenti. Chissà a quale pena sarebbero andate incontro in assenza delle attenuanti. Ma come si sono difese le quattro condannate? Hanno semplicemente detto la verità: Francesca e Antonia, entrambe vedove, hanno dichiarato che erano in giro per campi per raccogliere un po’ di uva residuata alle vendemmie (cioè quella pratica di sopravvivenza contadina che dalle mie parti si chiama “rispigu”) per sfamare i figli e che le uova servivano come loro pasto per tutta la giornata; Maria Domenica era di passaggio e con Raffaella avevano preparato i maccheroni per mangiarli. Tutte scuse, secondo i giudici che le avevano fatte accomodare in carcere. Oddio, “accomodare” non sembra proprio il termine giusto dal momento che nel febbraio del ’65 l’Avvocato Generale Fiscale (il Procuratore Generale Militare) riceve un allarmato dispaccio dal Direttore della “Casa di pena delle donne detta l’Argastolo” di Torino, dove le donne sono state rinchiuse. A questo proposito, lasciando per un attimo da parte la singola vicenda, è obbligatoria una precisazione, della quale – avendone le prove documentali – mi assumo piena responsabilità: la storiella delle “brigantesse” rinchiuse nel forte di Fenestrelle è, appunto, una … fake news circolante solo in alcuni ambienti o in qualche libro di successo; la verità è che le donne del brigantaggio quel forte non lo videro nemmeno con il binocolo. E sfido chiunque a dimostrare il contrario.
Torniamo alla nostra storia: il dispaccio dice, testualmente, che le quattro donne con altre sono in un tale stato di prostrazione fisica e psichica da temere “la prossima lor morte”; e invoca un provvedimento di clemenza sovrana. L’Avvocato Generale Fiscale, comm. Trombetta, che sovrintende a tutti i giudicati dei Tribunali Militari e che già in precedenza ha criticato la sentenza, riuscendo ad ottenere una prima riduzione della pena, scrive al competente Ministro e perora la causa delle poverette.
La pena residua viene così condonata e le quattro donne se ne tornano a casa. C’è da giurarci che in futuro si guarderanno bene dal girare per campagne a raccogliere frutta residua o selvatica.
Ma c’è un passaggio della richiesta di grazia sovrana che merita attenzione, anche oltre la singola vicenda; ed è quello in cui il comm. Trombetta, dopo aver considerata la circostanza che due delle condannate sono mogli di briganti, riconosce come “esse devonsi ritenere per iscusate dovendo obbedire agli ordini dei loro mariti nel contrasto tra prescrizioni di una legge rigorosissima e la voce degli affetti cedessero a questo prestando qualche soccorso”.
Insomma per Trombetta, il cui equilibro e serenità di giudizio – pur comprovati da numerosissimi suoi interventi – meritano comunque di essere ancora sottolineati, nell’applicare le leggi dello Stato bisogna anche valutare quelle del cuore; e valutare, di volta in volta, quelle a cui dare la precedenza.
A me questa storia è piaciuta fin dal primo momento perché costituisce un’ulteriore riprova di quanto, nella sporca guerra del brigantaggio, conviva una umanità varia: dalla conclamata stupidità e insensibilità di alcuni giudici militari alla sapienza giuridica e alla profonda umanità di altri. In mezzo, ma questo è quasi inutile ribadirlo, tanti poveracci e tante poveracce!
Queste cose, però e per fortuna, accadevano nel passato. Ora non più. O no? A voi, amici, con la mia consueta “buona domenica”, anche la risposta.
(*) Promotore Carta di Venosa