TRATTO DAL LIBRO “IL BRIGANTAGGIO MERIDIONALE ” cronaca inedita dell’unità d’Italia a cura di Aldo De Jaco-roma-1979
pag 348-351
Questioni sociali e politiche.
Dalle « Lettere meridionali al Direttore dell’Opinione » di Pasquale Villari (marzo 1875)
Se per questioni sociali si intendono quelle che vediamo travagliare così crudelmente le altre nazioni, allora di certo ne siamo per fortuna liberi. Perché esse sorgano occorre che siasi già fatto un grande progresso nell’industria, nell’agricoltura e nel commercio; progresso che fra noi non esiste, e meno che mai in quelle provincie di cui ora piú particolarmente ci occupiamo. Ma quando noi domandiamo che si porti qualche aiuto all’infima plebe di Napoli, che vive senza mestiere, vogliamo solo spingerla fino al lavoro ed all’industria; quando domandiamo che il contadino esca dalla sua condizione di schiavo, in cui trovasi in alcuni luoghi, vogliamo solo condurlo fino alla sua indipendenza.
Là dove si cominciano a discutere pericolose teorie, siamo già fuori del nostro argomento. Che se per la possibilità che queste teorie sorgano, si dovesse rinunziare a promuovere il progresso morale e materiale delle popolazioni abbandonate e povere; allora solamente il tacere sarebbe dovere. Chi vorrà sostenerlo? Se però non abbiamo, né dobbiamo temere il socialismo, il comunismo e l’internazionalismo, è poi certo che non
abbiamo alcuna questione sociale, ma solo la pace interna per tutto?
Non c’è quistione politica che progredisca davvero senza quistioni sociali, perchè la missione del Governo senza una trasformazione progtessivu della società sarebbe opera siffatto vana.
E poi qual è la pace che abbiamo nelle provincie di cui si ragiona? Sotto segni d’ordine e di pace la camorra, la mafia e il brigantaggio? A Zurigo, a Ginevra, in molte città della Svizzera, è ben vero, si sono più volte agitate le moltitudini con teorie sovversive, e sarebbe certo la più grande calamità se queste teorie si diffondessero tra noi.
Ma nella Svizzera voi potete traversare di giorno e di notte monti valli e boschi, senza quasi mai trovare un gendarme, e senza mai temere, né per la vita, né per la vostra proprietà, se anche siete carico d’oro. Potremo proprio dire che ivi la pace sociale sia turbata, e che fra noi invece sia perfetta, quando pensiamo che in alcune delle nostre provincie non si può camminare senza essere circondato di guardie armate, e vi sono uomini che, in mezzo alla libertà, sono poco meno che schiavi?…
Il brigantaggio è il male piú grave che possiamo osservare nelle nostre campagne. Esso è certo, come è ben noto, la conseguenza di una quistione agraria e sociale, che travaglia quasi tutte le provincie meridionali. La Relazione scritta dall’on. Massari (Sessione 1863, n.58 B, Atti del Parlamento) dice: « Le prime cause adunque del brigantaggio sono le cause predisponenti. E prima fra tutte la condizione sociale, lo stato economico del campagnuolo, che in quelle provincie appunto dove il brigantaggio ha raggiunto proporzioni maggiori, è assai infelice… Il contadino non ha nessun vincolo che lo stringa alla terra ».
Mangiano pane « che non ne mangerebbe i cani » diceva il direttore del demanio e tasse. Nelle carceri di Capitanata, e cosí altrove, quasi tutti i briganti erano contadini proletari. Le bande del Caruso e del Crocco, molte volte distrutte, si ricostituirono senza difficoltà con nuovi elementi; e in una medesima provincia si osservava, che là dove il contadino sta peggio, ivi grande era il contingente dato al brigantaggio; dove la sua condizione migliorava, ivi il brigantaggio scemava o spariva. Anzi nell’Abruzzo, per la sola ragione che il contadino, ridotto alla miseria ed alla disperazione, può andare a lavorare la terra della campagna romana, dove piglia le febbri e spesso vi lascia le ossa, lo stato delle cose muta sostanzialmente. Questa emigrazione impedisce l’esistenza del brigantaggio, e prova come esso nasca non da una brutale tendenza al delitto, ma da una vera e propria disperazione. « Il brigantaggio, concludeva l’on, Massari, diventa in tal guisa la protestasalvaggia e brutale della miseri contro antiche e secolari ingiustizie. »
E nella Camera dei Deputati, il 31 luglio 1863, l’on, Castagnola, che era stato pur esso membro della Commissione d’inchiesta, in un discorso assai notevole e pratico, confermava ampiamente le stesse conclusioni. Il generale Govone, interrogato sul perché le popolazioni dimostravano tanta simpatia al brigante, aveva risposto semplicemente: « I cafoni veggono nel brigante il vindice dei torti che la società loro infligge ». L’On. Castagnola era stato giustamente meravigliato di trovare in quelle popolose città due classi solamente, proprietari e proletari, o, come dicono, galantuomini e cafoni. Si scende dal gran signore al nullatenente, e l’odio fra queste classi gli pareva profondo, sebbene represso. « È il Medio Evo sotto i nostri occhi » esclamava egli nella Camera. Veniva poi ad esaminare le molteplici cause del brigantaggio, e concludeva: « Vi è la quistione sociale, per sciogliere la quale converrebbe promuovere il benessere delle popolazioni, fare strade, far cessare l’usura, istituire dei Monti frumentari, far nascere il credito agricolo… Questi sarebbero i rimedi radicali ».
Per distruggere il brigantaggio noi abbiamo fatto scorrere il sangue a fiumi; ma ai rimedi radicali abbiamo poco pensato. In questa come in molte altre cose l’urgenza dei mezzi repressivi ci ha fatto mettere da parte i mezzi preventivi, i quali solo possono impedire la riproduzione di un male che certo non è spento e durerà un pezzo. In politica noi siamo stati buoni chirurgi e pessimi medici. Molte amputazioni abbiamo fatto col ferro, molti tumori cancerosi estirpati col fuoco, di rado abbiamo pensato a purificare il sangue. Chi può mettere in dubbio che il nuovo Governo abbia aperto gran numero di scuole, costruito molte strade e fatto opere pubbliche? Ma le condizioni sociali del contadino non furono soggetto di alcuno studio, né di alcun provvedimento che valesse direttamente a migliorare le condizioni. Uno solo dei provvedimenti iniziati tendeva direttamente a questo scopo, ed era la vendita dei beni ecclesiastici in piccoli lotti, e la divisione di alcuni beni demanali. Ciò poteva ed era inteso a creare una classe di contadini proprietari, il che sarebbe stato grande benefizio per quelle provincie. Ma senza entrare in minuti particolari noteremo per ora che il risultato fu assai diverso dallo sperato, perché è un fatto che quelle terre, in uno o un altro modo, andarono e vanno rapidamente ad accrescere i vasti latifondi dei grandi proprietari, e la nuova classe di contadini non si forma…
Il Governo costituzionale è in sostanza il governo dalla borghesia. La classe dei proprietari, in mancanza d’altro, divenne la classe governante; e i municipi, le provincie, le opere pie, la polizia rurale furono nelle sue mani.
Chi circonda il Prefetto, chi illumina il Governo, su chi si appoggia esso colà? E se il dominio che quella classe esercitava era dispotico, e se esso è stato illimitato, senza alcun freno, ma colla giunta di nuove forze, quali debbono esserne le conseguenze, quali sarebbero in ogni altro paese della terra, fra qualunque generazione di uomini?
Ognuno può immaginarlo da sé.