Mi toccò in sorte il numero 15 – Carlo Margolfo

episodi diario

 

 

14 agosto 1861 – I bersaglieri entrano a Pontelandolfo (oggi provincia di Benevento). L’ordine del generale Cialdini è di non lasciare “pietra su pietra”. Lo eseguono.

 

 

 

 

margolfo

 

 

 

Il bersagliere Margolfo Carlo,

 

 

 

Al mattino del mercoledì, giorno 14, riceviamo l’ordine superiore di entrare nel comune di Pontelandolfo, fucilare gli abitanti, meno i figli, le donne e gli infermi, ed incendiarlo. Difatti un po’ prima di arrivare al paese incontrammo i briganti attaccandoli, ed in breve i briganti correvano davanti a noi. Entrammo nel paese: subito abbiamo incominciato a fucilare i preti ed uomini, quanti capitava, indi il soldato saccheggiava, ed infine abbiamo dato l’incendio al paese, abitato da circa 4.500 abitanti. Quale desolazione! Non si poteva stare d’intorno per il gran calore, e quale rumore facevano quei poveri diavoli che la sorte era di morire abbrustoliti, e chi sotto le rovine delle case.
Noi invece durante l’incendio avevamo di tutto: pollastri, pane, vino e capponi, niente mancava, ma che fare? Non si poteva mangiare per la gran stanchezza della marcia di 13 ore: quattordicesima tappa. Fu successo tutto questo in seguito a diverse barbarie commesse dal paese di Pontelandolfo: sentirete, un nido di briganti, e la posta la svaligiava ed ammazzava la scorta, fra i quali l’ultima volta che svaligiarono la posta era scortata da 8 uomini, e pure perirono i 8 soldati, lo stesso fu per il postione e conduttore, e lasciarono in balia cavalli e legno.
Prima di questo poi era successo un caso molto strano al paese: essendo di passaggio in perlustrazione, una compagnia ha pernottato in una chiesa, ed era piena di paglia; i soldati molto contenti col dire: “Questa notte riposeremo un poco”.
Come sia stato, i paesani volerono la sentinella senza il minimo rumore, e l’hanno squartata, tagliata a pezzi, e diedero fuoco alla paglia da un buco di loro conoscenza, quindi che hanno fatto questi poveri soldati? la figura precisamente che facevano adesso loro: abbrustolire dentro. Proprio quale barbaro paese fu questo Pontelandolfo, ma ora si è domesticato per bene.

Mai io potrò esprimere i sentimenti che mi invasero in presenza di quella città incendiata… vie abbandonate, a destra e a sinistra le case erano vuote e annerite : si era dato il fuoco ai mobili ammucchiati nelle stanze terrene e le fiamme avevano divorato i tetti. Dalle finestre vedevasi il cielo… Poi mi fu vietato di progredire : gli edifici, puntellati, minacciavano di cadere ad ogni istante. Soltanto tre case furono risparmiate per ordine superiore; soltanto tre case in una città di cinquemila abitanti! Chi può dire il dolore di quella città?»
Poi la voce dell’oratore si fa più calda e ammonitrice e prosegue impavida mentre il Primo Ministro, oscuro come la notte, continua a prendere appunti: « Mi trassero innanzi un gentiluomo, il Signor Rinaldi, e fui atterrito. Pallido era, alto e distinto nella persona, nobile il volto, ma gli occhi spenti lo rivelavano colpito da una calamità superiore ad ogni umana consolazione. Appena, appena osai mormorare che non così si intendeva da noi la libertà italica. Nulla chiedo, egli disse. E ammutolimmo tutti. Avevo due figli, il primo avvocato e l’altro negoziante. Entrambi quei giovani avevano vagheggiato di lottare per la libertà del Piemonte, e all’udire che approssimavansi i Piemontesi, cosi si chiama nel paese la truppa italiana, correvano festosi ad incontrarli. Ma la truppa procede militarmente. E i due Rinaldi sono presi, forzati a riscattarsi. Poi, tolto loro il danaro, sono condannati a immediata fucilazione. L’uno cadde subito morto, l’altro viveva ancora con nove pallottole nel corpo. L’infelice perì sotto il decimo colpo tirato alla baionetta (moto di orrore in aula). Rinaldi possedeva due case, e l’una di esse spariva tra le fiamme, e appena gli uffiziali potevano spegnere l’incendio che divorava l’altra casa. Rinaldi possedeva altre ricchezze, e, gli erano rapite; aveva altro… e qui devo tacermi, come tacevano davanti a lui tutti i suoi conterranei. Quante scene di orrore! Qua due vecchie periscono nell’incendio, là alcuni sono fucilati. Gli orecchini sono strappati alle donne. I saccomanni frugano in ogni angolo.. Da lontano si vede l’incendio di Casalduni come se l’esterminazione non dovesse avere limite alcuno […]
Mai non dimenticherò il 14 agosto, mi diceva un garibaldino di Pontelandolfo. Sul limitare di una delle tre case eccettuate dall’incendio, egli gridava ai villici di accorrere, li nascondeva nelle cantine, e mentre si affannava per sottrarre i conterranei alla morte, vacillante, insanguinata, una fanciulla si trascinava da lui, fucilata nella spalla, perché aveva voluto salvare l’onore, e quando si vedeva sicura, cadeva per terra e vi rimaneva per sempre (discorso del deputato Giuseppe Ferrari nella seduta parlamentare del 2/12/1861, in Rocco Boccaccino, Pontelandolfo. Memorie dei giorni roventi dell’agosto 1861).


copertina margolfoMi toccò in sorte il numero 15 – Carlo Margolfo

Il libro raccoglie i ricordi del bersagliere Carlo Mongolfo che – essendo originario ed abitando a Delebio, in provincia di Sondrio – iniziò il suo servizio militare nel 1858 nell’esercito austro-ungarico per poi passare, agli inizi dell’autunno del 1859 (dopo la cessione della Lombardia da parte dell’Austria), nell’esercito Piemontese.
Dopo aver raccontato brevemente i mesi trascorsi in Piemonte ed in Emilia, comincia a narrare la sua lenta discesa lungo lo stivale iniziata nel settembre del 1860, prima attraversando la Romagna, poi penetrando nelle Marche, entrando trionfalmente a Pesaro. Margolfo narra la sua partecipazione alla battaglia di Castelfidardo (18 settembre) ed il suo ritorno ad Ancona per dare l’assalto alla Cittadella, prendendo posizione all’interno del Lazzaretto costruito proprio in mezzo al porto.
Continua il suo racconto riportando alla memoria l’attraversamento dell’Abruzzo e finalmente l’ingresso ad Isernia, l’incontro con le prime bande di briganti, le visite di Cialdini e di Vittorio Emanuele II al campo, l’incontro di Teano e quindi l’assedio della fortezza di Gaeta durato per diversi mesi fino a quando – nel febbraio 1861 – non avvenne l’esplosione della polveriera di Sant’Antonio e, nei giorni successivi, di altri depositi di munizioni. Margolfo era lì e ci fa rivivere i vari episodi che cadenzarono la definitiva sconfitta delle truppe napoletane. Narra della capitolazione della fortezza di Gaeta, dovuta alla diffusione del tifo tra i soldati borbonici nonché ai pesanti danni causati dal cannoneggiamento delle truppe Piemontesi. Racconta di quando Francesco II e Maria Sofia salirono su un’imbarcazione e partirono per l’esilio.
Margolfo, quindi, viene trasportato a Messina e vi resta sino alla capitolazione della Cittadella, poi ritorna a Genova imbarcandosi su diverse navi ed affrontando anche il rischio di un naufragio, per poi essere inviato di nuovo a Napoli e quindi a Capua.
Dopo questo epilogo delle operazioni strettamente militari da parte dell’esercito sabaudo, narra della variazione della missione, di quando viene impiegato per la repressione del brigantaggio. Racconta delle perlustrazioni, degli scontri armati con i briganti, del cauto avvicinamento, con i fucili spianati, ai paesi in cui si sospettava vi fossero dei briganti, del suo incontro con Pinelli e della disinvoltura con cui questo generale ordinava fucilazioni.
In queste operazioni per la repressione del brigantaggio, Margolfo si trova ad essere uno dei cinquecento bersaglieri che, agli ordini di Negri, eseguono la rappresaglia a Pontelandolfo. Il suo racconto è crudo e sconvolgente tuttavia il narratore non mostra particolare empatia per la fine dei poveri diavoli a cui lui ed i suoi commilitoni danno il supplizio e la morte. Giustifica a se stesso la necessità di quella punizione esemplare e conserva sempre un distacco da tutto ciò che di orribile gli capiti attorno, sia nelle battaglie contro eserciti nemici, sia nel momento in cui fa strage di civili inermi, assieme ai suoi commilitoni.
Conclude il suo diario raccontando di quando venne richiamato dopo il congedo (nel 1864) per prendere parte alla Terza Guerra d’Indipendenza (1866) ed il successivo congedo “assoluto” ottenuto nell’anno 1869.
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