G.De Sivo -Reazione di Pontelandolfo e Casalduni.

RICERCA EFFETTUATA SU “GOOGLE LIBRI” DAL LIBRO “STORIA DELLE DUE SICILIE DAL 1847 AL 1861” DI GIACINTO DE SIVO VOL. V -VITERBO 1867-

da pag 129 a 138

S. 16. Reazione di Pontelandolfo e Casalduni.cop rid
Seguiva frattanto una immane lotta. A mezzo, agosto i giornali stamparono – la statistici delle vittime nel Napolitano in nove mesi; noveravano 8968 fucilati, 10604 feriti, 6112 prigionieri, 64 sacerdoti fucilati, 22 frati, 918 case arse, sei paesi dati in foto, 2903 famiglie perquisite, 12 chiese saccheggiate; 60 ragazzi e 48 donne uccise; 13629 arrestati, 1428 comuni sollevati. Li noto per dire la opinione d’allora,, ma computo non giusto era; potevano i giornali sapere tutto? la rivoluzione ora copriva, ora esagerava; delitti assaissimi videro il sole e le stelle, Iddio li ha contati.. E s’era in principio; e mentre tai conti si cercavano, ardevano Pontelandolfo e Casalduni; di cui or mi tocca dire. la tragedia nefanda.
Terre a tre miglia l’una dall’altra; quella ha cinquemila abitanti, questa tremila, ambe a mezzòdì del Matese, sulla sannitica strada. Erano mali umori nel paese, pieni i monti di reazionarii, i popolani guatavano bieco i novatori, odiavano i Piemontiesi. Un Fusco di Casalduni, chiesto dal municipio a presentare il figlio soldato; rispose: “Giova morire per Dio e pel re, meglio fucilato sugli occhi miei, che servire Emmanuele”. Molti sparivano dalle case; si susurrava di reazione, gli animi si gonfiavano. Arrivava il 1° agosto a Pontelandolfo il De Marco garibaldino stampatosi colonnello, con una masnada; ma il 5 udendo i briganti minacciosi sul Matese, se ne andò; e appresso a lui fuggirono i liberali, il sindaco, il delegato di polizia, i capitani, i tenenti; restò il giudice e i cittadini pacifici, a discrezione di chi venisse, appunto in quel di della fiera di S. Donato, quando più forza occorreva. Il delegato fermatosi a Casalduni rattiene cinquanta guardie mobili che da Benevento andavano a Cerreto, e li alloggia in una chiesa, non per bisogno, ma per isfregio. Se non che’ l’intendente di Cerreto volle a se quei cinquanta; allora il delegato co’liberali a’7 agosto si fuggi a Benevento; restava solo il sindaco Luigi Ursini, per non abbandonare la patria in perigliosi momenti.
Sul vespro del 7 un Cosmo Giordano con solo quindici uomini entra in Pontelandolfo, gridando Francesco: era fiera, gran popolo, grand’ire represse; scoppia com’eco immenso Viva Francesco II; e al clero ch’era in processione alla cappella S. Donato, fanno cantare il Te Deum. Il popolo mena le campane a stormo, abbatte le croci sabaude, alza i gigli, arde gli archivii del giudicato e del comune, piglia l’arma de’Nazionali, straccia le bandiere; apre le carceri; e fa tre omicidii; un Vitale colpito per isbaglio da una palla diretta allo stemma, un Tedeschi di S. Lupo, creduto spi, e un Michelangelo Perugini liberaluccio, cui arseroo anche la casa. Alle case di tre italianissimi,Iadonisio, Melchlorre e Sforza, lolsero qualche mobile, senza più. La dimane schiusero il fondaco del sale al Iadonisio; ma poco sale e tabacco, e niente moneta si trovò, chè l’avea salvata; nondimeno dappoi pretese ed ebbe compenso come di pieno saccheggio.
I tornanti dalla fiera la sera del 7 appiccano quella febbre a Casalduni: si grida Francesco e Sofia, s’impongono lumi e bandiere bianche a tutte case; vanno a pezzi le immagini di Vittorio e Garibaldi, e gli stemmi sardi; quei de’Borboni ripongono. Il sindaca e un tenente de Blasio chiamano i Nazionali, niuno si presenta, tutti erano reazionarii; però fidaronsi a’soldati del disciolto esercito, acciò l’ordine tutelassero. La notte i giovani chiedevano arme, crebbero al mattino; s’ebbero sei fucili, e preseli un Filippo Corbo dicentesi capo; ma i tumultuanti strappatiglili corsero incontro a nuova turba, che menava un De Angelis carbonaro del 1820 e Garibaldino, e ad altra gente de’villaggi con rami d’ulivo gridante Francesco. Il sindaco die’a un Giuseppe Leone ex sergente borboniano il carico di tenere la quiete; il quale con la riverita divisa, ubbidendogli la plebe, ottenne anche la libertà del Garibaldino. Ma costui fuggendo per Fragneto-Monforte, caduto in altri reazionarii, perì.
In Fragneto Monforte e Campolattaro, paeselli propinqui pure si reagiva. Qui andó depredata qualche casa liberalesca; là l’8 agosto entravano venti soldati sbandati ,che col popolo ruppero stemmi e bandiere, tolsero l’arme de’Nazionali; e qualcosa a’liberali rapirono. A’10 cantarono il Te Deum, arsero la scheda di notar Nardone, e’l mobile d’un D’Agostino, cavaliere borboniano, tramutato piemontista. Cosmo Giordano il 9 svaligiata la posta, ne prese i cavalli; e rientrato in Pontelandolfo; agguantò un Libero d’Occhio, corriere segreto de’Garibaldini De Marco e Iadonisio, è lo fucilò. I suoi si fornivano d’arme, munizioni, vesti e denari, clriedendone a’ possidentii de’dintorni. In Casaldunì il Leone tenuto dal sindaco à soldo, serbò l’ordine un po’meglio. Se le bande del Matese scendevano, movevano tutta la provincia; ma spartite, guardando al poco e al presente, niente fecero; eccetto, che il 10 s’accostarono in pochi a S. Lupo; e trovatovi i Sardi barricati, dopo alquanti colpi, se n’andarono. Era là il Iacobelli, fatto cavaliere da re Ferdinando, per aver nel 48 guidato i soldati regi contro i rivoltosi suoi colleghi, ora guidatore di soldati piemontesi. Stato di tutte bandiere, aveva ottenuto il comando de’Nazionali del distretto; ma con quell’ordine di carta, non trovato i Nazionali, si stava serrato, aspettando i soldati siranieri.
§ 17. Strage di Piemontesi.
L’11 giunsero da Campobasso a Pontelandolfo quarant’uomini del 36° di linea, con un tenente Bracci e quattro carabinieri. Uno spedato fu tosto ucciso da’popolani a legnate; gli altri spaventati, avute munizioni dal vicesindaco, serraronsi nella torre ex baronale posta in alto, donde potevano far difesa; ma come assaliti le palle entravano dentro, il tenente volle uscire. Investiti, a furore di popolo, piegano a S. Lupo; e trovano sbarrata la via da’Napolitani sbandati con a capo un Angelo Pica. Stando tra due fuochi, prima ne cadde uno, ucciso da una donna con un sasso in fronte; cinque perirono per moschettate; glialtri rabbiosi accopparono per verdetta il loro tenente ch’aveali cavati dalla torre; poi fur facile preda de’Napolitani, ché menaronli disarmati a Casalduni tutti, fuorché un sergente rimasto celato da una fratta.
Il popolo gridava Morte agli scomunicati! E un Nicola Romano vicesindaco, ch’avea fatto l’imbroglio del plebiscito per Vittorio, temendo ora pagarne pena, si sfegatava a gridare con gli, altri morte, morte! onde dappoi andò fucilalo, bel frutto, del suo plebiscito. Il Pica comandante tutta la gente volga salvare i prigionieri; e a sera visto Casalduni stare in valle, disadatta a difesa, volgeva a Pontelandolfo; quando udendo soldatesche da S.Lupo, retrocess al largo Spinelle. Preparandosi a zuffa imminente, temé i prigionieri l’impacciassero; e anzi nel calore della mischia insorgessero, come pochi dì prima a Colle certi salvati generosamente s’erano rivoltati contro; e tantosto tutti e trentasette li fucilò. Indi, per la scorciatoia a Pontelandotfo si ridusse. La plebe finì quei moribondi, e pure v’accorse qualche sacerdote a confortarne l’agonia. Il sergente ascoso nelle fratte, scoperto da quei di Ponte, fu menato a sera a Pontelandolfo; e sacramentando non combatterebbe più contro Francesco; a tal patto ebbe la vita. Così fu il solo salvato, e non tenne il giuro.
Le bande, là radunate, sospettando del Pica, ch’aveano saputo facesse fuggire i liberai; lo deposero; poi garrirono pel comando : chi vuole Cosmo Giordano, chi il Leone, ambi ex sergenti; questi è ferito, e si ritira; quegli resta, ma i più scontenti, si vanno diradando, e ritraggonsi al Matese. –

§ 18. Giustizia tartara.
A Casalduni per sicura nuova di soldati marcianti, niuno riposò: cittadini d’ogni ordine, età e sesso fuggirono; pochissimi nell’innocenza fidando, stettero, ma Pontelandolfo,niente sapendo, fu colto. Sull’alba, del 14 arriva da Benevento un colonnello Negri con cinquecento non soldati ; ma assassini, guidati da due liberali del luogo e dal De Marco. La banda Giordano ridotta a cinquanta, appiattata, in un boschetto, alla prima scarica uccide venticinque Sardi; poi scorto il numero grande, s’allontanò. Il Negri aveva il debito d’inseguire a vendetta quelli armati e pugnaci, ma codardamente tirò al passe inerme e innocuo; più facile impresa. Gli abitatori dormivano; il De Marco a salvare i liberali si ficca nel palazzotto di Giovanni Perugino; e manda uffiziali in quel del Iadonisio i soldati si gittano per le case. L’ora matutina, la nudità; il letto, il sonno, lo spavento; faciltà ed esca a’i delitti: stupri orrendi, saccheggi sozzi, arsioni infami. Due figliuoli innocenti d’un Rinaldi ammazzano nelle domestiche mura, avanti a’genitori; una Concetta Biondi; vezzosa giovanetta, uccidono; fucilano un Nicola Biondi sessagenario; a un Giuseppe Santopietro strappano dalle braccia il fantolino, e lui freddano; e mentre sforzano una donna , e pur dalle orecchie le strappano l’anella, accorrendo il marito lo stendono morto. Chi dirà lo spaventa tra la morte e le fiamme di quella città infelice, bruttata da italici rigeneratori! Impotenti contro i Tedeschi, contro inermi son prodi. Profanate, saccheggiate le chiese, gittano l’ostie sante, rubano le pissidi, i voti argentei, e sin la corona della Madonna. Due de’manigoldi, al misfatto
credono il tempio crolli; e fuggono esterrefatti; dopo due settimane uno torna; si fa la disciplina avanti la sfregiata statua, e lagrimando s’incolpa e chiedé perdono, dicendo il compagno derubatore della pisside esser morto. Durato, due ore il sacco e l’uccisione, il Negri a nascondere sue perdite, arse avanti la cappella S. Rocco i venticinque cadaveri de’suoi uccisi; poi temendo esser sorpreso da’tornanti reazionarii, volto col bottino per Fragneto a Benevento. Ciò fu salute; ché la popolazione corse a estinguere gl’incendii; ma le case degli assenti dentro e fuori la terra arsero tutte.
All’ora stessa quattrocento Piemontesi da S. Lupo con seguito di mascalzoni guidati da quel tristo del Jacobelli, credendo sorprendere la popolazione, entrarono da più parti in Casalduni, sparando all’aria; spaventando quei pochi di vecchi e donne e fanciulli rimasti. Un Tommaso Lucente da Sepino, adottato da un Mazzarella ricco, stato blandito da’Borboni, ingrato pur contro il paese della sua fortuna, precedeva i soldati, indicando le case da ardere, prima quella del sindaco Ursini. In ogni parte sacco, lascivia, incendii; nudi, i cittadini fuggivano dalle le fiamme; chi bastonato era, chi ammazzato. Un Lorenzo d’Urso, là venuto per faccende, fattosi sull’uscio a salutare i soldati, è spento; e poi la casa col cadavere son arsi. Il vecchio arciprete fugge in camicia, e ne more indi a poco. Un malato rizzandosi sul letto per ispavento, é ucciso. Ugual ruina che a Pontelendolfo, ma meno sangue, perchè quasi deserto il luogo, e più pochi gli assassini. E similmente dopo tre ore i bravi incendiarii, temendo tornassero i Briganti, retrocessero abbottinati a S. Lupo ; onde del pari i contadini poterono lavorare a spegnere il foco. Dappoi per più di i saccheggiatori co’carri, impudentemente per quei paéselli e per la città di Benevento andavan le rubate cose, e pur gli arredi sacri, vendendo.
Ma in quel funesto giorno 14, da tutte bande, per boschi e valli, fuggivano famiglie a centinaia col più prezioso; bambini lattanti, vecchi sfiniLi, pallidi, gittati per vie strane e fuor di mano,mancare di vesti, di scarpe, di pane; personetenere e gentili, i pie’ nudi nella polvere, sulle ghiaie, nel loto,cadere estenuati per fatica o pel sole scottante; vedere le fiamme dell’avite case, udire i gemiti degli arsi, le schioppettate de’fucilatori; invocare la Madonna, fuggire tremebondi, nè sapere dove, da tanti manigoldi, da tanti insaziabili liberali stranieri e paesani, che tal rovescio di mali sulla patria evocato, vi rinnovavano dopo mille anni le dimenticate orge saracine.
E la trista Europa guardava.
L’altro dì i reazionarii tornarono in Casalduni arso; e celebrarono la festa di S. Rocco, senza fare male a nessuno; nè i Piemontesi, stanti a S.Lupo a un passo, osarono assalirli. Quando,se n’erano iti, dopo alquanti dì tornaro Piemontesi, guardie mobili e liberali, col sergente lasciato vivo da’briganti; il quale pagava la generosítà indicando i cittadini da ligare. Ne presero oltre a quattrocento tra Pontelandolfo, Casalduni e Campolattaro; alcuni fucilarono altri straziarono, altri tennero in prígione tre anni. A combattere i briganti sul Matese non pensavano.

§ 19. Altre rabbie civili.
pag 136 …OMISSIS…
§ 20. L’onesto d’Azeglio.
I giornali tai fatti rapportavano, ma monchi, scontorti, dissimulati. Molti altri ignoti furono; chè perpetrati per monti e boschi restàr muti per sempre; ma quelli bastavano a fare inarcare le ciglia a chi avea creduto alla rigenerazione. I filantropi Palmerston e Gladstone cagioni primarie di tante ruine, alle interpellanze nel parlamento inglese rispondevano freddo iniquamente. Ma Massimo d’Azeglio patriota, che soleva conciliare la rivoluzione con l’onestà, stimò conveniente aggiustare le cose con le parole. Prima scrisse a’2 agosto una lettera al senatore Matteucci, dicendo: « Si tratta di sapere se abbiamo il dritto di dare archibugiate a’ Napoletani, che non ci vogliono; perché è notorio che briganti e non briganti nessuno vuol sapere di noi. » E quegli rispose che sicuramente s’aveva dritto di farnee una cura chirurgica con eroici rimedii. Logica era questa d’uomini ch’aveano tanto piagnucolato per poche dozzine di felloni, carcerati da’legittimi re; ora le fucilazioni a migliaia chiamano rimedii eroici. Fecergli coro i giornali della fazione; tutti a dare sul capo all’Azeglio, accusandolo proteggitore de’briganti, con quella suicida lettera, e che rimbambito fosse.
Egli soperchiato dal fiotto, fe’ a’ 16 una certa ritrattazione ben curiosa, parendogli onestà: disse la prima lettera scrivesse senza pensarvi, non credendo si stampasse. Sicché spiattellò la natura della sua onestà; onestà nelle lettere private, non nelle stampate, il dare l’archibugiate era dritto quà, là no.
Ma i liberali napoletani per quella chirurgica cura andavano in giolito ; e ne facevano ringraziamenti al Cialdini: così negli stessi luoghi milleottocent’anni prima s’adorava Nerone e ringraziava d’avere uccisa la, madre. Il Petruccelli scrisse: « Alla politica ecclettica del San Martino a favore de’Borboniani e clericali , al narcotico dell’amministrazione civile è seguita la vivificante elettricità del governo militare! » Questa scimia del Robespierre l’ardere e fucilare appellava vivificare! E infatti il Piemonte per quel dritto potea dominare? rinnegato il dritto divino,, calpestato quel de’trattati, irriso il popolare, solo poteva quel del fucile.