Tratto da “Memorie Storiche di Cerreto Sannita” di Vincenzo Mazzacane-liguori editore
da pag.8 a 14
5. La notte del 21 novembre 1851, dopo continue e violente piogge,investito da alcuni tronchi di quercia che la piena dell’acqua trasportava,cadde il ponte a catene di ferro, detto Maria Cristina, costruito circasedici anni prima sul Calore, presso Solopaca. Era stata intanto già terminata la strada comunale che dal miglio 23 della Sannitica, nel sito detto Torello, per Amorosi e San Salvatore, mena a Cerreto e di qui a Guardia, dove si ricongiunge con la Sannitica. Vari paesi vollero approfittare della circostanza per chiedere che la via fosse dichiarata regia e che un altro ponte in muratura fosse costruito sul Calore, al Torello, presso Amorosi.
Molte suppliche vennero dirette al re: da una parte, in favore della nuova costruzione si schierarono San Lupo, Guardia, Cerreto e Cusano; dall’altro Solopaca e San Lorenzo Maggiore, che temevano che la Sannitica prendesse diversa direzione. Il sovrano diede incarico al capitano del genio, Del Carretto, di percorrere insieme col cavaliere Achille lacobelli sia il braccio di strada che dal ponte Maria Cristina mena direttamente a Guardia, sia l’altro che per San Lorenzo Maggiore si innesta nella Sannitica al ponte Paolella, sia infine quello che dal miglio 23 della Sannitica devia per Amorosi, San Salvatore e Cerreto, per ricongiungervisi presso Guardia, e di esaminare tutte le vertenze sorte presentando gli opportuni rilievi. Un dettagliato rapporto venne redatto, ma o perché preferisse rendersi esatto conto della posizione dei luoghi, o perché indottovi dalla insistenza del Iacobelli, da lui onorato di affettuosa amicizia, il re si decise a percorrere di persona il primo e il terzo braccio di strada.
Il 9 febbraio 1852, tra le 16 e le 18, accompagnato dal ministro degli interni, da quattro ufficiali superiori e da circa 30 ussari a cavallo, Ferdinando II giungeva a Cerreto. Precedentemente, il 9 gennaio, il giudice Giambattista Ungaro aveva riferito sulla tranquillità dello spirito pubblico e sull’attaccamento e la devozione al sovrano da parte della popolazione (ASN, Alta polizia, fasc. 62: Rapporto del giudice G.B Ungaro; DE PAOLA, Memoria del 6 giugno 1853, ms. della Collezione Mazzacane).
La mattina del 9 febbraio pervenne la notizia che il re sarebbe giunto da Guardia, ma egli, muovendo da Caserta, percorse invece la strada per Amorosi e San Salvatore anticipando di poco il suo arrivo. La visita si svolse nei modi e con le manifestazioni consuete in simili casi. Ogni particolare del memorabile evento venne minuziosamente registrato, e così pure quelli della
giornata celebrativa, svoltasi il 19 febbraio, durante la quale furono distribuiti ai poveri 100 ducati lasciati dal re per elargizioni(Rapporto Ungaro cit.).
All’avvenimento sono legati due fatti rilevanti per la storia di queste contrade, e cioé la costruzione del ponte al Torello e la reintegrazione della diocesi di Telese-Cerreto. Il re infatti, accogliendo la supplica illustratagli a Cerreto dal teologo Nicola Ciaburri, dispose la separazione delle due diocesi di Alife e di Telese-Cerreto, sollecitando dal pontefice analoghi provvedimenti(Le due sedi vennero separate con bolla Compertum del 6 luglio 1852. Per la separzione fu redatto atto pubblico per notar Bartolomeo Biondi, protocollo 1853, f. 15.; ROTONDI, Memorie cit).
Quanto alle strade, decretò il restauro del ponte Maria Cristina, la manutenzione della comunale che deviava dal miglio 23 della Sannitica e la costruzione di un altro ponte in muratura,del quale si assunse la spesa Achille Iacobelli. Nel 1857 la fabbrica, che travolse le sorti del cavaliere, assorbendone le ingenti fortune, non era ancora terminata(Sul Iacobelli, che fu anche autore del primo stabilimento balneare di Telese, v. DE Sivo, Storia delle due Sicilie dal 1847 al 1861, Trieste 1868; PERUGINI, Il Cavaliere Iacobelli,in «Riv. stor. del Sannio», 1916; MAZZACANE, Ferdinando II a Cerreto, in «Arch. stor. del Sannio Alifano 1917 n.6).
A ricordare il viaggio del re si volle innalzare in Campo dei Marsi, lungo la strada che da Cerreto mena a San Salvatore, su un valico dove il monarca si era soffermato, detto oggi dell’Epitaffio, una colonna marmorea fatta lavorare a Napoli dal Iacobelli a proprie spese, che attestasse l’affetto dei sudditi e la riconoscenza per le grazie ricevute. Il monumento fu realizzato rapidamente e, benché variamente danneggiato, tuttora esiste(Vi fu apposta la seguente iscrizione: Ad eterna memoria – del giorno 9 febbraio 1852 – in cui l’Augusto Monarca – Ferdinando II per la prima volta – questi luoghi felicitando – qui fermavasi – e decretava – potersi – costruire il ponte al Torello – doversi – questa strada conservare.).
Il 30 maggio di quello stesso 1852, giorno onomastico del re, se ne festeggiò l’inaugurazione con una cerimonia solenne. Fin dal 27 il cavaliere Iacobelli, che teneva il comando supremo delle guardie urbane per speciale privilegio concessogli dal sovrano, aveva impartite istruzioni ai dipendenti con la precisione minuziosa che la circostanza richiedeva (Collezione Mazzacane, Corrispondenza del capourbano cit.). La mattina del 30 si unirono in Cerreto alle milizie del paese anche quelle di Guardia, Pontelandolfo e Morcone, e dopo essersi messe in quadrato in piazza S. Martino sfilarono verso il luogo dove il monumento sorgeva. Erano precedute da due guardie d’onore, da dodici gendarmi a cavallo e da sei guardie venute da Campobasso e Caserta. Seguiva uno stuolo di autorità e di privati, mentre l’intervento di cinque bande musicali rendeva più brillante la marcia. Sul posto, rimpetto alla colonna, era stata eretta una magnifica orchestra e dopo la benedizione cento voci cantarono un inno dettato per l’occasione da Filippo Iuliani(Collezione Mazzacane, Per la colonna innalzata a S.M. Ferdinando II nel Campo dei Marsi in Tenimento di Cerreto, inno ms. di Filippo Iuliani) e musicato dal maestro Giuseppe Paoletti. Seguirono gli spari a salve, le grida di «viva il re» e poi si fece ritorno con lo stesso ordine in Cerreto, ove nel duomo fu cantato l’inno ambrosiano. Discorsi in lode del sovrano, recite di svariati componimenti poetici, luminarie, balli sino a notte inoltrata chiusero la festa tra la generale letizia.
Occorre rilevare che la manifestazione monarchica corrispondeva ai sentimenti della maggior parte della popolazione, e l’occasione felicemente carpita dal clero di chiedere grazia per la vuota diocesi contribuì a mantenere vivo l’attaccamento per il re cattolico, manifestatosi in entusiastiche dimostrazioni di riconoscenza quando Cerreto riottenne il suo vescovo, in persona di Luigi Sodo. È noto che questi era devoto ai Borboni e si tenne sempre tale, come la maggior parte del clero, composto per lo più di persone colte e di molto seguito in paese. Occorre pure ricordare che tra il ’50 e il ’52 la reazione aveva compiuto nel regno di Napoli il massimo sforzo e sembravano stroncate le agitazioni liberali (ZAZO, Il Sannio nella rivoluzione del 1860 cit.). Tuttavia nel 1853 il partito liberale ripigliò vita e la reazione si fece sentire anche in Cerreto. Il 30 settembre infatti il giudice regio incaricava il capo-urbano di esercitare una più efficace vigilanza sugli «attendibili» e di sorvegliare ogni loro movimento(Collezione Mazzacane, Corrispondenza del capourbano cit. «Attendibili» erano Pasquale Ungaro, Antonio Mastracchio, Raffaele Magnati, Filippo Riccio, Domenico Capuano, Pietro Capuano, Nicola D’Andrea, Vincenzo Gagliardi, il sacerdote Luigi Venditti, Francesco Venditti, Gabriele e Vincenzo Altieri, Giuseppe e Cesare Gagliardi, Antonio e Giambattista Marchitto, Nicola e Domenico Ciaburri. La casa di Giuseppe Biondi, che dal ’48 era stata sempre strettamente vigilata, venne perquisita, così come quella di altri liberali, «incapaci di resipiscenza».).
In genere però la considerazione di cui il popolo circondava il suo vescovo, l’influenza che questi e i sacerdoti avevano in specie sulla gente minuta, tenevano indubbiamente desta la devozione al sovrano e vari anni dopo, all’annunzio dell’attentato di Agesilao Milano, Cerreto fu tra i primi comuni ad esprimere cori feste e riti religiosi l’orrore per il delitto e la gioia per lo scampato pericolo.
Il 21 dicembre 1856 vi si svolse infatti una gran festa, con l’intervento delle guardie urbane di Cerreto, Guardia, Sepino, Pontelandolfo e Morcone, sotto il comando di Achille Iacobelli, e ad esse si associarono le guardie di Cusano.
Intervennero i magistrati, i funzionari, i notabili di quei paesi; fu celebrata unamessa solenne nella cattedrale, e all’omelia il vescovo Luigi Sodo infervorò i presenti di spiriti monarchici. Si declamarono componimenti poetici nella casa comunale, dove il sottointendente di Piedimonte lesse il discorso Lodi di Ferdinando II desunte dai suoi atti amministrativi. Vi furono fuochi, suono di bande elargizioni ai poveri; l’abitato restò illuminato per tre sere .
6 – Nel 1860 i liberali di Cerreto, come quelli di tutti i paesi vicini, si rannodarono ai liberali del distretto, che era Piedimonte di Alife. Ivi, per opera specialmente di Beniamino Caso, si era organizzato un sottocomitato distrettuale che raccoglieva denaro e ricercava armi e munizioni per allestire la Legione del Matese. Il comitato napoletano vi mandò Giuseppe De Blasiis, designato ad assumerne il comando.
Non è il caso di rifare la storia di questa legione, che, unitasi ai volontari del Vitulanese, più tardi riconosciuti col nome prescelto di Cacciatori Irpini, capitanati da Giuseppe De Marco, entrò il 3 settembre 1860 in Benevento, insorta il giorno prima, e vi proclamò il governo provvisorio”. Ricorderò solo che di essa faceva parte come secondo tenente il cerretese Alessandro Guarino, che si segnalò per zelo e valore. Ne facevano parte pure come militi Flaviano Mastrobuoni, nativo di Cerreto ma residente in Alife, e i cerretesi Giovanni Giordano e Giovanni Vendetti. La legione passò per Cerreto nella seconda metà del settembre e, a voler seguire il Rotondi, fervente borbonico, non vi avrebbe destato molto entusiasmo; anzi il popolaccio avrebbe rivolto ai legionari frizzi, villanie e imprecazioni (Sulla Legione del Matese (25 agosto 1860-8 marzo 1861) v. PETELLA, La Legione del Matese, Città di Castello 1910. Del battaglione irpino ha tratteggiato lucidamente le vicende ZAZO, op. ult. cit., utilizzando documenti di casa De Marco, passati poi nell’Arch. Prov. di Benevento. V. inoltre MELLUSI, I giorni della rivoluzione, Benevento 1903; ID., Un cittadino beneventano, in «Riv. stor. del Sannio», 1924, n. 6; Di RIENZO, Nella rivoluzione del 1860 in Benevento, in «RIv. stor. del Sannio», 1923, n. 2; ACOCELLA, Calitri e la reazione del 1861, in «Atti Soc. stor. del Sannio», 1926, n. 3; FASANI, Il castello di Torrecuso e la lapide ai garibaldini del 1860, Benevento 1935. Sul De Marco (1821-1882), bella figura di liberale e di comandante militare, v. ZAZO, op. ult. cit.; e l’art. di GENTILE, nel Dizionario del Risorgimento nazionale, a e. di Rosi, vol. I, Milano 1930.). E ciò in verità non pare improbabile, specie nel basso ceto, devoto al vescovo Luigi Sodo, assai ligio alla dinastia, a differenza del precedessore Di Giacomo, vescovo di spiriti liberali`.
Narra il Rotondi che tra i legionari vi erano un monaco con un crocifisso a destra e una pistola a sinistra, mal ridotto in arnese, e due preti mingherlini. Quando fu chiesta la ragione della loro presenza tra i soldati, risposero: «andiamo spargendo il sangue per la fede e per la felicità dei figli vostri»(IANNACCHINO, op. Cit., non mostra simpatia per il Di Giacomo che «provvidenzialmente», secondo lui, avrebbe prescelta la sede di Alife e che sarebbe morto «forse amareggiato dal rimorso». Il Di Giacomo ebbe invece cuore e dottrina (PETELLA, op. cit.). A Ferdinando, che gli domandava come potesse abolire la costituzione, rispose recisamente «non potersi in nessun caso ciò fare». Consacrato vescovo di Telese e di Alife nel dicembre 1848, prese possesso della diocesi ai primi del 1849, e rendendo vane molte denunzie, fu benemerito di quanti risultassero politicamente compromessi. Creato senatore nel 1863 da Vittorio Emanuele, ebbe da lui un piccolo appartamento nella reggia di Caserta quando nel 1874 lasciò il governo della diocesi a un coadiutore impostogli, pare, dalla Curia romana (DE CESARE, La fine di un regno, Città di Castello 1900). In Caserta morì il 10 luglio 1878, povero e benedetto da quanti lo conobbero. Per più minute notizie su questo esimio prelato, oltre al PETELLA, op. Cit., v. l’opuscolo della nipote: CIALENTE, Ritratto in profilo di Mons. Gennaro Di Giacomo, Napoli s.d.).
A Cerreto ebbe luogo in quello stesso settembre un tentativo di reazione che fortunatamente non ebbe serie conseguenze. Il 27 alcuni contrabbandieri,incoraggiati dalla voce che truppe regie marciavano per Amorosi verso San Salvatore, e sicuri che i garibaldini avessero abbandonato Piedimonte, sorpresero il posto della guardia nazionale dove si trovava solo Giacinto Ciaburri. Armatisi con i fucili che lì si trovavano e con altri tolti a viva voce dalle case private, costrinsero il corpo musicale a seguirli ed eccitarono il popolo in piazza del duomo al grido di «viva il re». Indotti dal vescovo Sodo, affacciatosi alla finestra, a disperdersi, si recarono verso la casa di Giacinto Ciaburri per farsi consegnare un archibugio che egli aveva portato seco. Il Ciaburri commise l’imprudenza di tirare un colpo di fucile. La folla, eccitata, tentò di forzare il portone e poi vi dette fuoco. La strada S. Nicola si riempì di uomini armati
di fucili, pistole, pugnali, scuri e spiedi. Il giudice Gabriele Mezzacapo, il sindaco Antonio Riccio, il barone Raffaele Magnati e altri gentiluomini indussero il vescovo ad intervenire, e difatti la presenza del prelato calmò l’ira popolare. Tuttavia si riaccese non appena si fu allontanato: abbattuto il portone, la folla penetrò nella casa e la
saccheggiò. Gli abitanti si salvarono a stento fuggendo per il giardino.
Si ritenne dai liberali che a quel tumulto, cui il Rotondi nega qualsiasi importanza, non fossero rimasti estranei il vescovo Sodo e il vicario Boccamazza, specie perché la plebaglia si condusse in massa davanti all’episcopio ad acclamarvi il vescovo. Il Rotondi insinua che la responsabilità del fatto venne addossata a monsignor Sodo dal Mezzacapo, per vendicarsi d’aver ricevuto da lui un severo ammonimento per la sua vita sregolata. Certo è che il vescovo fu costretto a fuggire essendosi spiccato mandato di cattura contro di lui, ed è del pari certo che al suo vicario Boccamazza, che non fece più ritorno a Cerreto, quando venne creato vescovo da Pio IX, fu negato l’exequatur dal governo italiano`. Quanto al Sodo, il Petella scrive che fu arrestato a Napoli e detenuto nel carcere della Concordia, ma sulla notizia fa poi confusione(PETELLA, op. cit. Così pure il Guarino, al quale forse è dovuta la inesatta notizia del primo).
In realtà il Sodo fuggì a Napoli il 7 novembre 1860 poiché un ordine di arresto effettivamente vi fu. Tornò in paese il 15 giugno 1861, ma dopo due mesi fu nuovamente costretto a fuggire perché sospettato di favoreggiamento verso dei briganti. Il Carletti, che reggeva il circondario, e il capo della locale Pubblica Sicurezza pensavano di tenerlo in ostaggio contro di essi, ma il Rotondi, informatone da una spia, riuscì a farlo fuggire. A Napoli fu poi arrestato, ma non per il tentativo reazionario di Cerreto, sebbene per un tumulto popolare avvenuto a Santa Lucia il 3 gennaio 1863. Arrestato il 6, fu rinchiuso in S. Maria Apparente, ove il Rotondi lo visitò. Il 17 febbraio fu prosciolto e la notizia telegrafata al Rotondi in Cerreto suscitò manifestazioni di gioia, essendo il Sodo assai amato in paese per il suo spirito di carità. Con pronunziato di «non luogo» era del pari finito il precedente processo a suo carico per i fatti di Cerreto, trasmesso con nota 9 gennaio 1861 al procuratore generale di Terra di Lavoro.
Il 29 dello stesso settembre 1860 si diffuse la voce che sarebbero venuti in paese i garibaldini. Il popolo si agitò, prese le armi per prepararsi a respingerli, mentre le campane a stormo chiamavano i cittadini dalla campagna. Il sindaco Antonio Riccio riuscì a calmare gli animi inviando il decurione Gennaro Mastracchio in Amorosi dal generale von Mekel, che vi era giunto il 27, a chiedere un presidio di milizie regie.
Infatti venne un capitano festosamente accolto dai cittadini, che imbandierarono le finestre e i balconi con drappi bianchi . Anche di questo movimento fu incolpato il vescovo Sodo`.
(Il ROTONDI, ms. cit., scrive che il vescovo venne accusato di aver fatto eccitare la folla da Antonia Maietta, di anni 80, vedova del cursore Leone; aggiunge che l’accusa venne fatta oggetto di un «graziosissimo articolo» dell’«Osservatore Romano». Monsignor Luigi Sodo era nato in Napoli il 16 ottobre 1811 da Baldassarre e Marianna Riccio. Ordinato sacerdote nel 1834, preconizzato vescovo di Crotone nel 1852, venne a Cerreto nel 1853 e resse la diocesi sino al 30 luglio 1895, data della sua morte. Si segnalò per spirito di bontà e per opere di beneficenza. Tumulato nella cappella della famiglia Ungaro, la popolazione vi si recò per più giorni come a un santuario. Nel 1911, dovendosi provvedere alla traslazione dei resti nella cattedrale, il suo corpo fu trovato intatto. Benché del fenomeno venisse fornita da sanitari e professori dell’Università di Napoli una spiegazione scientifica, il popolo gridò al miracolo e accorse a visitare la salma del vescovo («Il Mattino», Napoli 1911, n. 68-73). Fu poi avviato un processo di beatificazione).