Regno delle Due Sicilie-Vicende industriali ecommerciali


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RICERCA EFFETTUATA DAL Prof. Renato Rinaldi su : “GOOGLE LIBRI” DAL LIBRO “Napoli e i luoghi celebri delle sue vicinanze” VOL.I -Napoli 1845

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VICENDE INDUSTRIALI E COMMERCIALI
I.

Quella gloria non interrotta d’ingegni e di studi che abbiamo potuto ammirare nella storia di Napoli, non potremo parimenti ammirarla in ciò che riguarda i commerci e le industrie della città, per la ostinata istabilità degli eventi. Perocchè se le scienze le lettere e le arti han bisogno di pace per prosperare a più ragione il commercio ha bisogno di pubblica fede,e di sicura osservanza de’provvidi e temuti ordinamenti civili. E così nella storia commerciale ed industriale di Napoli vediamo costantemente che quando una novella dinastia si confermava sul trono, il traffico e l’industria cominciavano a progredire in prosperità; ma quando una nuova stirpe veniva a discacciare l’antica, la guerra turbava il commercio, e ancorchè per breve tempo, pur tanto che bastasse a mandarlo in rovina.

Altrove abbiam mentovato il provvido governo di Teodorico e del suo ministro Cassiodoro, rarissimo esempio di virtù civili e politiche. Egli non mancò di raccomandare, ne’consigli di Teodorico e de’successori, le industrie e il commercio di Napoli. Dalle lettere o comitive dirette da quel somme ingegno a’governatori delle provincie, in nome del suo re, e dalla descrizione de’traffichi, può rilevarsi lo stato delle varie città, e di Napoli segnatamente,la quale, in un’epistola da noi innanzi riferita, viene annunziata come una città ornata di un numero grande di cittadini, ricca di ogni commercio, e di ogni delizia che offra la terra ed il mare. E così parimente a tutte le province del Regno non mancò la benefica e soccorrevole mano di Teodorico. La Puglia e la Calabria dolenti ancora de’guasti recati ad esse dalla incursione vandalica, furon per due anni esentate da’tributi; animata vicenda di naviculari trasportava le vettovaglie in Francia; divenne famosa la fiera de’Lucani, dove si vendevano animali, e vesti di ricco lavoro. Troverai negli editti di Teodorico mentovati assai spesso gli agricoltori, i coloni, che furon protetti con affetto particolare, comandata la coltura de’terreni abbandonati e deserti, la istituzione di un tribunale speciale in Napoli, indizio non lieve della importanza marittima e commerciale della città. Per vedere quale fosse la mente di chi governava, basterebbe considerare quella sentenza che in forma di precetto pronunzia il cennato Cassiodoro: avara manu,portus claudit, et cum digitos attrahit, simul vela concludit; merito enim illa mercatorea cuncti refugium quae sibi dispendiosa esse cognoscunt.
I banditori delle moderne franchigie commerciali leggeranno con piacere e maraviglia questi sensi espressi in tempi chiamati barbari,dal ministro di un re ostrogoto.
La discendenza di Teodorico stette sul trono sessantaquattro anni, ma gli ultimi diciotto furon turbati dagli eserciti di Belisario e di Narsete. Le provincie della Campania, della Calabria e della Lucania ebbero a soffrire i maggiori travagli da quelle schiere nelle quali combattevano genti indomite e turbolente, insino a che i Longobardi sopraggiunti non ristrinsero la greca dominazione a poca parte del regno. La coltura e le industrie eran già quasi spente per la gravezza de’tributi imposti da Narsete, e per la mancanza delle braccia ostrogote, che fino a quei giorni avevano coltivate le campagne; e le nuove forme e gli ordinamenti civili de’Longobardi finiron d’impoverirle. La feudalità divise il potere e la dovizia fra poche mani,sprofondò nella miseria la plebe, depresse le industrie, e le terre di un regno feracissimo caddero in cosl vil pregio be si cambiarono spesso con una spada e con un cavallo. E se pure il commercio interno non andò perduto interamente per il cambio delle merci e de’prodotti, non cosi può dirsi del traffico esterno, a cui mancarono forze navali per esercitarlo, e le poche terre soggette a’Greci non furon meno oppresse da imposte immoderate, che doveano alimentare la guerra, e l’avidità imperiale d’oriente. L’ opera valorosa de’conquistatori Normanni è una delle più stupende che ci raccontano le storie del mondo, e fu compiuta da Ruggicro primo re.

VICENDE INDUSTRIALI E COMMERCIALl

II.

Imposto freno alla immoderata potenza de’barom, e liberata la pastorizia da molte gravezze, un paese che pochi anni innanzi conservava i segni della conquista e della schiavitù, vide le sue armate correre ilmare, imporre leggi a’regni di Tunisi, di Tripoli, di Algeri, assaltare l’imperatore d’oriente nella città capitale del suo stato, correre a liberare il pio Luigi di Francia dalle mani de’Saracini, e sottomettere Corfù, Atene, Tebe, Corinto. Non fu principe di quella età che superasse Ruggiero per forze marittime, da lui in ispecial modo accresciute e protette, creando a tal uopo l’ufficio del grande ammiraglio, ad esempio di quello di Costantinopoli, supremo uffiziale della casa del re, che dopo il contestabile sedeva alla destra reale, che aveva potestà di creare i vice-ammiragli delle provincie, che presedeva alla costruzione ed alle riparazioni de’legni della marineria reale, alla tutela de’porti, e delle leggi navali. Si videro sotto il regno normanno animati da continuo concorso i tanti porti dell’Adriatico, Viesti, Barletta, Trani, Bisceglie, Molfetta,Giovenazzo,Bari, Monopoli, Mola, Brindisi, Gallipoli, Otranto e Taranto,un foro privilegiato stabilito in Napoli come in Salerno, in Messina, in Palermo per giudicare le controversie con ispecial procedimento, e finalmente introdotte le arti della sete che primo in Italia condusse Ruggiero,facendo venire dall’oriente i lavoratori e gl’ingegni per quelle manifatture. La grandezza di
Amalfi, che fin dal sesto secolo aveva levato grido nel commercio , crebbe nella maggior potenza sotto questi primi re. Chiamati a parlare delle cose speciali di Napoli, non è questo il luogo di mentovarle tavole amalfitane, che tante vive discussioni accesero fra gli eruditi de secoli più vicini a noi, e che furon giudicate in que’tempi la regola scritta de’traffichi di mare, nè quella compilazione di leggi marittime della città di Trani, della quale ha ragionato con tanta accuratezza il Pardessus. Il numero de’legni che sotto il primo ed il secondo Guglielmo componevano le armate che costoro spedivano, tutto che paresse esagerato ad alcuni storici moderni, è contestato dagli scrittori più fedeli di quella età, napolitani e stranieri, Ugone Falcando, Romualdo Salernitano, e Guglielmo di Tiro.

Guglielmo I spediva centosessanta galee sulle coste africane in soccorso di Madia, Guglielmo II duecento vele in soccorso di Tiro, e l’ammiraglio Margaritone comandava un’armata di settantadue galee stanziata in Napoli. La mole e la capacità degli antichi legni era ben diversa, oltre di che la odierna civiltà avendo assicurato per mezzo di leggi e di trattati la osservanza di quel diritto che intercede fra gli uomini come fra le nazioni, avendo imposto il rispetto vicendevole delle bandiere fra loro,e sgombrato il mare da pirati, ha renduto sicuro per quanto è possibile il commercio, e la marineria militare, per quel che riguarda le operazioni del traffico, lo difende più con la forza della opinione che con quella delle artiglierie. Anzi staremmo per dire che la marineria mercantile costituisce il vero esercito che serve ora ad accrescere la potenza delle nazioni, e le tariffe doganali sono le vere artiglierie, stromento delle pacifiche guerre del nostro secolo. Ma ne’tempi de’Normanni quelle numerose armate erano necessarie per tutelare anche un piccol commercio infestato dalle potenze rivali, che non si erano ancora ricomposte in forme stabili di governo, e dalle insidie de’barbareschi. I pochi anni che corsero nel regno del primo Arrigo svevo e nella minore età di Federigo furono funesti all’industria; ma venuto negli anni Federigo, non può dirsi che egli ed il suo successore si mostrassero meno solleciti che i Normanni nell’aiutarla. Primo pensiero fu quello dell’agricoltura e degli uomini destinati al lavoro, a’quali essi medesimi stabilirono le mercedi. Davano a censo grandi tratti di terreno,imponendo obbligo di bonificare, fabbricavano città nei luoghi non sani, perchè il concorso purgasse l’aria contaminata. In quanto al traffico,furono stabilite pene speciali a’mercatanti che ingannassero i loro paesani, e doppia pena a quelli che ingannassero gli stranieri. I pesi e le misure, la più indocile materia che le legislazioni abbiano a trattare, furono osservati, e modificati da’re svevi. Le fiere, che nel medio evo erano un benefico e largo campo aperto alle merci delle varie provincie, divise fra loro per difetto di strade, furon protette da Federigo, e convenivano ad esse i commercianti della Grecia, della Dalmazia, dell’Illirico, della Grecia, dell’Asia, e le merci che vi si vendevano eran privilegiate dalle gravezze doganali, e sottoposte al solo dazio del fondaco. Gli Svevi apersero nuovi porti al commercio, ed è da notarsi nel regno di Federigo,ch’egli diè giuramento in Messina di osservare il famoso libro detto Consolato del mare, che conteneva gran numero di decisioni sulle controversie commerciali, compilazione della quale si hanno disputato la gloria l’Italia e la Catalogna.

La prosperità del commercio e dell’industria non crebbe sotto i primi Angioini, ma si volse in rovina manifesta sotto i Durazzeschi. Le navi de’primi Angioini corsero i mari; ne sono prova le ar•mate spedite in Aftica contro il re di Tunisi e la Sicilia, che si difendeva per il nostro Ruggiero di Loria, che non ebbe nel secolo XII fra’capitani di flotte nè maggiori nè eguali, per racquistare il dominio di quell’isola rapito dal vespro siciliano alla potenza angioina; ma quelle armate cominciarono adesser piaga anzichè forza dello stato. Venuto Carlo I co’suoi Francesi, aveva fatto sentire tutlo il peso della conquista, con la gravezza delle imposte. Le spese della guerra esterna, quelle de’baroni avversi a’nuovi signori rendevano indispensabile di aggravare la mano sul popolo. Fatti accorti e timorosi dalle vicende del vespro, pensaron di poi più volte ad alleviare le gravezze. Forse non troviamo leggi piu che le angioine, le quali mostrino un desiderio intenso del pubblico bene; ma quelle leggi erano infeconde perchè mancava la forza per farle eseguire. Il principe di Salerno pubblicò leggi confortatrici nel 1283,e poi nel 1289 dopo essere asceso al trono, ma nè leune nè le altre vennero osservate. Superbi de’titoli di vicari apostolici, di senatori romani, agognando all’impero d’Italia, non ebbero campo, o non seppero gli Angioini governare il loro regno. La città di Napoli, benchè fosse stata scelta sede del governo, ed avesse dagli Angioni nuovi studi, chiese, edifici e monumenti di arte, non può ricordare con tenerezza il nome di essi per quello che riguarda le faccende del commercio. Ne primi tempi di Carlo ebbe brevi impulsi, si strinse in commercio con la Francia, fece parte della lega anseatica; ma i turbamenti che l’agitarono in seguito fecero a poco a poco sparire i van­ taggi presenti, e financo le tracce del passato. Vi fu tempo, durante la lotta tra Ludovico e Ladislao, che la città di Napoli, occupata a vicenda dall’uno e dall’altro esercito, venne stretta in modo che per tre anni le campagne circostanti rimasero incolte, e dovè pagare il grano,venutogli da Genovesi, a prezzo carissimo. Il primo Carlo con le inutili leggi fece sembianza di voler deprimere la feudalità, ma con gli atti non fece che accarezzarla, e trovasi nelle storie ch’ egli avesse tramutato in feudi ben cento sessanta città, delle quali investì principalmente i suoi baroni francesi. I privati donavano quindi con frode alle chiese, e da queste riprendevano i loro beni a censo, per non pagare tributi al governo. Sarebbe lunga opera, svolgendo gli storici del tempo, l’annoverare i dazi che con diverso nome aggravavano la pastorizia e l’industria; non si ebbe ritegno di chiamare alcuni di essi col nome di dazi volontari e di donativi, quasi che risultassero dalla libera volontà di un popolo prosperante. La città di Napoli che partecipò di tutte queste miserie ( sempre per altro attenuate da que’vantaggi inseparabili dalla presenza di una corte) vide crescere fuori misura questi dazi con la venuta di Carlo III di Durazzo; la gabella delle lbarre posta su i carri, quella del buon danaro destinata a’lavori del porto, di falangaggio sulle barche, la gabella del pane, della farina,quella sul vino, su’cavalli, su’vetturali, sulle tinture, sulla carne, sul pesce, sul sale. Le industrie del ferro e quelle della seta caddero inopinatamente in eguale abbandono, si che si videro entrare i ferri e le sete straniere.
Ma le numerose armate che mettevano in punto i Normanni, gli Svevi, ed i primi Angioini, sotto i Durazzeschi disparvero. Sembra incredibile, ed è pur vero, che quando re Luigi d’Angiò venne in Napoli nel 1390 si deliberò nel parlamento tenuto in s.Chiara che gli fossero somministrate a spese de’baroni e del popolo dieci galee. Ladislao non giunse a metterne insieme più chedieci, fra le sue, e quelle avute a soldo. Veramente Ladislao fu più sollecito delle forze di terra; ma anche queste si dileguarono sotto il regno della seconda Giovanna. Caddero in potere de’Genovesi e de’Veneziani tutto il traffico e i lavori delle sete, ed essi tennero l’impero del commercio di oriente, infino a che l’ardire fortunato de’Portoghesi non ebbe aperto il nuovo passaggio per il Capo delle tempeste. Solamente le industrie interne ebbero passeggiero favore sotto la prima Giovanna, che distribuì le arti e gli stranieri venuti ad esercitarle in varie strade, come avremo occasione di dichiarare, favellando delle ampliazioni di Napoli a quella età.
Il regno di Napoli riprese l’antico vigore sotto la stirpe aragonese, la quale seppe ristorarlo ampiamente delle sofferte sciagure.

Aboliva Alfonso i dazi imposti da Ladislao sopra i bestiami a pa­scolo,ordinò le terre del Tavoliere, fissò le condizioni ai pastori, la qualità e l’estensione del pascolo agli armenti, e statuì come un tribunale a parte per l’osservanza delle leggi e de’regolamenti sulla pastorizia. Fece venire di Spagna le pecore gentili, affidandole agli abruzzesi, e così le ruvide lane s’ingentilirono, e sorsero fabbriche di pregio in Napoli, in Arpino, in Piedimonte di Alife, in Morano, in Ascoli, in Aquila, in Teramo; così risorsero le arti della seta , ed invitati financo da Firenze da Genova da Venezia maestri di quelle percbè nel regno venissero a ravvivarle. Furon fatti novelli ordinamenti, tolti i dazi allentrata di tutto che a quelle manifatture bisognasse; e migliorò a segno quell’arte che nel 1465 potè con un editto proibire la introduzione de’lavori stranieri, usando i Napolitani, come furono usati dalla corte e da patrizi nelle pubbliche feste, le sete e i velluti di Napoli.
Sotto gli Aragonesi ebbe ciascun’arte un reggimento separato e distinto, moderato da consoli trascelti nell’arte medesima, che in ogni sabato amministravano giustizia in tribunali che toglievano il nome dalla lana, dalla seta. Questa disciplina, per cosi dire, di civili legioni, sorta la prima volta nella mente di Luigi IX di Francia, ed imitata negli altri stati, sebbene rappresentasse nelle sue forme l’età feudale, e restringesse gli utili di quelle arti, pure serviva in certo modo a tutelare gli artefici, ed a stringere in un tale legame di famiglia gl’industriosi, sotto la vigilanza del governo.
Abbiamo ricordato di sopra il nome degli Aragoeesi, siccome uno de’più cari a’Napolitani per le scienze le arti e lettere da essi coltivate e protette; ora possiamo dire altrettanto delle industrie e del commercio. Prova evidente della prosperità di un paese è la crescente popolazione, ed il concorso degli stranieri che vengono a dimorarvi; e l’uno e l’altro avvenne sotto gli Aragonesi, e gran numero vi concorsero daJl’Epiro, dal Peloponneso e dalla Dalmazia, lasciando stare i Greci di Costantinopoli, che abbiamo già veduti da quei principi raccolti ed onorati. Ilcommercio esterno che con la perdita della marineria mercantile sotto i Durazzeschi erasi spento, fu ravvivato dagli Aragonesi. Per incoraggiare la costruzione delle navi fecero leggi che rendevan franche da ogni dazio di dogana ,ancoraggio e falangaggio tutte le navi che i Napolitani costruissero nel regno. È da osservarsi che il commercio esterno divenne sludio e pensiero di nobilissime famiglie, ed il conte di Sarno Coppola, famoso per la congiura de’Baroni, e per la trista sua fine, spediva attorno le sue navi, e si arricchì col commercio. Adunque le leggi fi­ nanziere e commerciali furon certo migliori che quelle de’ Normanni e degli Svevi. Ma in un tempo nel quale non erano divisi i confini de’vari codici, nè le leggi di amministrazione eran tutte ordinate ad uno scopo e non avevano un pensiero che trasparisse in esse, e le mostrasse originate da una sola mente, dovevano per necessità essere spesso discordi, avverse, contraddittorie; e tali furono, per modo che la stessa mano, la quale aveva scritto una legge favorevole al commercio, ne scriveva un’altra funesta alle industrie, quando con una prammatica si concedevano favori alla marineria mercantile, con un’altra la finanza vietava l’estrazione delle derrate.

III.

Terminate le contese tra la casa di Francia e quella di Aragona, e confermata sul trono quella di Spagna, incominciava l’infausto governo de’ vicerè. Abbiamo dato veramente, diceva Tacito, grande documento di sofferenza, e vedemmo bene che cosa fosse l’estremo della schiavitù. Per quello riguarda la pastorizia e le industrie agricole, disparvero: si costringevano i comuni a vendere le terre demaniali: delle terre erano tre quarti pertinenti ad ordini privilegiati, e tutte le gravezze piombavano sulla quarta parte del popolo, la più infelice. Queste gravezze crescevano, perchè l’ avidilà della corte di Spagna era insaziabile,e doveva alimentare laguerra col denaro e con le braccia de’Napolitani. Sparite le industrie dei campi, delle greggie e delle fabbriche,che abbiamo veduto prosperare sotto gli Aragonesi, pareva che dovesse il governo non avere dove imporre le gravezze; ma queste ogni giorno crescevano, imponendone su le famiglie, su le abitazioni, su le strade, su le arti, sui mestieri, su’viveri tutti; queste gabelle s’imponevano a tempo, e poi si vendevan più volte, come perpetue. Divenne frequente l’uso de’donativi. Rilevasi da’monumenti e dagli scrittori sincroni che le somme prese da Ferdinando Cattolico fino a Filippo IV montarono a dugento cinquanta milioni di ducati, e ne’tredici anni dal 1631 al 1644furono estratti dal regno intorno a cento milioni. Le amministrazioni di alcuni luogotenenti spagnuoli che furon meno crudeli, come per esempio quella di don Pietro di Toledo e di pochi altri, eran come que’brevissimi riposi che la fortura lasciava a’condannati, perchè più lungamente vivessero.
Le condizioni di Napoli dopo che l’Angioino vi stabilì la sede del regno furono se non peggiori, al certo eguali a quelle delle provincie. Devi soltanto in compenso annoverar que’vantaggi che la città dovea riconoscere dall’essere centro di un governo che, sebbene distruttore ed odiato, pure si vedeva costretto ad aver più special cura di essa, appunto percbè sede del regno.
I vicerè, lasciarono pure in Napoli molte memorie di edifici e di strade. Ma tutte queste opere vicereali non giovarono nè la giustizia nè la finanza. Mentre si innalzavano archi, porte, fontane, obelischi, il popolo era caduto nell’estremo dell’avvilimento e della miseria, per la gravezza dei tributi, i quali se sono indispensabili sostegni di ogni governo, debbono pure, non altrimenti de’vapori che si sollevano dalla terra, ricadere sotto forma di benefica pioggia a ravvivare i campi ed a fecondarli. Ridotte a queste condizioni le cose interne del regno non è a dire che cosa divenisse il commercio esterao e la marineria napolitana; appariva manifesta in ogni provvedimento la piaga più crudele de’governi, la incertezza de’legislatori e delle leggi, imposte, rivocate, non eseguite. Sa giunse a minacciar pena di morte per la estrazione delle derrate, si facevano venire dallo straniero i legni da costruzione, dimenticando i nostri boschi, si fermavano trattati con Algieri, con Tripoli, ma inutili trattati quando la bandiera non è rispettata e temuta; a stento potè nel 1509 armare sei galee per combattere sei fuste turche, dodici nell’anno seguente contro Tripoli, dieci nel 1515 contro i corsari, e nel 1518 contro Filippino Doria non più che otto; ma anche su quei legni sventolava la bandiera di Spagna. Il trattato del 1667 tra l’Inghilterra e la Spagna aveva stabilito il famoso privilegio di bandiera, cioè l’esenzione delle visite a’bastimenti spagnuoli ne’porti inglesi, ed a’legni inglesi ne’porti di Spagna. Questi privilegi furon richiesti e confermati ne’ trattati seguenti di Utrecht e di Madrid, e nel fermarne i patti le menti de’negoziatori non abbandonarono giammai il trattato del 1667, e cosl gl’Inglesi e i Francesi vollero godere ne’porti del regno l’esenzione delle visite, riguardando il regno come provincia spagnuola. Da questo estremo di miserie non solamente lo tolse la mano di Carlo III Borbone, ma il sollevò in brevissimo tempo ad una tale altezza non isperata, da potere annoverarsi tra’primi regni in Europa che incominciassero a sgomberarsi dalle catene di una confusa legislazione, di una finanza tenebrosa, e di un timido e servile commercio.
IV.

Prima operazione richiesta ad un provvido governo, perche le imposte sieno equabilmente ripartite, essendo quella di formare un esatto catasto che descriva le proprietà ed il valor di esse, fu comandato da Carlo e compiuto un nuovo censo.
Le franchigie delle terre baronali cessarono, cessarono in parte quelle de’beni ecclesiastici per nuovo concordato che fermò nel 1741 con Bènedetto XIV, nel quale si statuirono pii certi confini al sacerdozio e all’impero. Non mancò provvedimento alcuno ad incoraggiare gli agricoltori e la pastorizia, concedendo terre incolte e paludose, e soccorrendo in danaro i più poveri. Le industrie risposero assai presto alle paterne cure del re, e sorsero fabbriche di armi, di arazzi, di pietre dure, di cotone, di tele, di panni, le quali ben presto vennero in fiore.
Dopo l’agricoltura e le industrie, dopo aver migliorate le condizioni degli uomini e delle proprietà, tutto il pensiero di Carlo fu inteso ad agevolare il traffico. Facendo principio dalle leggi, da’tribunali, da’trattati che sono i tre sostegni del commercio, in quanto alle prime ne pubblicò grandissimo numero. Con editto del 1766 aboliva i privilegi di bandiera, essendosi questa provincia sciolta dalla sua dipendenza, ed innalzata a tutta la dignità di regno. Principali tra le leggi di Carlo furon quelle de’7 a 18 aprile 1741, et agosto 1751. In esse si stabilirono i diritti di navigazione, si davano norme per la spedizione delle patenti a’capitani de’bastimenti, s’imponeva l’uso e la forma della bandiera nazionale,si prevenivano i naufragi frodolenti,si prescrivevano i doveri de’comandanti,de’piloti,de’marinari, e può dirsi che non vi fu oggetto di rilievo al commercio che nelle prammatiche di Carlo non si trovi preveduto, sempre secondo i tempi, i quali vantaggiarono, ma non quanto nè il principe avrebbe desiderato, nè la sapienza di quelle leggi avrebbe fatto sperare.
Intervenne infine la regia potestà siccome tutrice universale degli interessi del suo popolo, nelle assicurazioni marittime, le quali essendo facoltà universale il farne giuoco di speculazione, e spesso con rovina de’commercianti, meritarono che il re sanzionasse un compagnia di assicura1ioni (prammatica, 9 aprile 1741). Creò un supremo magistrato di commercio con ampi poteri nel 1739, che poi restrinse nel 1746, destinandolo solamente a giudicar delle cause tra’Napolitani e stranieri. Un altro tribunale col nome di Deputazione di Sanità che vegliasse a’contagi, ai lazzaretti ed alla salute pubblica. Non mancaron finalmente trattati a tutelare la marineria napolitana, e Carlo ne fermò in breve col Turco (1740-42), con Tripoli (1743),con Danimarca (1753), con la Svezia ( 1745), e con l’Olanda (1753). A tutto questo aggiungi una marineria armata che sorgeva al cenno di lui, il quale istituiva un collegio nautico, un corpo di costruttori, destinandoli ne’due cantieri di Napoli e di Castellammare. Il solo enumerare le opere fatte da Carlo passerebbe i confini prescritti a questo breve cenno; perocchè non solamente fu mirabile il regno di questo principe per essersi rivolto a tutte le parti della pubblica amministrazione, ma per avere ciò praticato con rarissimo esempio, senza spargimento di sangue, e senza crudeltà di leggi e di giudizi.
Con la venuta al trono del giovine Ferdinando le opere di governo, incominciate da Carlo, continuarono, e non avvenne neppure quel leggero movimento cbe diremmo di reazione, che sempre si vede nell’ avvenimento al trono di nuovi principi, anche venuti a regnare in pacifica e non contrastata successione. L’impulso continuava dalla Spagna, la quale mandò più volte anche soccorsi di denaro. I primi anni corsi nel regno di Ferdinando dalla partenza del padre fino alla invasione delle armi straniere, furon felicissimi, e concorsero a renderli invidiabili l’animo benigno e clemente del re, che volle fondata una colonia addetta al setificio in s.Leucio con leggi maravigliose a quell’età; ed alle sue regali provvidenze risposero il sapere e l’onestà de’suoi ministri, e le dottrine degli economisti sommi, che giungevano fino al trono, ed erano accolte e festeggiate.

Dopo i primi anni del presente secolo ne’quali ilcommercio, durante i rivolgimenti politici, e la occupazione francese, venne turbato dalle armi, ritornato Ferdinando agli antichi dominii proseguì le opere incominciate, e provvide al commercio ed alla industria. Furono abolite con legge del 1816 i privilegi e le esenzioni che i bastimenti ed i sudditi britannici, francesi, e spagnuoli godevano ne’porti del regno, concedendo invece ad essi una diminuzione del dieci per cento sulla somma delle imposizioni che le mercanzie delle isole britanniche,della Spagna e della Francia dovevano pagare ne’nostri porti,quando le merci fossero importate sotto la bandiera diquelle nazioni. Qaesti favori,che avrebbero renduto in breve la marineria straniera padrona del nostro commercio,furon conceduti più ampiamente alla marineria nazionale, che ottenne la diminuzione del dieci per cento su tutt’i generi importati ed esportati sotto la bandiera napolitana.
Furono animate con premi le navigazioni di lungo corso, e la somma de’premi dal governo conceduti alle mercanzie che sotto la bandiera napolitana venivano dalle Indie orientali e dal Baltico godendo le prime una diminuzione del venti per cento: e le seconde del dieci percento su i dazi, è la più vittoriosa pruova della prosperità commerciale del nostro regno. Nell’ anno 1831 questi premi giunsero per le mercanzie delle Indie orientali a ducati quindicimila quattrocento novantanove, per quel­ le del Baltico nell’anno 1832 a ducati duemila cinquecento ottanta. Due terze parti e più del nostro commercio fu messo in movimento dalla bandiera napolitana, la quale apparve su i primi piroscafi che dopo l’Inghilterra solcassero il Mediterraneo, e finalmente per trascegliere un periodo medio nell’età corsa dopo la restaurazione de’Borboni fino a’nostri dì, rammenteremo che dall’anno 1825 fino al 1833 il numero de’legni mercantili e da pesca si aumentò di ben ottocento sessanta legni, capaci di 25,671tonnellata. Tutto quello che ha potuto divenire la marineria ed il commercio napolitano nel breve periodo ditrena anni potranno ravvisarlo i nostri lettori nello stato presente, di che daremo più speciale ragguaglio ne’ seguenti capitoli.