I PONTI DELLA VALLE PRESSO MADDALONI. (Dal viaggio Pittorico)
V’ha tali opere di architettura delle quali tanto mag¬giore é l’elogio quanto più fedele e schietta la descrizione. Nel quale numero nessuno vorrà negare che sia l’Acquidotto Carolino, così domandato perché Carlo III negli ultimi anni del suo regno commise a Ludovico Vanvitelli il costruirlo, per dare alla reggia di Caserta, ai popoli della Campania, a questa metropoli copiose acque e saluberrime. E veramente poteassi attignere a fonti e correnti più prossime; se non che, la circostante regione non ne avrebbe abbondevolmente somministrate; ed oltre a ciò, quel monarca il quale nell’edificare ebbe animi e concetti veramente regii, per abbellimento delle casertane delizie voleva una cascata, e voleva che l’acqua da per sè potesse al più alto del palagio salire, perchè agevol fosse di là a tutte le stanze distribuirla: indi la necessità, considerata l’elevazione generale del sito, di raccoglierla da tal punto che alla ragion del livello si consentisse. Laonde ei fu uopo andare a pigliarla alle radici del Taburno, monte confine tra la Campania ed il Sannio, e da dieci fonti adunatala, e di altri ramicelli camin facendo ingrossata, per coperto canale condurla sino alla Cascata, attraversando montagne, traghettando fiumi, cavalcando vallate. Un tempo Cesare Augusto alla colonia da lui dedotta in Capua di pari dono fu largitore, e per lo appunto prese dal Taburno quell’acqua che dal nome della sua famiglia adottiva fu giulia denominata : acqua di sì eccellente natura che Vellejo Patercolo ne regiona come di singolar modello di salubrità, perché semplicissima, e qual ornamento maraviglioso di amenità, perchè limpidissima. Erasi col trascorrer dé tempi smarrita; ma sulle vicinanze di Capua vetere, lungo il margine de’monti Tifati, e andando in là verso levante i vestigi scoprivansi del vetusto acquidotto; e per sorta so ne incontraron gli avanzi sotterra nello scavare il novello presso ad una delle sorgenti cennate, anzi nella direzione e della grandezza medesima: per guisa che avrebbee potuto venire in concio al moderno uso, ove rinvenuta non si fosse la fabbrica tutta in rovine.
Ma seguitiamo , comeché correndo, nel suo tortuoso viaggio di oltre a ventun miglio questo regio acquidotto. Incomincia da sublime pianura, base al fianco meridionale del monte Taburno, la quale declive per lungo tratto, finisce nella valle Caudina. Per grande spazio quello procede entro un terreno di brecciuola tenacemente conglutinata. Sette palmi è alto, quattro e 3/4 largo nell’interna parte. Di poi si abbatte in una pelude ove fu mestieri piantare fitte ed alte palizzate. Passando per quel campo, che a cagione dal tremar che fa sotto i passi vien chiamato il Tremolo, di un’altra metà di palmo si allarga, e poi lungamente in una terra tufacea pure sopra sode palizzate cammina. Giunto al fiume Faenza, lo trapassa al di sopra di un ponte di tre archi, e per 280 palmi è scoverto: qui si dilata sino a cinque palmi; e semplicissima iscrizione, ripetuta nelle due fronti dell’arco medio, i nomi di Carlo e di Amalia e l’anno 1754 consegna alla memoria.
Nuovamente il condotto si asconde in una collina di tufo durissimo, a fatica forata per la lunghezza di 8200 palmi, e continua per entro le viscere di più monti ( vivo sasso, appendici del Taburno ) sino a che non perviene ad altro ponte di quattro arcate su di picciol torrente che scorre per la valle di Durazzano. Durante quel suo andare, si avvicina di nuovo alla Faenza, là ov’essa diramasi sul canale scoperto detto di Carmignano, da cui la celebre acqua dello stesso nome è trasportata in Napoli; e quivi una chiusa è praticata per poter votare in ogni evento l’acquedotto sul fiume. Dopo il ponte di Durazzano il condotto costeggia sotterraneo, attraversa e rade nuovamente le aspre falde del monte Longano,cui larga valle divide dall’opposto Garzano. Ed in tale vallata incontrasi la terra che dal sito stesso tiene il nome di Valle, dalla quale è venuto quello di Ponti della Valle alla parte dell’acquidoccio cui siamo, seguendone il corso, pervenuti, e che il litografo ha qui figurata.
Consiste di tre ordini di archi, l’uno sopra dell’altro imposti, e di estensione ineguale,chè nel primo ordine se ne contano 19, nel secondo 28, nel terzo 43. Larghi piloni sopra eterne basi cavate sino alla profondità di cenquaranta palmi, sostengono gli archi, ad ogni due de’quali sono fortificati da speroni piramidali, che insino al sommo dall’una parte e dall’altra si elevano. Di pietra viva i fondamenti; fuor della terra è tufo, il quale nella interna parte de ‘piloni va commiato al sasso vivo, nell’esterna vedesi polito, squadrato, e da triplici filari di mattoni a quando a quando afforzato. Perchè per dentro le arcate si potesse andare, secondo che il bisogno di alcun risarcimento, o il semplice desiderio de’curiosi potea richiedere, fu lasciato in costruzione nelle spalle degli archi e per diritta linea angusto passaggio. Sopra il terz’ordine corre il canale coperto; su di esso una larga via, solo ai reggi cocchi serbata; e sotto il primo ordine la sannitica, la quale passando per la vicina Maddaloni, mena a Campobasso: sulle due facce dell’arco ch’essa traversa leggonsi le belle epigrafi latine dettate dal Mazzocchi per eternar la memoria dell’opera maestosa.(1)
(1) La larghezza di questa fabbrica nella sua sommità è di palmi 15; la maggiore altezza perpendicolare,221 : la superiore lunghezza, 2080 ; la luce di ciascuno de’90 archi,64. II volume dell’acqua che scorre dentro al condotto è palmi 4 e 3/4 in larghezza, e 3 in altezza. Tutto l’interno di esso fu colla maggior diligenza fabbricato e intonacato di lapillo vulcanico battuto con mazzapicchi. Per seguitare appuntino il suo andamento, abbian profittato della bella e grandiosa carta di questo Acquidotto che si conserva inedita presso l’architetto sig. Ferdinando Patturelli. Egli ha pure quella della livellazione di esso fatta nel 1752.
Superata così, la valle di Garzano, questa montagna, tutta macigno durissimo, opponeva al Vanvitelli ostacolo forse maggiore che non avea sino allora vinto:
Non però sbigottito, alla via men ardua ma più lunga dell’incassare il canale seguendo le alpestri sinuosità del monte, ci preferì quella del traforarlo, più ardita
e difficile, ma ad un’ora più breve. Il perchè attaccatalo nel tempo stesso dalle due opposte parti collo scalpello e le mine, e scavati cunicoli per dar lume ai lavoratori, dopo tre anni di fatica dì e notte continuata per 6250 palmi di lunghezze, fu quel traforo compito; e gli opposti operai in un’giorno stesso così direttamente gli uni negli altri abbatteronsi, come se sotto l’aperto cielo avessero lavorato. Dopo il quale sotterraneo passaggio, il canale rasente le radici del monte Calvo, passa al di sopra dé casali di Garzano, Toro, S. Barbara, Casolla e della Badia di S. Pietro, attornia le pendici del Tifato, e percorsi in uno palmi 156230, dé quali 30770 per entro forati monti, giugne sul Briano, ove le cascate cominciano.
Adunque mal si apporranno coloro che dalla costruzione visibile vorranno di questo acquidotto giudicare. La terra copre la miglior parte del valor dell’architetto, ma non la cela; ché ogni giusto apprezzatone di sì fatte cose gli terrà, com’è debito, ragione dell’improba fatica durata nel superare le tante difficoltà che ad ogni passo gli contendevano la vittoria.E gli si accresce onore dall’aver condotta l’opera a fine nel breve spazio di anni sei, dal 1753 al 1759, nè con altra spesa
che di ducati secentomila ; degna pertanto di egualiarsi a ciò che di più grande operarono i Romani in atto di acquidotti; nè sarà agevole trovarne fra i moderni alcuno che pur da lungi ne sostenga il confronto. Quello di Maintenon non essendo compiuto, bisogna andare sino in Segovia a quel di Trajano, perché tale confronto grandissima disparità non soffra. E i forestieri stessi, usi a spregiar le nostre moderne costruzioni, si rimangono estatici innanzi ai ponti della Valle.
Valga per tutti l’inglese Eustazio, il quale nel suo noto Viaggio così dice : ” Nel mezzo di questa solitaria valle, il viaggiatore attonito ammira il magnifico ponte costruito sopra tre ordini di altissimi archi, che maestosamente la trapassi da un capo all’altro…. Se guardiamo la lunghezza e l’elevazione di questo edificio, o l’impression che produce in chi io guarda, certo che dovrem dire non solo sorpassar esso ogni altro di moderna strutttura, ma eziandio gareggiare co’più nobili monumenti romani”.
Di tale e tanta opera, che avrebbe illustrato qualunque regno, forte compiacquesi Re Carlo, come quegr che ordinator n’era stato ed incoraggiatore. Né parti, volle per la Spagna se prima non ebbe, il 2 Aprile 1759 colla Regina e la Corte tutta, visitato le profondità dal Garzano, a tal uopo di addobbi e fiaccole splendidamente ornate ; e tuttora si addita il pozzo donde egli discese in quelle cave : testimonio verissimo che nelle magnifiche imprese a’Monarchi di alti spiriti il volere fortemente è potere. E nel 7 Maggio seguente egli assisteva alla prima entrata dell’acqua giulia nel Canal Carolino; e presso allo sbocco tenendosi nella valle di Garzano, là dove temporanea Cascata tenea luogo dell’altra non ancor presta, coll’oriuolo alla mano le ore numerava che quelle acque metter dovevano a giugnere sino a lui, e de’minuti passati oltre il termine annunciatogli alquanto si conturbava, presente l’architetto e trepidante; quand’ecco il novello fiume irrompere, la via e le leggi prescrittegli docilmente seguitando; ed allora lo sparo delle artiglierie, il pubblico tripudio, le acclamazioni universali, e sopra tutto il reggio abbracciamento diedero al Vanvitelli momento lietissimo, il più beato della sua vita.
Raffaele Liberatore Digitized by Google
(i) Dal Viaggio Pittorico,