Alessandro Barbero, I prigionieri dei Savoia. La vera storia della congiura di Fenestrelle,
Alessandro Barbero racconta in I prigionieri dei Savoia la vera storia di Fenestrelle ma anche la storia di come quegli avvenimenti, già di per sé abbastanza drammatici, siano diventati nell’Italia del Duemila materia di un’invenzione storiografica e mediatica.
La sera del 9 novembre 1860 una colonna di soldati in lacere uniformi turchine, disarmati e sotto scorta, marciava lungo la tortuosa strada alpina che risale la Val Chisone, nelle montagne piemontesi, verso la fortezza di Fenestrelle, costruita a 1200 metri di altezza sul livello del mare. Erano prigionieri dell’esercito borbonico catturati per lo più alla resa di Capua il 2 novembre, trasferiti per mare da Napoli a Genova dove erano approdati il giorno prima, poi trasportati in treno fino a Pinerolo e ora avviati a piedi, giacché non c’era altro mezzo, alla fortezza. Esausti per l’interminabile marcia, arrivarono a Fenestrelle per tutta la notte, a drappelli sbandati. Uno di loro morì appena giunto; nei giorni seguenti ben 178 su 1186 vennero ricoverati in ospedale, e altri quattro vi morirono.
Il 6 luglio 2008, sotto una pioggia battente, un gruppo di aderenti e sostenitori dei Comitati Due Sicilie, in parte convocati via chat o per email, salì a Fenestrelle e inaugurò una lapide che dice testualmente: «Tra il 1860 e il 1861 vennero segregati nella fortezza di Fenestrelle migliaia di soldati dell’esercito delle Due Sicilie che si erano rifiutati di rinnegare il re e l’antica patria. Pochi tornarono a casa, i più morirono di stenti. I pochi che sanno s’inchinano». Duccio Mallamaci, coordinatore per Piemonte e Calabria del Partito del Sud, tenne, interrompendosi a tratti per la commozione, un discorso in cui definì Fenestrelle un campo di sterminio come Auschwitz o Belzec, e affermò che 8000 uomini vi erano morti di fame e di freddo; in tutto, aggiunse, furono 40.000 i prigionieri meridionali sterminati nel Nord. Al discorso seguì una messa in latino, officiata da un prete francese fatto venire per l’occasione.
Tutti i fatti che abbiamo raccontato fin qui sono veri: tanto la risalita della colonna dei prigionieri la notte fra il 9 e il 10 novembre, quanto la manifestazione del 6 luglio 2008. Quasi tutto quello che venne detto in quest’ultima occasione a Fenestrelle è invece menzogna e mistificazione, così come menzognera è la lapide che incredibilmente l’amministrazione del forte ha consentito di esporre. Questo non significa che chi è salito a Fenestrelle quel giorno piovoso d’estate porti la responsabilità della mistificazione: molti e forse tutti erano convinti che quello che dicevano e ascoltavano fosse vero. Nell’Italia di oggi, almeno quando si parla del passato, le menzogne più grossolane si trasformano facilmente in verità per tanta gente in buona fede.
Questo libro tenta di ricostruire ciò che veramente accadde ai prigionieri napoletani trasportati al Nord, e in genere agli ex-soldati borbonici caduti nelle mani delle autorità vittoriose. Il lettore vedrà che la ricostruzione è per lo più estremamente minuziosa, anche quando si tratta di questioni che normalmente non meriterebbero tanto sforzo: come, per esempio, stabilire il giorno esatto in cui un certo reparto capitolato a Gaeta venne trasportato a Capri o ad Ischia, quanti giorni vi rimase, e quale rancio ricevettero gli uomini in quei giorni. È una conseguenza necessaria del fatto che intorno a tali questioni è stata sollevata negli ultimi anni una cortina di interrogativi fumosi e di sospetti gratuiti, che può essere smantellata solo attraverso un’aderenza scrupolosa ai fatti dimostrati.
Questa, dunque, è la storia di ciò che accadde veramente a Fenestrelle, ma anche a Torino, a Napoli, a Milano, a Gaeta e in altri luoghi d’Italia, fra 1860 e 1861, quando l’esercito delle Due Sicilie venne sconfitto in una guerra non dichiarata, i suoi uomini fatti prigionieri o sbandati, e poi, in gran parte, trasportati al Nord per essere arruolati contro la loro volontà nell’esercito italiano. Ma è anche la storia di come quegli avvenimenti, già di per sé abbastanza drammatici, siano diventati nell’Italia del Duemila materia di un’invenzione storiografica e mediatica: tanto più ignobile in quanto rivolta a un’opinione pubblica frustrata e incattivita, in cerca d’un riscatto qualsiasi da una realtà poco edificante come quella che ha presentato negli ultimi anni il nostro paese.
Fenestrelle. Neoborbonici contro Barbero: dibattito/sfida pubblica a Napoli
(ampia rassegna stampa)
Grandi articoli del Corriere del Mezzogiorno, del Mattino e della Gazzetta del Mezzogiorno rilanciano la nostra richiesta. Il Movimento Neoborbonico ha inviato al prof. Alessandro Barbero, autore di un recente libro su Fenestrelle e sui soldati napoletani prigionieri al Nord durante l’unificazione italiana (“I prigionieri dei Savoia”), una richiesta di sfida/dibattito (interventi alterni di 3 minuti con clessidra, possibilità di utilizzare “testimoni” e documentazione, luogo e ora da definire) dopo quanto sostenuto nel testo e nei suoi recenti interventi. Il prof. in questione, infatti, docente di storia medioevale e romanziere, ha affermato di avere finalmente riportato la verità sui fatti di Fenestrelle e, nello stesso tempo, ha utilizzato una terminologia offensiva e del tutto inappropriata in un contesto da dibattito storiografico definendo i i “neoborbonici” artefici di “strumentalizzazioni non si sa quanto in buona fede”, con “invenzioni a uso e consumo delle passioni e degli interessi del presente” mescolando citazioni dal “mare magnum” di internet, fonti archivistiche, passi della Civiltà Cattolica (la rivista dei Gesuiti prima artefice delle “menzogne”) e brani dei (documentati) testi di Del Boca, Izzo, Di Fiore o Aprile (“spudorate reinvenzioni”, “furibonde mistificazioni” con libri “incredibilmente pubblicati da case editrici nazionali” fino addirittura all’affermazione che chiude lo stesso libro con l’invito a non “stravolgere il proprio passato per fini immondi” a p. 316). E se per l’editore Laterza (Corriere 17/10/12) i commenti pubblicati sul suo sito rappresentano “la deriva neoborbonica, altra faccia della medaglia leghista” (ma nessuno ha mai visto un “neoborbonico” candidato da circa… 150 anni), questo “stile” di Barbero, a quale deriva si potrebbe collegare e quali reazioni poteva suscitare? La questione di Fenestrelle e dei soldati napoletani (AL CENTRO DI NOSTRE RICERCHE TUTTORA IN CORSO CON DOCUMENTI INEDITI E IGNORATI DA BARBERO) appare, invece, complessa e irrisolta e significativa di un certo modo di affrontare le tematiche relative all’unificazione italiana con la (consueta) “criminalizzazione” di chi non si riconosce nella storiografia ufficiale troppo spesso parziale e unilaterale e senza il minimo rispetto per i tanti che in questi anni hanno portato alla luce pagine del tutto dimenticate e tragiche della storia nazionale e per i tanti (troppi) che furono vittime oggettivamente incolpevoli di deportazioni, massacri, punizioni e umiliazioni motivate solo dall’appartenenza (non rinnegata) all’esercito borbonico.
LINK CORRIERE
http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/notizie/arte_e_cultura/2012/18-ottobre-2012/guerra-neoborbonici-fenestrelle-fu-massacro-o-invenzione–2112309165382.shtml
Nell’articolo firmato da Corrado Stajano sul Corriere dell’11/10/12 con la recensione del libro di Alessandro Barbero sui prigionieri borbonici nella fortezza di Fenestrelle, sono state pubblicate alcune affermazioni false, calunniose e diffamanti riferite ai “neoborbonici”. I “neoborbonici”, infatti, vengono definiti “dissennati” o addirittura “assatanati” oltre che artefici di “invenzioni” e “strumentalizzazioni”. Il Movimento Neoborbonico è un movimento culturale senza alcuna finalità politico-elettorale o commerciale nato nel 1993; vanta decine di migliaia di iscritti e simpatizzanti in Italia e all’estero; titolare del relativo marchio registrato, ha all’attivo centinaia di manifestazioni, convegni, mostre e pubblicazioni con migliaia di pagine di rassegna-stampa presso i media non solo nazionali e con la creazione di una categoria culturale e storiografica definita negli ultimi anni “neoborbonica”. Il Movimento Neoborbonico, pertanto, con il proprio ufficio legale, preannuncia, suo malgrado, una querela contro l’articolista e il quotidiano Corriere della Sera in mancanza di una smentita circa le asserzioni citate, al solo fine di tutelare la sua onorabilità: nel caso in questione, infatti, è del tutto arbitrario, immotivato e decontestualizzato (trovandosi nell’ambito di un dibattito storiografico e nell’ambito di un dibattito storiografico tutt’altro che risolto) utilizzare la terminologia utilizzata nell’articolo e riferibile a chi, in circa 20 anni, ha semplicemente realizzato e divulgato ricerche anche sulla complessa questione di Fenestrelle e sulle deportazioni, la detenzione e le drammatiche conseguenze a danno di migliaia di soldati borbonici durante l’unificazione italiana. Nello stesso tempo, si allega alla presente comunicazione un intervento storiografico-archivistico in risposta ai temi esposti nell’articolo in oggetto.
Analoga comunicazione è stata inviata al prof. Alessandro Barbero per quanto dichiarato nell’articolo e per quanto pubblicato nell’introduzione del libro di J. Bossuto e L. Costanzo (Le catene dei Savoia, 2012) con riferimento alla pubblicistica “neoborbonica” che avrebbe “confuso le idee”, reso “selvaggi e parziali i dibattiti”, con “invenzioni non si sa quanto in buona fede”, a “uso e consumo delle passioni e degli interessi del presente” e per quanto pubblicato nel suo testo (I prigionieri dei Savoia, pp. 311 e sgg.) in cui, al di là delel gratuite ironie su ricercatori e artefici di commemorazioni, utilizza una terminologia offensiva e inappropriata sempre riferendosi ai neoborbonici, citando anche testi del sito dell’Associazione Culturale Neoborbonica e mescolando citazioni dal “mare magnum” di internet, fonti archivistiche, passi della Civiltà Cattolica (la rivista dei Gesuiti artefice prima delle “menzogne”) e brani dei (documentati) testi di Del Boca, Izzo, Di Fiore o Aprile (“spudorate reinvenzioni”, “furibonde mistificazioni”, “impudicizia”, libri “incredibilmente pubblicate da case editrici nazionali” fino addirittura all’affermazione che chiude lo stesso libro con l’invito a non “stravolgere il proprio passato per fini immondi”) (p. 316).
Ufficio Legale Movimento Neoborbonico. Napoli
Fenestrelle, verità e rispetto per i soldati napoletani (e per i neoborbonici)
Alessandro Barbero (docente di storia medioevale e romanziere piemontese) ha scritto un libro per “raccontare la verità su Fenestrelle”. Siamo, ovviamente, in attesa di leggere il libro in uscita in questi giorni (OVVIO IL SUGGERIMENTO DI EVITARE DI ACQUISTARLO) ma già secondo la recensione pubblicata sul Corriere (Corrado Stajano, 11/10/12), “il libro non offre un’analisi storica complessiva” e ricostruisce le vicende dei soldati borbonici imprigionati nel forte sabaudo “con una minuzia eccessiva”. Qualche osservazione è necessaria per chiarire la posizione di quei neoborbonici che nell’articolo vengono definiti “dissennati” o addirittura “assatanati” e artefici di “invenzioni” e “strumentalizzazioni”. E’ forse un’invenzione neoborbonica o della Civiltà Cattolica (rivista dei Gesuiti accusata dall’autore di aver raccontato molte menzogne sul tema) che circa sessantamila soldati dell’esercito napoletano furono arruolati nell’esercito italiano “in ogni modo” (parole e cifre dell’articolista)? E’ falso che essi furono deportati con viaggi lunghissimi e spesso drammatici in “campi di concentramento-lager” (questo il termine -piaccia o no- più appropriato) come quelli di Fenestrelle o di San Maurizio, Alessandria, San Benigno, Bergamo, Milano, Parma, Modena o Bologna? E’ forse un’invenzione che molti di loro portavano addosso “cenci e uniformi leggere” e furono trasportati nel gelo delle Alpi o altrove solo perché “si ostinavano a non tradire il giuramento” fatto al loro legittimo Re e continuavano a “dirsi napoletani”? E quale diritto consentiva o avrebbe consentito questa scelta di un governo contro un governo legittimo senza neanche una dichiarazione di guerra? A cosa si legava quella “decisione del governo di Torino di arruolare subito nel’esercito italiano” quei soldati? E’ da “dissennati o assatanati” pensare che quella decisione si legava proprio al fatto che il governo di Torino avrebbe potuto trattarli, punirli o tenerli in prigione (dopo “aspri conflitti”) come disertori piuttosto che come prigionieri di guerra “con le garanzie a cui avevano diritto”? E poi una domanda banale ma opportuna: perché, se non ci fosse stata una volontà punitiva e coercitiva, invece di organizzare costosissimi viaggi e campi-prigione, non chiedere a quei soldati “in loco” la disponibilità a passare all’altro esercito e, in caso di rifiuto, lasciarli liberi? A proposito della mancanza di un’analisti storica complessiva, poi, già lamentata dal recensore, se pochi anni prima dei fatti in questione Fenestrelle era sotto accusa per le condizioni “di brutalità assoluta” in cui vivevano prigionieri (e guardie) in un sistema giudiziario-poliziesco sabaudo che (come si rileva da un recente testo di cui il prof. Barbero ha scritto anche l’introduzione), prevedeva “la rottura di ossa, le decapitazioni con le teste recise accanto alle braccia e nelle gabbie” (abitudine consolidata e duratura, come dimostrano le “decapitazioni per comodità di trasporto” praticate ai danni dei nostri “briganti” post-unitari dai soldati piemontesi: cfr. Busta 60 Fondo Brigantaggio Ufficio Storico Stato Maggiore dell’Esercito Italiano), in quale momento storico la stesso sistema avrebbe trasformato Fenestrelle in un albergo a cinque stelle? E se fosse stato tutto così “umanitario e caritatevole”, perché mai quei prigionieri avrebbero scelto il suicidio lanciandosi in mare durante i viaggi (cfr. “L’Armonia”, 1861) o i rischi di un complotto? Il processo, come afferma Barbero, avrebbe portato gli imputati al “rinvio ai loro corpi militari” ma questo, come si è detto, non rappresentava automaticamente per loro una liberazione. La ricerca archivistica, come sa bene chi frequenta gli archivi per decenni e assiduamente, è spesso una ricerca “in negativo”: sono più numerosi, cioè, i documenti che mancano e che o sono scomparsi o sono altrove, piuttosto che quelli che abbiamo la fortuna di ritrovare. E se ci risulta un documento in cui un ufficiale racconta la nostalgia di un militare borbonico con umanità, quanti ufficiali non hanno raccontato il loro disprezzo (o le loro punizioni) verso gli stessi soldati? Del resto, più “illegali” erano le pratiche finalizzate alla punizione o alla eliminazione di quei soldati nemici, meno sono le “prove” archivistiche rintracciabili, come ci dimostrano storie e stermini anche più attuali (quali archivi conservano i documenti di tutti i morti dei massacri nazisti o comunisti?). E il problema resta e resiste addirittura ancora nel 1872 se il governo italiano trattava la complicata questione della costituzione di una “colonia penitenziaria” prima in Patagonia, poi in Tunisia, sull’isola di Socotra o in Borneo… Evidentemente si trattava ancora di migliaia di “refrattari” con la progressiva e drammatica aggiunta dei nostri “briganti”. Quello che non torna, dopo tanti (troppi) anni è il numero dei nostri soldati: se, come si afferma anche nell’articolo, ben sessantamila soldati furono trasportati, deportati, ricoverati, arruolati o imprigionati al Nord, quanti di essi furono effettivamente assassinati, fucilati o feriti? Quanti di essi morirono nelle carceri o nei campi di concentramento-lager dei Savoia? Quanti ne morirono per quelle ferite o dopo le malattie inevitabili per la promiscuità e la durezza delle condizioni imposte? E se qualcuno sostiene che a casa vi tornarono (ma i riscontri effettuati finora presso gli archivi locali sono negativi e drammatici) o che furono arruolati nel nuovo esercito, perché oltre 10 anni dopo, ancora si cercava di spedirli, a migliaia, in Patagonia? E cosa gli successe dopo i (vani) tentativi di esiliarli visto che non c’era, evidentemente, la volontà di liberarli? E’ certo, allora, che le ricerche devono continuare, ma è altrettanto certo che molte (troppe) migliaia di nostri soldati (in grandissima parte giovani e giovanissimi: il cuore materiale e morale della società meridionale post-unitaria) furono vittime incolpevoli e dimenticate di un’unificazione realizzata con troppi errori e in una storia, “un’altra terribile storia”, come scrisse efficacemente Paolo Mieli proprio a proposito di Fenestrelle (Corriere, 11/10/04), che abbiamo il diritto e il dovere di conoscere rispettando quei soldati borbonici del passato (uno, cento o trentamila poco importa) e rispettando chi oggi cerca semplicemente di ricostruire e raccontare la loro storia nonostante offese e insulti gratuiti e immotivati.
Prof. Gennaro De Crescenzo
Movimento Neoborbonico,
Napoli