“IL VERIDICO” n.18 -… supereranno in crudeltà, gli Attila, e i Tamerlani.

TESTATA N, 18 26 DIC

RICERCA EFFETTUATA SU “GOOGLE LIBRI” DAL GIORNALE “ILVERDICO” N. 18 ROMA 26 dicembre 1862
pag. 72

LA VERITA’ A GALLA

L’armata piemontese, che quantunque piccolissima negli ultimi anni del secolo scorso sulle Alpi fece per alcun tempo fronte alle armate tanto più poderose della Fran­cia rivoluzionaria, e che in questo secolo nella guerra del 48 diè non dubbie prove di valor militare, benchè replicatamenle battuta dagli Austriaci, ha nella ultima guerra del 59, in cui fu più d’ingombro ai Francesi che di aiuto, perduto assai dell’antica e della recente sua riputazione, ed ognor più la perde di gioruo in giorno.
Noi lo dicemmo altra volta. Dacchè l’armata piemontese vien reclutala tra i diversi popoli d’Italia specialmente tra i Toscani, i Napoletani ed i Pontificj che odiano di gran cuore il governo cui son costretti servire, e che rifuggono dalla leva e dal servizio militare tanto, che ad ogni occasione che si presenti si rendono latitanti o disertori, essa armata è moralmente spenta, e già ha perduto non solo la fama e il prestigio ma ogni suo vigore.
Non vedemmo il Cialdini due anni addietro abbisognare di sessantamila soldati e d’infinita artiglieria per conquidere poche migliaia di quei nostri mercenarj, e bria­chi stranieri, com’egli chiamavali? Non vediamo da oltre due anni che quest’armata non giunge a distruggere il così detto brigantaggio malgrado gl’iocendj di più paesi, malgrado le migliaia d’incarcerati o di fucilati senza processo,malgrado l’oro sparso e lo spionaggio introdotto,e malgrado il furore delle leggi proconsolari?
Stando al ra pporto sul brigantaggio cheLamarmora testè rimise al Rattazzi, e questi comunicò alle Camere affinchè lo esaminassero, novanta mila uomini di truppa di linea sono impiegati a peresguitare i briganti, che da ciò ognun crederebbe dovessero essere per lo meno altrettanti. Invece questi stando al suddetto rapporto officiale non sono che soli 570 divisi in quattro bande, quella di Tristany di circa un centinaio d’uomini, di Caruso con 200 uomini quasi tutti a cavallo, di Donatello con meno di 200 uomini, della terra d’Otranto di circa 70 uomini. La forza pertanto che i piemontesi oppongono ai briganti è centosettantasei volta maggiore di essi. Dunque o l’armata piemontese è assolutamente inetta, o i briganti, chiamati vilissimi, valgono più assai che i trenta alle Termopili. Ogni brigante ha contro di se 176 piemontesi!!
Vero è che il numero dei briganti è in fatto molto maggiore di quello confessato dal Lamarmora. Ma è altresi vero che, senza tener conto della truppa destinata alle moltissime guarnigioni e della guardia nazionale, debbonsi agiungere a quei novanta mila uomini di linea attivamente impiegali nella persccuzione del brigantaggio, molte migliaia di guardia nazionale mobilizzata, di gendarmi a piedi e a cavallo, e di guardie di pubblica sicurezza. Laonde si viene sempre alla stessa conchiusione, e non potendosi ammettere un valore sovraumano nei briganti rimane una verità dimostrata, che l’ armata piemontese o per insufficienza dei suoi capi, o per mala volontà dei soldati non ad atro vale che ad incendiar paese, e a fucilare individui pretesi briganti o sospetti di connivenza con loro.

Ma questa verità, di cui niuno può più dubitare, non è precisamente quella che nella intestazione dell’articolo dicemmo esser venuta a galla. Intendiamo parlare delle cause che producono ed alimentano la insurrezione chiamata brigantaggio dai piemontisti.
La camorra, le mene borboniche e clericali, l’ignoranza delle classi basse, la negligenza delle autorità municipali sarebbero, stando al rapporto del Lamarmora, le cause principali del Brigantaggio Napoletano. Ma la commissione, che per conto delle Camere ba esaminato il rapporto stesso, lungi dal convenirne, crede invece che cagione permanente della reazione sia la niuna fede dei regnicoli nell’ordine presente di cose; ch’è quanto dire esser prodotto il brigantaggio dalla decisa avversione del popolo Napoletano al liberalissimo governo del re galantuomo, e della sua intolleranza verso la fazione signoreggiante in Italia.
Dunque dopo le tante cose dette e scritte sul denaro di S.Pietro che alimentava la reazione, su i borbonici che la facevan sorgere, su i clericali che vi soffian entro, la verità finalmenle è venuta a galla nelle Camere stesse per bocca della commissione deputata, ed è rimasto constatato essere la niuna fede dei popoli verso il nuovo reggimento la causa principale della insurrezione.
Conosciuta pertanto la verità sulla cagione del male sarebbe facile trovarvi il rimedio; ma pure non ha voluto indicarlo la commissione suddetta, la quale non altro ha proposto che l’allontanamento di Francesco II da Roma, come se stesse in potere delle Camere l’ottenerlo. E poi allontanato il Re legittimo da Roma, per questo i regnicoli si renderanno docili al galantuomo e avranno fede in lui?
Ignoriamo quanto su questo proposito è stato risoluto in parlamento,giacchè ne han discusso in segreto affinchè l’Europa non conoscesse altre verità,ed altre vergogne. Ma già s’annunzia che altri ventimila soldati verranno aggiunti ai novanta mila, i quali formando con la guardia Nazionale un mezzo milione di bajonette faranno
conteporaneamente uno sforzo gigantesco per annientare 370 reazionarj a piedi, e 200 a cavallo. E così un’altra verità apparirà sempre più manifesta, e cioè che il Re galantuomo regna in Napoli in grazia delle bajonette e dei çannoni, non per volontà del popolo Napoletano.
Ma il rimedio al male di cui trattiamo l’aveva già indicato Massimo d’Azeglio in quella sua lettera confidenziale che il Senatore Matteucci lasciò stampare mesi addie­ tro, ed era l’abbandonare i Napoletani a loro stessi. Oggi che anche la commissione della Camera ha riconosciuto che i Napoletani non hanno fede nel Piemonte, sarebbe un dovere per esso il ritirarsi da quel paese affinchè provveda a sè stesso, come meglio crederà. Ma i piemontisti piuttostochè far questo metteranno a ferro e fuoco tutto il regno di Napoli, e purchè vi regnino supereranno in crudeltà, gli Attila, e i Tamerlani.