Le due facce della Seconda guerra mondiale attraverso gli occhi di italiani e americani
Fino al 10 gennaio a Palazzo Braschi, Roma, la mostra «War is over!», 140 scatti selezionati che raccontano il conflitto bellico e il dopoguerra attraverso le foto (a colori) dei soldati Usa e (in bianco e nero) dei nostri. Due modi opposti di sentire la Storia
Massimo M. Veronese –
Sono gli ultimi giorni, finirà il 10 gennaio, e perderla sarebbe un reato. La mostra si chiama «War is over! L’Italia della Liberazione nelle immagini dei U.S.
Signal Corps e dell’Istituto Luce, 1943-1946». Museo di Roma – palazzo Braschi. Due visioni dell’Italia, della guerra, del primo dopoguerra, attraverso le fotografie scattate dagli americani liberatori e dagli italiani perduti nel futuro che verrà, 140 immagini selezionate una più emozionante dell’altra. Due facce della stessa medaglia ma mai così diverse, figlie di due stati d’animo oltre che di due tecnologie, gli italiani in bianco e nero, ma cupi, malinconici, spaventati, rassegnati, gli americani a colori, e non solo perché potevano permettersi il photocolor, la forza invincibile di chi sa di essere il più forte, la speranza nel futuro, la fine della guerra, che si avvicinano, che aprono al mondo nuovo. L’iniziativa porta la firma di Gabriele D’Autilia e Enrico Menduni, che già aveva curato uno strepitoso docufilm su Guido Notari, la voce dell’Istituto Luce e della Settimana Incom, il microfono della propaganda mussoliniana e dell’Italia che rinasce. È da lì che arriva parte del materiale, dall’Istituto Luce, il resto è produzione dei Signal Corps, i corpi militare addetti alla comunicazione, cinegiornali e Combat film compresi. Sono immagini bellissime, ma anche dure, che trovano tenerezze improvvise dove non ti aspetti e rivelazioni dove non ti immagini. Nei corpi c’è la Storia: quello del soldato americano che posa fiero con le cartuccere e il vessillo dell’Artiglieria, la guerra che si fa quasi manifesto cinematografico, e quella invece del soldato italiano che beve inginocchiato l’acqua torbida del fiume durante la campagna di Grecia; re Giorgio tra i suoi soldati in perfetta uniforme da campo, il Duce avvilito che sembra l’ombra di se stesso, e per questo censurato dalla propaganda; Papa Pio XII, algido, quasi lunare che si incarna nel suo popolo, che diventa l’uomo dei sogni tra genti allo sbando.
È poco per dire quanto la mostra ti trascini in un’epoca che sembra antica ed è invece forse molto più vicina di quanto sembri, di quanto avvicini, attraverso un semplice scatto, ai protagonisti della Storia, compresi quelli uguali a noi, quelli minori, ma capaci di grandezze sconosciute. C’è la libertà dello scatto americano che non ha confini perché libera tutti, mentre l’Istituto Luce, quando la guerra prende la discesa, emigra a Nord, in ritirata verso Salò, dove però il padrone è tedesco non più italiano, dove è la propaganda nazi a comandare: il Duce, ancora, preso di spalle, mentre visita un soldato ferito, chino su un letto d’ospedale, non si sa chi dei due sia più spaventato. La fine che non si deve vedere. Non più fotografie che sembrano dipinti, ma dipinti che sembrano fotografie, come quello delle tre donne che pregano in un sussurro, vestite di nero, l’interno di una chiesa sventrato dalle bombe, anche questa cancellata dalla censura di regime. Gli americani scrutano negli occhi, nei gesti, nei visi dell’umanità che hanno intorno, gli sfollati che si imbarcano ad Anzio e i civili che sul Lago di Garda si godono una gara di motonautica, perché è la guerra in dirittura di arrivo e il futuro ha fretta di arrivare. Dieci le sezioni tematiche della rassegna, che, come si diceva, resta aperta fino al 10 gennaio e che propone filmati d’epoca oltre alle fotografie e video che raccontano i grandi registi di Hollywood che si sono cimentati con la guerra delle guerre. Tra le sezioni “Amore in guerra”, il sentimento che vince anche dove l’umanità perde, i primi baci, i ragazzi che restano ragazzi anche nella tragedia; “Resa dei conti” dove i protagonisti sono i processi, gli interrogatori, la giustizia, la vendetta forse; “Vincitori e vinti”, la morale della favola, il mondo che non sarà più lo stesso, la Conferenza di Potsdam dove le potenze vincenti ridisegnano i confini del pianeta e Mussolini, di nuovo, stanco, finito, forse consapevole del destino che lo aspetta. Una mostra che riempie gli occhi e il cuore e che va imparata a memoria come una lezione. Perché come diceva Clemenceau: «Non so se la guerra è un interludio durante la pace o la pace un interludio durante la guerra».