RICERCA EFFETTUATA SU “GOOGLE LIBRI” DAL LIBRO “LA STRAGE DI NAPOLI DEL 15 MAGGIO 1848” Niccolò Di Carlo -firenze 1862
Da pag.3 a 7
AGL’ITALIANI.
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Italiani eccovi un brano di un novello lavoro poetico, che in breve io potrò tutto pubblicare. Gli splendidi fatti del poderoso muovimento politico, che dopo quattordici anni di sacrifici già cominciano a rinnovare i destini della nostra gloriosa nazione, hanno offerto il bello e maschio argomento alla mia Italia.
Ormai ve ne presento un brano, e attendo il vostro giudizio: ex ungue columbam, ex ungue leonem.
Innanzi ad un popolo gigante, attore o testimone delle opere gagliarde a cui accenno, innanzi ad un Re, e ad un esercito generoso, che con perseveranza uguale al valore hanno affrontato le dure prove della gran guerra dell’indipendenza e dell’unità nazionale, partecipi voi stessi de’secolari martirii d’Italia, e degli slanci della magnanima impresa, accogliete e giudicate un lavoro, onde io ho tentato rappresentare tanta mole, e si gran varietà di sventure e di glorie. Giudicatelo, o Italiani, e aiutatemi de’vostri consigli, e delle osservazioni del vostro senno.
Il brano, che io pubblico, riguarda la strage di Napoli del 15 Maggio 1848, quell’avvenimento d’atrocità favolosa, onde il Borbone, rivaleggiando con Tiberio e Caligola, superava l’avo e’l padre, e faceva palese alla civile Europa l’indole snaturata dell’animo suo, e di quel perverso governo; che giustamente poi fu chiamato «la negazione di Dio.» Fra le varie parti dell’immensa tela avrei potuto scegliere il 12 Gennaio di Palermo, le cinque Giornate di Milano, l’entrata di Carlo Alberto in Lombardia, o altrettali scene, che possono isolatamente contemplarsi. Nondimeno io deliberatamente ho prescelto il 15 Maggio di Napoli, sperando che l’acerbe memorie di quei tragici casi facciano rinsavire i pochi ostinati, che ancora rimpiangono un sistema, già svanito, di corruzione e di perfidie, e contribuiscano a conciliare tutti gli animi col sospirato rinnovamento d’Italia.
Però taluno di quelli, che io bramo giudici del mio lavoro, non creda di dover leggere un’Epopea eroica, o feudale. No per fermo. Qui non eroi di vecchio stampo, simboli di forza materiale, non moltitudini senza nome, strumenti delle altrui ambizioni: qui non imprese accumulate in una, o in poche splendide individualità, non finzioni a scapito de’fatti storici, o episodi acconci a solleticare con artificiale diletto animi voti di ogni nobile sentimento. Al contrario io v’offro, o Italiani, una Cantica altamente popolare e nazionale, come nazionali e popolari sono il robusto muovimento scoppiato nel 1848, e i martirii e i disegni onde è pre ceduto, e gli ardimenti che l’incarnano, e le passioni che variamente lo spingono e gli ostacoli improvvisi fra’quali è intricato dall’Uomo stesso che santamente pur testè lo augurava, e il senno e gli sforzi magnanimi, onde è ravviato, e lo scopo grandioso a cui ormai non può fallire. Qui la gran lotta de’principii combattuta sotto gli occhi nostri da popoli gagliardi nelle città e su le barricate, o da eserciti e da Re cittadini, e da bande popolane fra gli stenti del campo , e fra le gioie severe dei forti. Io in somma ho accolto in un quadro poetico le speranze e gli ardimenti, i sacrifici e le glorie di venticinque milioni d’uomini nobilmente concordi nel dar vita nazionale a quella patria, che’l tiranno de’tiranni di Europa con motto beffardo chiamava espressione geografica, e che un parola moderno, eternamente bambino, con peggiore insulto appellava la terra dei morti.
Tal’è’l poetico lavoro, tale il brano che per saggio del resto oggi io presento al giudizio degl’Italiani. Ma fra le attuali agitazioni politiche, e sotto l’impero delle predominanti opinioni letterarie, il mio lavoro parrà fenomeno strano e fuor di tempo, o bello ed opportuno ? Ad altri la gran sentenza; ed io non negando a chicchessia il piacere di muover quistioni su la cosa, su la forma, su l’opportunità, su l’azione, su gli attori, sul titolo stesso, dirò che una forza misteriosa, a cui lungo tempo, ma invano, tentai contrastare, irresistibilmente m’ha strascinato a scriver l’Italia.
Dirò che sotto l’ occhio troppo vigile di una tirannide brutale io ho cresciuto il mio volume fra le ombre del mistero e con le affettuose cure, onde un tenero padre clandestinamente educa un figlio d’amore. A sviare gli altrui sospetti colà, dove la violazione del domestico santuario era vezzo giornaliero di un governo ombroso e codardo, son vissuto solitario, spesso inaccessibile agli stessi amici, mostrandomi alieno da tutto ciò che potesse minimamente palesare l’obbietto di mie fatiche; ho schivato qualunque altra occupazione , ho sprezzato agi e disagi, e rodendomi l’anima, ho spesso abitato lunghi mesi dove altri avrebbe sentito i dolori dell’esilio, mi sono privato dei più comuni piaceri , perchè trovassi il tempo, in verità non sempre adeguato al bisogno, d’incarnare il mio tenace desiderio.
Nondimeno durante l’ orribile decennio, fra gli spettacoli d’una patria straziata, la mia Italia mi ha dato con le molte e pericolose occupazioni le gioie de’più soavi conforti. Per essa ho sentito sempre più gagliardo svolgersi nell’animo mio l’amor del pubblico bene e l’aborrimento della mala signoria; per essa non disperando mai del rinnovamento nazionale, più fortemente ho vagheggiato i destini d’Italia;e sottrattomi alle attuali miserie,son vissuto nelle dolcezze di maschie reminiscenze, in un teatro ideale fra le scene di un magnifico dramma, ch’ancor dura, e fra gl’intensi desiderii d’un avvenire, che ormai più non è malauguroso, nè incerto. E se l’interna mia vita è stata continuamente un arcano sacrificio, io ben lo dichiaro, io fra le care agitazioni del mio cuore sono stato il primo a goderne in me stesso le più squisite e gentili influenze.
Intanto ognuno battezzi a suo senno il mio lavoro, e la forma di esso. Io nel delineare in un quadro tante vicende, ho seguito l’impressione che in me destavano i medesimi fatti, e usava quelle forme, in cui spontaneamente fluivano i miei pensieri. E nel vero io scrivendo a sfogare l’interno martirio, che sentiva fortissimo tra le crescenti ebbrezze dei fortunati oppressori d’Italia, tratto da un fiero istinto ch’agitavami cupamente, io non badava a forme, io non pensava a convenienze di uso , io non ricordava canoni di fredda critica, nè quelle convenzionali pastoie, a cui tanto è legato chi scrive fra gli ozi pacifici a dilettare l’altrui immaginazione.
Però l’Italia abbiasi nella mia Cantica il dono di un figlio, che l’amò di purissimo e virile affetto, quando e dove era delitto prestarle un culto: i martiri d’Italia, e tutti i cooperatori al nazionale risorgimento, abbiansi un tenue guiderdone a’lor casi infelici, alle eroiche loro fatiche: abbiansi un pegno di quello amore fraterno che ormai non più mancherà di legare lutti i figli d’Italia: abbiansi ancora una prova limpida e veritiera, che sotto la stessa tirannide non tutti piegavansi ad imbestiarsi, o a vegetare.
Italiani! se io prevenendo il tempo, ho tocco idee che meglio avrei potuto premettere alla pubblicazione dell’intero lavoro, accoglietele pure anticipatamente; e ciò vi sia prova della conscienziosa fiducia onde m’appresento a’miei giudici.
Del resto eccovi il brano dell’opera accennata, che in breve potrò tutta offerirvi. Io non desidero elogi, ma consigli e avvisi che giovino all’opera stessa.
Eccovi anzi tutto in piccolo prospetto i capi degli argomenti del primo volume, già da parecchi mesi pronto alla stampa, quali sono nell’attuale stato del mio lavoro.
CANTI 36
CANTO 1°. La notte, che precede al 12 Gennaio 1848. I lamenti, e le apparizioni nel Camposanto di Palermo.
CANTO 2°. Fatti anteriori al 1848. Rimproveri e sdegni. Il voto e la vittima.
CANTO 3°. Le rivelazioni sul prossimo avvenire d’Italia e di Europa. Le Ombre auguratrici.
CANTO 4°. Scene tragiche, e ricordanze d’idee popolari nel Camposanto di Palermo .
CANTO 5°. Le truppe Borboniche, e i liberali in Palermo.
CANTO 6°. Il 12 Gennaio 1848 in Palermo. Le bande, il bombardamento e il Comitato.
CANTO 7°. La Fanciulla, o l’ideale d’ Italia.
CANTO 8°. I Masnadieri di Sicilia e il Bombardatore di Reggio in Palermo. ‘
CANTO 9°. Gli Stati d’Europa nel principio del 1848.
CANTO 10°.Disfatta, scompiglio e fuga delle truppe Borboniche da Palermo. •
CANTO 11°.Marcia disastrosa di Desouget intorno a Palermo. Gli Spettri e la vendetta.
CONTINUA DA CANTO 12° A 36°
Gl’Italiani, che volessero onorarni delle loro osservazioni, potrebbono spedirmele per posta in Livorno, o in Palermo , onde sollecitamente mi si invieranno, ovunque io possa ritrovarmi. Per quanto sta in me, vorrei cominciare la stampa del primo volume nel prossimo autunno.
Firenze15 giugno 1862
NICCOLO’ DI CARLO
Ricerca a cura del Prof. Renato Rinaldi