Trovata la proteina con tre dita che spegne il sistema immunitario nel cancro al colon retto, ora si cercano le pinze per agganciarla
Presso il Dipartimento di Scienze e tecnologie dell’Università degli studi del Sannio parte la sperimentazione di farmaci per l’immunoterapia nel cancro al colon retto.
Ne abbiamo parlato con Massimo Pancione biologo e docente di Biologia molecolare dell’Università degli studi del Sannio. Dal 2014 il ricercatore conduce studi sui meccanismi che disattivano il sistema immunitario nel CRC (cancro del colon retto). Nel 2019 il gruppo di ricerca guidato dall’ oncologo beneventano Guido Giordano, oggi ricercatore presso l’Università di Foggia, ha scoperto che le cellule tumorali del cancro al colon producono la proteina LY6G6D, un antigene linfocitario di tipo 6, che con le sue “tre dita” agisce come tossina del sistema immunitario tenendo i linfociti lontani dalla cellula tumorale.
Da sx Guido Giordano e Massimo Pancione nel laboratorio di oncologia molecolare e trasduzione del segnale diretto da
Massimo Pancione (ⓒ Unisannio)
Massimo Pancione ci fa il punto della situazione: “il cancro al colon retto è la terza neoplasia più diffusa nel mondo, dopo il cancro al seno e il tumore ai polmoni. In Italia le stime più recenti parlano di oltre 43.700 nuovi casi all’anno: circa 20.282 nelle donne e 23.420 negli uomini. Tuttavia negli ultimi 10 anni, grazie alla prevenzione agli screening e trattamenti sempre più efficaci, la mortalità è in diminuzione.”
Abbiamo chiesto al biologo in cosa consiste l’immunoterapia per il cancro
“Il sistema immunitario è il sistema di difesa naturale del nostro organismo, in una persona malata di cancro, molto spesso, si comporta come se fosse bloccato e non riesce ad eliminare le cellule malate. Attualmente l’immunoterapia impiegata nella pratica clinica, si basa sull’utilizzo di anticorpi monoclonali che agiscono sul sistema immunitario dell’organismo disinnescando l’inibizione e aumentando la capacità dei linfociti T di attaccare le cellule tumorali. Questa idea ha valso il Nobel per la medicina ad Allison e Honio nel 2018 e da allora, in diverse neoplasie laddove sussistono le condizioni necessarie, gli oncologi possono utilizzare l’immunoterapia per la cura dei pazienti.
Qual è la differenza tra immunoterapia e chemioterapia?
“L’immunoterapia è selettiva agisce su bersagli specifici del tumore e del sistema immunitario, la chemioterapia è aspecifica danneggiando anche le cellule non tumorali. Prima di introdurre questi nuovi farmaci detti ‘intelligenti’, si impiegavano schemi di chemioterapia, spesso simili anche in tumori diversi. Oggi, nell’ era della ‘Medicina di precisione’, con le nuove terapie target si possono confezionare trattamenti personalizzati, in relazione alle specifiche caratteristiche del tumore, anche in pazienti con la stessa neoplasia. Ovviamente il tumore va analizzato prima di decidere la terapia e, nel caso dell’immunoterapia, se esprime marker immunitari specifici, si somministra il farmaco – poi precisa – Un segno distintivo fondamentale del cancro è l’instabilità genomica, che insorge a causa di difetti nella riparazione del DNA e l’accumulo di mutazioni favorisce la progressione del cancro. Purtroppo data la grande varietà di meccanismi di evasione immunitaria da parte dei tumori, è attualmente difficile predire se un singolo paziente sarà sicuramente responsivo all’immunoterapia.”
Che cosa è la proteina che avete individuato nel 2019 e come agisce?
“Si chiama LY6G6D ed è una piccola proteina formata da 133 aminoacidi ancorata alla superficie della membrana cellulare del tumore – spiega Pancione – mentre i colon sani non producono tale proteina il suo livello aumenta fino a 10 volte nelle cellule tumorali del colon e sale ulteriormente nei cancri metastatici.
All’interno del tumore, i linfociti del sistema immunitario che dovrebbero riconoscere la cellula malata sono bloccati, però inibendo questa proteina si può riportare il sistema immunitario allo stato di partenza.
Nel 2019 abbiamo identificato la proteina in laboratorio sia nei tumori dei pazienti che sulle cellule in vitro. Mentre noi studiavamo la proteina due aziende farmaceutiche a giugno 2022 hanno prodotto nuovi farmaci che facilitano la risposta immunitaria contro il tumore legando due bersagli, LY6G6D ed il recettore delle cellule T. Gli studi preclinici condotti su animali hanno riportato risultati molto soddisfacenti – poi aggiunge – da ottobre 2022 stiamo collaborando proprio con la Genentech, società di biotecnologie, acquisita dall’ azienda farmaceutica Roche che ha messo a punto e sperimentato questi farmaci.”
In pratica l’espressione di questa proteina, da una parte permette l’identificazione del cancro e dall’altra ci fornisce preziose informazioni sulla capacità del tumore di sfuggire ai nostri sistemi difesa. I nuovi farmaci favorendo l’incontro tra la cellula tumorale ed il sistema immune sarebbero in grado di riattivare una risposta immunitaria in modo selettivo contro le cellule malate.
Il meccanismo della terapia è ben descritto nello studio attualmente in revisione, intitolato MHC class III lymphocyte (Ly6) tumor specific antigens:unlocking immunotherapy in proficient mismatch repair colorectal cancer, scritto su invito da Pancione e Giordano per la rivista WIREs Mechanisms of Disease. Si tratta di una sintesi di tutta la ricerca portata avanti finora e descrive anche lo studio di Agosto 2022 pubblicato su Cancer Cell International (Springer Nature).
Cerchiamo di capire ora come funziona questo meccanismo tenendo anche presente la figura che segue, che sintetizza i lavori finora pubblicati su questo tema. I linfociti T possiedono un recettore (TCR) responsabile del riconoscimento degli antigeni presentati da un gruppo di geni detto ‘complesso maggiore di istocompatibilità’. Da quando la LY6G6D è stata scoperta essere un antigene specifico, si è sviluppata una immunoterapia basata su anticorpi detti TcE (T-cell engagers), la cui efficacia è già consolidata nelle malattie ematologiche.
Fig.2 – il farmaco (anticorpo TcE) si lega alla proteina LY6G6D e facilita l’incontro tra le cellule immunitarie (Cellule T) e le cellule tumorali attivando il sistema immunitario, l’anticorpo ha due braccia uno si lega alla cellula immunitaria e l’attiva e l’altro braccio lega l’antigene ai linfociti.
Per il trattamento del cancro al colon-retto, sono stati recentemente sviluppati due anticorpi dotati di due “pinze”, una che lega la proteina a “tre dita” (LY6G6D) e l’altra che “afferra” il co-recettore delle cellule T che funge da mediatore. Solo quando entrambi sono agganciati, si induce l’attivazione delle cellule T che finalmente possono entrare in comunicazione con le cellule tumorali. A questo punto le cellule T proliferano e rilasciano citochine immunitarie che portano alla morte delle cellule tumorali.
Abbiamo chiesto a Pancione quanto contano le collaborazioni nel suo campo di ricerca
Ci ha risposto così: “Gran parte di questi lavori non potevano essere condotti senza il contributo di patologi, oncologi e bioinformatici, la multidisciplinarietà è stata la chiave di volta della nostra ricerca. Collaboriamo con l’università di Madrid, l’università di Foggia, l’ospedale San Filippo Neri di Roma, la Casa sollievo della sofferenza di San Giovanni Rotondo. Abbiamo collaborato con il Fatebenefratelli di Benevento quando Guido Giordano, nostro principale co-investigator lavorava lì come oncologo. Inoltre abbiamo sempre avuto il supporto di Luigi Cerulo professore di Bioinformatica presso l’Università degli studi del Sannio.”
Ci dica perché lo screening è importante e con che frequenza dovrebbe essere fatto
“La malattia da CRC è abbastanza rara prima dei 40 anni, è maggiormente diffusa in persone fra i 60 e 75 anni, con poche distinzioni tra uomini e donne, a questa età critica lo screening andrebbe fatto due volte l’anno. Non bisogna dimenticare che in Italia è attivo un programma di screening nazionale dedicato alla diagnosi precoce del tumore del colon-retto, basato sulla ricerca del sangue occulto nelle feci, con cadenza annuale. Questo tipo di programma permette di tenere sotto controllo la salute del colon-retto e aumenta in modo esponenziale le possibilità di arrivare ad una diagnosi precoce del tumore, migliorando di conseguenza anche le possibilità di cura. Di tutti i tumori al colon-retto solo il 5% è ereditario e quelli che hanno una forte componente genetica si sviluppano molto presto, la restante parte il 95% sono sporadici, perciò l’adesione a questi programmi va sempre affiancata ad uno stile di vita sano: l’età il fumo e l’alimentazione a base di grassi animali, carne rossa e zuccheri sono i fattori di rischio del cancro al colon-retto.”
Abbiamo una certa resistenza ad informarci riguardo al cancro forse perché vogliamo scacciare la paura di ammalarci, lei pensa che tutti noi dovremmo vincere questa ritrosia ed informarci di più?
“Assolutamente si quello che dovremmo sapere è che le cellule dei nostri tessuti ogni giorno si dividono e muoiono per il bene della comunità. Le cellule animali sono straordinariamente programmate per funzionare in modo cooperativo, il suicidio di una cellula serve a mantenere il controllo di tutte. Perciò dovremmo prendere esempio dalle nostre cellule in modo che la malattia di alcuni possa essere di aiuto agli altri.”
Secondo lei i giornali generalisti dovrebbero dedicare più spazio alla ricerca sul cancro?
“Certamente si, perché è un problema medico di primaria rilevanza e riguarda la salute di tutta l’umanità. Molti non sanno che le neoplasie sono una patologia dell’età, aumenta dopo i 40 anni e se l’invecchiamento è legato allo sviluppo dei tumori noi vedremo un boom con l’avanzare dell’età della popolazione – e conclude – ad oggi i tumori metastatici si curano ma la guarigione completa non è ancora raggiungibile, se non in rari e selezionati casi, e resta una grande sfida per l’umanità.”
Bruna Varrone (Giornalista scientifico)