ANZIANO FRAGILE
L’anziano fragile è una persona che vive una particolare fascia di età, conservando integralmente quel valore che dovrebbe contraddistinguere tutta la vita umana, a prescindere dall’età anagrafica.
L’anziano è in maggior misura, rispetto ad altri, suscettibile alle malattie, a causa della sua ridotta capacità di mantenere l’equilibrio fisiologico e per il deterioramento dei suoi meccanismi immunologici.
Le malattie negli anziani possono presentarsi in forma atipica, con assenza o riduzione dei segni clinici classici e, talvolta, con la sovrapposizione di diverse situazioni patologiche.
Infatti, la riduzione della resistenza allo stress può essere ulteriormente ridotta dal sopravvenire di patologie secondarie.
Nell’anziano è necessario tenere sotto controllo gli aspetti di carattere patologico unitamente a quelli legati alla salute mentale.
Gli aspetti patologici riguardano principalmente:
Malattie dell’apparato cardiovascolare
Malattie dell’apparato gastrointestinale
Altre patologie
Tra queste ricordiamo:
Diabete
Neoplasie
Demenza senile
Arteriosclerosi
Le particolarità cliniche nel paziente geriatrico sono riassumibili nei seguenti punti:
PLURIPATOLOGIA
QUADRO CLINICO
COMPLICANZE
PATOLOGIA IATROGENICA ( patologia dovuta a assunzione di farmaci )
PERDITA DELL’AUTOSUFFICIENZA
MESCOLANZA TRA PROBLEMI MEDICI, PSICOLOGICI E SOCIALI
La tendenza all’invalidità permanente e la perdita dell’autosufficienza scaturiscono dal tipo di patologia cronica e degenerativa che colpisce l’anziano e dall’importanza degli organi che ne sono colpiti.
A ciò si deve aggiungere l’insufficienza e l’inadeguatezza delle strutture, la scarsa preparazione del personale, la mancanza di strutture riabilitative, un errato approccio psicologico.
Va tenuto presente che i rapporti tra ambiente, condizione familiare e socio-economica, psiche, turbe mentali e comportamentali sono così stretti che una ridotta stimolazione ambientale può favorire in un soggetto anziano l’insorgenza di un circolo vizioso, che attraverso una riduzione del metabolismo dei neuroni cerebrali determina la comparsa di un’insufficienza cerebrale e, come risultato finale, conduce all’isolamento e all’emarginazione definitiva dell’anziano.
La terapia farmacologica è essenziale, quando ci si prende cura di pazienti anziani, ma chiaramente è una spada a doppio filo. I pazienti anziani sono ad alto rischio di avere interazioni farmacologiche, ma la prevalenza di queste interazioni non è ben documentata.
Esistono diversi tipi di interazioni: farmaco-farmaco, farmaco-malattia, farmaco-cibo, farmaco-alcool, farmaco-prodotti a base di erbe e farmaco-stato nutrizionale.
La prescrizione per gli anziani, per i quali i farmaci sono in ampio numero, è spesso un territorio inesplorato: il medico deve aspettarsi l’inatteso e pensare l’impensabile nel paziente anziano, quando si va a confrontare con la poli terapia e con le sue potenziali conseguenze.
Con l’avanzare degli anni e il sommarsi delle malattie, l’anziano rischia di accumulare farmaci strato su strato, “come la barriera corallina accumula strato su strato il corallo”.
Per l’insorgenza concomitante di più cronicità, gli anziani hanno spesso bisogno di assumere un numero elevato di farmaci: più del 40% assume settimanalmente cinque o più farmaci differenti, inclusi quelli da banco, e il 12% ne assume almeno dieci.
Essendo contestuale la fragilità, gli anziani possono maggiormente risentire degli effetti indesiderati e della tossicità della politerapia.
L’antica norma ippocratica “primum non nocere” ha particolare valore nella cura dell’adulto anziano e in particolare dell’adulto anziano fragile.
Il consiglio per ogni medico, pertanto, è quello di “pensare tre volte” prima di formulare una prescrizione farmacologica per l’anziano.
Nelle società del passato la figura dell’anziano era vista in modo ambivalente: con rispetto e/o tolleranza. Nonostante la perdita della forza fisica con l’aumentare dell’età, l’anziano possedeva l’esperienza, il sapere, la conoscenza:
cose estremamente importanti in una società in cui la trasmissione del sapere avveniva oralmente; l’intolleranza nei suoi confronti maturava quando la malattia comprometteva le sue possibilità poiché egli diveniva una bocca in più
da sfamare all’interno di una comunità in cui la sopravvivenza non era facile.
L’anziano, nonostante venisse emarginato rispetto alle decisioni importanti, rimaneva all’interno della sua famiglia fino al momento della morte.
Se un tempo le persone che arrivavano ad una tarda età erano poche o addirittura pochissime, oggi viviamo in un mondo dove le persone anziane sono sempre più numerose, ma hanno perso l’aspetto del “vecchio autorevole, saggio e forte”.
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Il graduale e progressivo decadimento delle funzioni cognitive e delle abilità funzionali causato dalla demenza compromette l’autonomia della persona anziana, che necessita di un’assistenza sempre più assidua e continuativa.
L’assistenza alla persona con disabilità cognitiva acquisita è garantita quindi, soprattutto, dalla famiglia di appartenenza, che, solitamente, si assume l’onere di svolgere tale compito per molti anni: fino al momento della morte del proprio congiunto.
Spesso, per mancanza di adeguati sistemi di supporto sia di natura sociale sia sanitaria, la famiglia rappresenta il soggetto unico nella cura, nella gestione, nel sostegno e nella tutela dell’anziano; in questa situazione di solitudine il carico assistenziale può divenire estremamente gravoso e occupare i familiari a tempo pieno.
La famiglia rappresenta in ogni circostanza una potenzialità per fornire cure adeguate.
Si può ben immaginare la grande differenza, principalmente dal puto di vista psicologico, che esiste tra una assistenza fornita da una badante e/o da un infermiere e quella fornita da un familiare.
Sarebbe quindi importante offrire alla famiglia strumenti per dare un contributo sostanziale all’assistenza.
Dott.Carlo Rinaldi
Da InSalute periodico bimestrale