L’olio
Da un punto di vista calorico gli oli sono tutti equivalenti, con la corrispondenza di 9 kcal per grammo. Il burro invece ha un apporto calorico leggermente inferiore (7,6 kcal circa per grammo).
Non tutti gli oli di semi sono nutrizionalmente positivi; per esempio l’olio di colza contiene l’acido erucico che si è dimostrato nocivo sugli animali (la sua percentuale non può superare il 5% negli oli di semi vari).
Per scegliere l’olio migliore è necessario considerare:
1 le proprietà salutistiche
2 la degradazione degli oli
3 il punto di fumo
4 i processi di raffinazione.
Riassumendo, in base alle conoscenze attuali sui punti precedenti:
a Un olio è tanto migliore quanto più alta è la sua quantità di acidi grassi monoinsaturi, poiché i polinsaturi sono instabili e i saturi provocano un aumento della colesterolemia.
b Gli oli raffinati o si degradano molto più rapidamente di quelli non raffinati o contengono antiossidanti (fra l’altro non specificati e ignoti al consumatore) sospetti come il BHT e il BHA( Il butilidrossianisolo (BHA) e il butilidrossitoluolo (BHT) sono conservanti sintetici, banditi in molti paesi, in quanto possono causare irritazioni agli occhi, alla pelle e alle mucose, ritenzione idrica, degradazione della vitamina D e aumento dei livelli plasmatici di colesterolo.).
c Gli oli raffinati contengono quantità molto limitate di antiossidanti.
d Il punto di fumo di oli non raffinati è generalmente basso se si eccettua l’olio d’oliva extravergine. Il punto di fumo di oli raffinati è in genere alto.
e Gli oli raffinati possono avere una quota di grassi trans non trascurabile.
f Gli oli con un alto contenuto di polinsaturi sono molto facilmente ossidabili (ossidazione enzimatica e ossidazione chimica).
Da questa breve carrellata si deduce che il miglior olio in assoluto da usare a freddo o per friggere è sicuramente l’olio extravergine d’oliva che:
1 ha un’alta percentuale di monoinsaturi
2 contiene antiossidanti naturali
3 ha un punto di fumo di 160-210 °C
4 non ha grassi trans
5 ha buona stabilità di conservazione.
La frittura – L’uso dell’olio in cucina è spesso legato alla necessità di friggere i cibi. In realtà sarebbe più corretto parlare di:
a frittura a immersione con l’alimento immerso nell’olio (per esempio una frittura di calamari)
b soffritto con l’alimento immerso parzialmente (per esempio nelle verdure).
Per le considerazioni sul punto di fumo appare ragionevole:
1) scaldare l’olio il minor tempo possibile (è una pessima abitudine lasciar friggere l’olio mentre si è impegnati altrove in cucina o soffriggere per esempio le verdure a lungo e più del dovuto).
2) Non riusare l’olio di frittura (cosa purtroppo comune negli esercizi pubblici, pensiamo alle classiche patatine fritte).
Nonostante queste indicazioni, nel caso di frittura a immersione la scelta dell’olio è difficile. Infatti un olio raffinato ha un alto punto di fumo, ma è sicuramente poco stabile all’ossidazione se è ricco di polinsaturi (l’acroleina si forma dal glicerolo, non dall’acido grasso che si è staccato dal glicerolo, quindi non bisogna confondere il problema dell’acroleina con quello dell’ossidazione). Si potrebbe usare olio di palma raffinato che ha punto di fumo alto (240 °C), pochi polinsaturi (10% circa), ma circa il 45-50% di saturi. Poiché in genere non si conoscono i dettagli della raffinazione non si hanno informazioni sulla quota di grassi trans e sugli antiossidanti aggiunti.
L’olio d’oliva extravergine ha un buon punto di fumo, ma non si può essere certi che sia superiore alle temperature usate: per esempio la temperatura di frittura potrebbe essere di 180 °C e il punto di fumo dell’olio extravergine usato essere di 160 °C.
Si è pertanto di fronte a una innegabile difficoltà salutistica:
a) se si usano alte temperature, si devono usare oli raffinati;
b) se si vogliono usare oli non raffinati occorre controllare le temperature
c) non ha pregio teorico il consiglio di limitare l’uso dei fritti. Friggere saltuariamente equivale al saggio consiglio di non friggere.
In base alle considerazioni precedenti una buona scelta può essere:
si usi prevalentemente olio extravergine d’oliva e per soffriggere solo olio d’oliva extravergine con controllo della temperatura. La frittura a immersione non è salutisticamente accettabile e deve essere limitata.
In base anche a considerazioni economiche, gli oli di semi specifici (girasole, arachide, mais ecc.) si possono usare per condire (arricchendo la propria dieta di acidi grassi polinsaturi) e il burro può essere usato in tutti quei piatti in cui non viene portato ad alte temperature.
Il punto di fumo
Se sottoponiamo un olio a un deciso innalzamento termico, per effetto della temperatura l’olio è prima idrolizzato in glicerolo e acidi grassi. La degradazione dell’olio avviene poi per trasformazione del glicerolo (con perdita di acqua) in acroleina (aldeide acrilica); tale fenomeno è visibile perché l’acroleina appare sotto forma di fumo che abbandona l’olio. La formazione di acroleina è tanto maggiore quanto più l’olio è ricco di acidi insaturi (più sensibili al calore) e determina il punto di fumo dell’olio in questione. L’acroleina è irritante per la mucosa gastrica e nociva per il fegato: la somministrazione di oli mantenuti al punto di fumo per due ore provoca un danno epatico facilmente riscontrabile.
Ciò che complica il discorso è che il punto di fumo può variare per piccoli dettagli. Per esempio il burro italiano che ha una notevole quantità d’acqua (è infatti meno calorico degli oli) ha un basso punto di fumo (130 °C) perché l’acqua facilita l’idrolisi degli acidi grassi che diventano così liberi. Il burro francese (che invece non contiene acqua) ha un punto di fumo molto più alto e quindi può essere usato per friggere. Nel caso si usi burro italiano si può chiarificare, eliminando l’acqua e innalzando il suo punto di fumo (che arriva fino a 200 °C e quindi può essere usato per friggere). Per chiarificarlo basta metterlo in un pentolino e farlo sciogliere a bagnomaria per circa 15 minuti, senza farlo bollire. Si formano degli agglomerati di materia bianca (in gran parte caseina) che vanno eliminati filtrando il tutto con un colino a trama fitta. Il burro raffreddato si conserva poi in frigorifero.
Da cosa dipende il punto di fumo – In base a quanto detto, è molto importante conoscere il punto di fumo dell’olio che si va ad usare. È un grave errore scegliere un olio a caso in base a sole considerazioni organolettiche. Purtroppo le informazioni che circolano sono spesso inquinate da interessi commerciali o da errori grossolani (come quelle che parlano di punto di fumo dell’olio di oliva di oltre 300 °C, forse per una banale confusione fra gradi Celsius e gradi Fahrenheit).
Il punto di fumo dipende dal contenuto di acidi grassi liberi. Per esempio con un contenuto dello 0,04% il punto di fumo è di 220 °C, mentre con un contenuto dell’1% è di 160 °C. Poiché la raffinazione (come si vede, anche ciò che è negativo ha dei punti a suo favore!) elimina una buona parte degli acidi grassi liberi,
gli oli non raffinati hanno punti di fumo decisamente più bassi.
Come cambia – Alcuni fattori possono cambiare nettamente il punto di fumo (PF).
La miscela di oli diversi
La presenza di batteri
La presenza di sale
La durata del riscaldamento (il PF si abbassa)
Il numero di volte che l’olio è usato (il PF si abbassa)
La conservazione dell’olio (ossigeno, luce, temperatura ecc.)
Dimensione e forma del recipiente di cottura (il PF si abbassa se la padella di frittura è ampia)
La presenza di acqua (come nel burro italiano; il PF si abbassa)
La presenza di mono e digliceridi (il PF si abbassa)
La presenza di acidi grassi liberi (il PF si abbassa)
Dott. Carlo Rinaldi
Da InsaluteNws 24/10/2015