Votare è moda
È tutta questione di… libertà.
Non sono ancora certo che ci facciano votare.
In rete troviamo questa frase di Mark Twain: “Se votare servisse a qualcosa, non ce lo farebbero fare”. E quindi, partiamo dal presupposto che probabilmente non cambierà nulla. In effetti, se andiamo a ben vedere, tutte le promesse in cui i cittadini italiani hanno in passato creduto e per cui hanno votato i loro rappresentanti, si sono realizzate solo in minima parte. E queste mie considerazioni, hanno una valenza antropologico-mentale, proprio perché le inserisco nell’ambito di un atteggiamento che sembra generalizzabile rispetto a coloro che assumono il potere.
Penso che in tutti i paesi di questo mondo, dove sia possibile eleggere i propri rappresentanti presso le istituzioni, si ripeta la nostra stessa esperienza italiana. Prima delle elezioni, tutti i candidati manifestano le loro intenzioni, le migliori ovviamente, promettendo di realizzare i desideri dei votanti, quando saranno al potere. Con una puntualità aberrante, coloro che riescono ad arrivare in parlamento disattendono tutte le promesse fatte precedentemente, dimostrando invece il peggio che la loro mente possa partorire.
Mi sono sempre chiesto il perché. E forse una spiegazione l’ho trovata, anche se si tratta solo di una ipotesi interpretativa e che spero in qualche modo di riuscire a verificare con una futura ricerca.
Qualsiasi forma di potere, e con questo termine mi riferisco alla relazione dominio-sottomissione, crea nella mente delle persone una situazione di megalomania comportamentale, con conseguenti atteggiamenti di totale allontanamento dalle proprie stesse origini umane.
Sarà forse il caso di pensare a una limitazione di questo potere? Oppure ad una sua diversa gestione mentale? E quali potrebbero essere le proposte più utili? Io avrei qualche idea, ma questa volta, con questo articolo, mi piacerebbe sollecitare le vostre opinioni in merito.
Attendo di leggere alcune vostre soluzioni, se ovviamente pensate che la mia ipotesi di partenza sia legittima.
Alessandro Bertirotti si è diplomato in pianoforte presso il Conservatorio Statale di Musica di Pescara e laureato in Pedagogia presso l’Università degli Studi di Firenze. È stato docente di Psicologia per il Design all’Università degli Studi di Genova, Scuola Politecnica, Dipartimento di Scienze per l’Architettura ed è attualmente Visiting Professor di Anthropology of Mind presso l’Universidad Externado de Colombia, a Bogotà; vice-segretario generale della CCLPW , per la Campagna Internazione per la Nuova Carta Mondiale dell’educazione (UNEDUCH), ONG presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite e il Parlamento Europeo, e presidente dell’International Philomates Association. È membro della Honorable Academia Mundial de Educación di Buenos Aires e membro del Comitato Scientifico di Idea Fondazione (IF) di Torino, che si occupa di Neuroscienze, arte e cognizione per lo sviluppo della persona. Ha fondato l’Antropologia della mente (www.bertirotti.info).
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