“Vogliono sanificare la libertà”
“Codici da dittatura governativa. Ora riprendiamoci la vita”. Veneziani conversa con Alberto Selvaggi per La Gazzetta del Mezzogiorno.
Devo dire che sono abbastanza sconcertato, gentile biscegliese Marcello Veneziani. Cioè, non riesco a comprendere come mai un uomo della sua intelligenza e della sua cultura non sia di sinistra, bensì di destra. Di centro passi.
«Cioè, tradotto, quale problema vorrebbe indicare?».
Qualunque atto o essere umano attenga alla destra viene aprioristicamente escluso dalle categorie di intelligente, perbene, e soprattutto culturale.
«Non mi sono mai fatto di questi problemi. Sto benissimo, anzi. Adesso mi trovo a Talamone, sul mare, in un bar. Sul golfo trascorro sempre fino a ottobre metà dell’anno. Lascio il mio appartamento trasteverino, più ampio del precedente a Campo dei fiori dal quale ho traslocato. Amo il mare. Ho sempre letto sul mare, studiato sotto il sole, e inseguo il sole anche d’inverno sul terrazzo».
Difatti la vedo su giornali e tv perennemente abbronzato quanto un negro sbarcato, e ribadisco il negro, per risparmiarmi un «diversamente bianco».
«Me ne faccio vanto: no lampada, no creme scurenti, soltanto collusione con i raggi. Adesso finalmente sono tornato nel buen retiro salato. Si è ammorbidita la dittatura sanitaria che la pandemia da coronavirus ha dato opportunità di comminarci. Credo che non si sia mai vista prima una tale restrizione delle libertà. E mi chiedo se le misure adottate abbiano davvero sortito risultati. L’unica certezza è che tutto è stato pilotato anche a fini di acquisizione di consenso. Hanno instillato una condizione di terrore per guidare le coscienze a non desiderare altro che lo statu quo, nessun cambiamento. E questa strategia si manifesta ancora oggi, con la tendenza a prolungare sine die il controllo sanitario. Che si compendia nell’autocompiacimento governativo: noi italiani esempio di buona gestione a livello mondiale. Quando deteniamo il record dei decessi in rapporto ai contagi. Basta con questa paura indotta di campare. Quando torneremo alla democrazia? Stanno sottoponendo perfino la storia ai codici sanitari».
Non mi dica che ha sfilato con CasaPound al grido di «il virus è un falso per inventare la crisi».
«Non soffro della sindrome Pappalardo e per nessuno manifesterei mai. Però mi sembra che una strategia internazionale si sia incardinata anche in questa più o meno vera emergenza virale. Il dominatore asiatico orientale ha giocato d’anticipo e ha contrastato al meglio, grazie al totalitarismo del suo stato. E la Sindrome cinese ce la siamo beccata tutti quanti».
Non sarà il peggior problema che ha affrontato Veneziani. Immagino un ragazzino, sorta di scapigliato reazionario, isolato quando l’eskimo imperava.
«Compii alcuni azzardi. A Bari mi laureai discutendo una tesi critica sulla filosofia di Julius Evola mentre nell’aula accanto stavano, armati di spranghe, quelli di Autonomia operaia».
Quel mostro di ingegno che sta incenerito tra il Monte Rosa e il Verano descrisse già dagli anni Trenta ciò che oggi siamo.
«Il pensatore della tradizione è stato un riferimento da ragazzo. Incominciai con Papini, Prezzolini, poi la folgorazione per lo Zarathustra e il pensiero nietzschiano. Però, attenzione, mentre il filosofo tedesco scriveva a seimila piedi d’altezza, io lo leggevo sullo scoglio con i piedi a mollo nel mare, litorale nord di Bari».
Stati alterati di una coscienza uguale. Il barone Evola sperimentava le droghe ben prima di Timothy Leary e degli hippy anni Sessanta.
«Anche Jünger, Zolla, altri ci hanno avuto a che fare».
Naturismo, cultura yogica, altri must del Peace & Love, per continuare con gli accostamenti dissonanti.
«Evola è stato un anticipatore in svariate discipline. Ma quand’ero a Bisceglie, a 15 anni, venni affascinato anche da una figura leggendaria dai caratteri spirituali».
Il Capitano. Corneliu Zelea Codreanu.
«Precisamente. Escludendo però il suo antisemitismo».
In Romania è tradizione, peggio che tra i comunisti dell’Urss.
«Noi ascoltavamo Lucio Battisti, unico non organico alla sinistra extraparlamentare e che con la destra ha flirtato. Traducevamo il suo canto libero in metafore. Amavamo Patty Pravo, alla quale Ezra Pound a Venezia comprava i gelati».
Nicoletta Strambelli venne lanciata e battezzata Patty Pravo da Alberico Crocetta, ex marò della Decima Mas. Portata a esempio dai reduci nel cenacolo intellettuale.
«Ho due fratelli e una sorella, sono figlio di un preside e di un’insegnante, fin da piccolo leggere è stato il mio pane. Ma Yukio Mishima, stella della letteratura mondiale, cambiò addirittura le mie abitudini quotidiane. Mi votai al suo saggio Sole e acciaio: correvo a lungo sotto i raggi infuocati per temprarmi e attraverso lo sforzo rendevo i muscoli duri come metallo».
Così è diventato negro.
«E beh, può darsi, oltre che in spiaggia. L’influenza del clima gioca sempre la sua parte. Io ero il criticatore dei criticatori. I contestatori sessantottini li contestavo. Loro contestavano i padri. Io contestavo il tempo, il progresso presunto e il centrosinistra nei rispettivi mali. A quei tempi vigevano assemblee senza diritto di parola da parte dei compagni».
Tutt’oggi si chiamano democratici.
«Tifavo Fiorentina, squadra perdente, fino ai 15 anni. Poi smisi e incominciai a tifare per il partito perdente, Movimento sociale. Seguivo Giorgio Almirante. Svolsi un’attività politica intensa e viscerale fino ai 17 anni come segretario locale del Fronte della gioventù. Poi di quest’arte colsi il disincanto e mi dedicai agli interessi culturali».
Ma sempre dal fronte emarginati.
«La cultura è appannaggio della sinistra anche per la sua propensione all’organizzazione collettivista. Ma al di sopra di questo piano di buona qualità ordinaria nel Novecento svettano i giganti delle destre più varie».
E cosa vuole che siano i vari Mishima Borges Dalì Mann Puccini D’Annunzio Gadda Jünger Hesse De Chirico Montale Ionesco Croce Pound Pirandello T. di Lampedusa W.B. Yeats T.S. Eliot Marinetti Nabokov E. M. Forster Céline Cioran e giù lungo il papiro egiziano?
«Tuttavia l’essere fascisti, e non semplicemente a destra, rimane una categoria storica e basta».
Poi da Salò al Pci corse un passo. Si va da Dario Fo, repubblichino incrollabile, a Eugenio Scalfari, cantore tromboneggiante del regime mussoliniano, al Giorgio Bocca esegeta del Manifesto della razza.
«In effetti non è abusivo cogliere un filo rosso tra i due schieramenti. Ricordo che in piazza a Bisceglie tra i comunisti c’erano tanti estimatori di Mussolini tradito dai gerarchi e dal capitale. La rivoluzione fascista si trasferì in parte sul fronte contrario. Difatti tra noi di destra e quelli di sinistra, sulle panchine dicevamo: per adesso discutiamo, ci confrontiamo, poi alla rivolta combattiamo e ci ammazziamo».
Il discrimine oggi è tra conformisti e non ammaestrati.
«Ma oggi ci sono rimasti soprattutto vuoto e nullità. Che lasciano agio soltanto al consumatore deprivato: mito, famiglia, tradizione, tutto quanto».
L’ha affermato in Nostalgia degli dei. Dispera bene è l’ultimo suo libro nato.
«È un’esortazione a nutrirsi di fiducia partendo dalla condizione attuale. Impariamo a gioire soltanto quando ci troviamo sul lastrico».
Alberto Selvaggi, La Gazzetta del Mezzogiorno, 18 giugno 2020
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