Violenze al confine con la Striscia di Gaza

Fumo e specchi: Sei settimane di violenze al confine con la Striscia di Gaza

di Richard Kemp 14 maggio 2018

Pezzo in lingua originale inglese: Smoke & Mirrors: Six Weeks of Violence on the Gaza Border
Traduzioni di Angelita La Spada

La tattica di Hamas di utilizzare fumo e specchi per nascondere le proprie manovre sul confine con la Striscia di Gaza è la perfetta metafora di una strategia che non ha possibili scopi militari, ma cerca di ingannare la comunità internazionale criminalizzando uno Stato democratico che difende i propri cittadini.

Le Nazioni Unite, l’Unione Europea, le ONG, i responsabili governativi e i media – i principali obiettivi di Hamas – sono stati raggirati di buon grado. Ad esempio, il titolo di un articolo pubblicato dal Guardian, “L’uso della forza letale per intimidire le manifestazioni di protesta non violente da parte dei palestinesi”, travisa palesemente la realtà violenta che è dinanzi agli occhi di tutti. Allo stesso modo, la ong Human Right Watch afferma che siamo di fronte a un movimento che “afferma il diritto al ritorno riconosciuto dalla comunità internazionale ai palestinesi”.

In realtà, queste manifestazioni di protesta sono tutt’altro che pacifiche e non perseguono alcun cosiddetto “diritto al ritorno”. Piuttosto, sono operazioni militari attentamente pianificate e orchestrate, volte a sfondare i confini di uno Stato sovrano per compiere omicidi di massa nelle comunità adiacenti, usando i propri civili come copertura. Lo scopo è criminalizzare e isolare lo Stato di Israele.

Hamas intendeva raggiungere l’apice delle violenze al confine di Gaza il 14 o il 15 maggio, in coincidenza con il 70° anniversario della nascita dello Stato di Israele, l’apertura dell’ambasciata americana a Gerusalemme e l’inizio del Ramadan – una tempesta perfetta.

Dal 30 marzo Hamas orchestra violenze su larga scala al confine tra Israele e la Striscia di Gaza. Le violenze si sono intensificate in genere il venerdì, alla fine delle preghiere nelle moschee, quando abbiamo ripetutamente assistito ad azioni concertate che hanno coinvolto folle fino a 40 mila persone in cinque zone separate lungo il confine. In questo periodo, si sono inoltre verificati altri episodi di violenza e atti di aggressione, in cui si è ricorso all’uso di esplosivi e di armi da fuoco.

Una tempesta perfetta

Hamas intendeva continuare queste violenze fino al 14-15 maggio 2018. Il 15 è la data di commemorazione del 70° anniversario della “Nakba” (la “Catastrofe”), celebrata il giorno dopo la nascita dello Stato di Israele. Ma l’escalation della violenza ha avuto un picco di maggiore intensità il 14 maggio, nel giorno dell’inaugurazione dell’ambasciata americana a Gerusalemme. L’apice delle violenze è stato raggiunto nelle giornate del 14 e del 15, le quali oltre a coincidere con la Nakba e con l’apertura dell’ambasciata, segnano inoltre l’inizio del mese islamico del Ramadan, quando in genere la violenza aumenta in Medio Oriente e anche altrove.

Hamas aveva pianificato di mobilitare fino a 200 mila persone sul confine della Striscia di Gaza, ben più del doppio dei numeri registrati in precedenza. Hamas era inoltre determinato a istigare una violenza maggiore che in passato e a compiere significativi sconfinamenti in territorio israeliano. A fronte di tali sforzi era prevedibile che sarebbe stato elevato il numero di perdite di vite umane tra i palestinesi.

Oltre alla zona di confine, i palestinesi hanno previsto di condurre azioni violente anche a Gerusalemme e in Cisgiordania. Sebbene nell’intento originario il 15 maggio avrebbe dovuto segnare l’epilogo delle violenze di sei settimane al confine della Striscia di Gaza, di recente i palestinesi hanno dichiarato di non voler desistere dalle azioni aggressive per tutto il mese del Ramadan.

Pretesto e realtà

La violenza di Gaza è stata orchestrata con il pretesto della “Grande Marcia del Ritorno”, una manifestazione volta ad attirare l’attenzione su ciò che la leadership palestinese considera un diritto al ritorno del proprio popolo nelle loro abitazioni in Israele. L’intenzione dichiarata non è solo quella di manifestare, ma di sfondare in massa la barriera di confine e marciare in migliaia nello Stato di Israele.

L’affermazione del “diritto al ritorno” ovviamente non è in realtà l’esercizio di un tale “diritto”, il quale è fortemente contestato ed è in ogni caso oggetto di negoziati sullo status finale. Fa parte di una consolidata politica araba finalizzata a eliminare lo Stato di Israele e che naturalmente è stata sistematicamente respinta dal governo israeliano.

Il reale obiettivo delle violenze di Hamas è quello di continuare la strategia di lunga data volta a creare e intensificare l’indignazione internazionale, la denigrazione, l’isolamento e la criminalizzazione dello Stato di Israele e dei suoi funzionari. Questa strategia annovera la creazione di situazioni che costringono l’IDF, l’esercito israeliano, a rispondere ricorrendo all’uso della forza letale, in modo da essere visto come il responsabile dell’uccisione e del ferimento di “innocenti” civili palestinesi.

Le tattiche terroristiche di Hamas

Nel quadro di questa strategia, Hamas ha utilizzato una serie di tattiche che includono il lancio di missili da Gaza sui centri abitati israeliani e la costruzione di sofisticati tunnel di attacco sotto il confine della Striscia di Gaza, in prossimità dei vicini villaggi israeliani. Queste tattiche sono contraddistinte dall’utilizzo di scudi umani palestinesi – civili, spesso donne e bambini, che sono costretti, o si offrono spontaneamente, a essere presenti nei luoghi da dove vengono lanciati od ordinati gli attacchi oppure là dove si trovano i combattenti e le munizioni, in modo che la risposta militare israeliana comporti potenziali danni a questi civili.

In alcuni casi, anche nell’attuale ondata di violenze, Hamas mostra i propri combattenti come innocenti civili. Sono numerosi i falsi incidenti inscenati e filmati che pretendono di mostrare come i civili siano uccisi e feriti dell’esercito israeliano; e i filmati che riprendono le violenze perpetrate altrove, ad esempio in Siria, e fatte passare come violenze contro i palestinesi.

Qualche strategia, nuove tattiche

Dopo i razzi e i tunnel di attacco, utilizzati nei tre principali conflitti a Gaza (2008-2009, 2012 e 2014), così come in altri episodi più isolati, è stata messa a punto una nuova tattica che ha lo stesso scopo fondamentale. Si tratta della creazione di “manifestazioni” su larga scala associate ad azioni aggressive che portano all’uccisione e al ferimento di civili gaziani, nonostante gli strenui sforzi da parte dell’IDF per ridurre il numero di perdite tra i civili.

Per certi versi, questa nuova tattica è più efficace dei razzi e dei tunnel di attacco, perché gli obiettivi principali di queste attività – i leader politici, le organizzazioni internazionali (l’ONU, l’UE), i gruppi per i diritti umani e i media – trovano più difficile comprendere l’uso della forza letale contro quelle che vengono falsamente presentate come manifestazioni pacifiche paragonabili alle manifestazioni che si svolgono nelle loro città.

Come sempre, molti elementi di questi obiettivi principali si lasciano raggirare da questo stratagemma. Dall’inizio di questa ondata di violenza sono fioccate ferme condanne da parte delle Nazioni Unite, dell’Unione Europea e della Corte penale internazionale; ma anche da parte di molti governi e di organizzazioni per i diritti umani, tra cui Amnesty International e Human Rights Watch; senza parlare poi dei numerosi quotidiani e delle emittenti radiotelevisive. Le loro proteste accampano richieste di avviare inchieste internazionali su accuse di uccisioni illegali e di violazione del diritto internazionale umanitario e dei diritti dell’uomo da parte dell’IDF.

Le tattiche di Hamas sul campo

Le tattiche di Hamas in queste operazioni militari attentamente pianificate e orchestrate consistono nell’utilizzo di masse di manifestanti nei luoghi di confine in mezzo alle quali si nascondono i miliziani del movimento. Miliziani e civili hanno il compito di avvicinarsi alla barriera di confine per cercare di aprire un varco attraverso il quale entrare in Israele. I manifestanti hanno incendiato migliaia di copertoni di pneumatici per creare delle cortine fumogene destinate a occultare i loro movimenti in direzione della barriera di confine tra Gaza e Israele (e in modo alquanto inefficace hanno tentato di utilizzare degli specchi per accecare gli osservatori dell’IDF e i tiratori scelti). Hanno anche utilizzato pneumatici bruciati e bombe Molotov lanciandoli contro la barriera di sicurezza, che in vari punti consta di componenti in legno, per tentare di infiltrarsi.

FUMIVenerdì 4 maggio, circa diecimila palestinesi hanno partecipato a manifestazioni violente lungo il confine, centinaia di rivoltosi hanno vandalizzato e incendiato la parte palestinese del valico di confine di Kerem Shalom, punto di passaggio dei convogli umanitari. Hanno danneggiato i gasdotti usati per rifornire la Striscia di Gaza di gas e carburante. Questa azione distruttiva contro Kerem Shalom ha avuto luogo a due riprese. Lo stesso giorno, due tentativi di infiltrazione sono stati sventati dalle truppe dell’IDF in due luoghi differenti. Tre degli infiltrati sono stati uccisi dai soldati israeliani che difendevano il confine. In altri episodi, gli infiltrati sono stati arrestati.

Inoltre, Hamas e i suoi miliziani hanno utilizzato rampini, corde, tronchesi e altri arnesi per abbattere la barriera. Sono anche ricorsi all’uso di droni, fionde potenzialmente letali per lanciare pietre in direzione dei soldati, armi da fuoco, bombe a mano e ordigni esplosivi artigianali, sia per uccidere i soldati israeliani sia per infiltrarsi in Israele attraverso la barriera difensiva.

Aquiloni incendiari e palloni-bomba

Gli aquiloni incendiari sono stati trasportati da Gaza oltre il confine nel tentativo di bruciare i campi coltivati dagli israeliani per causare danni economici, ma anche per uccidere e mutilare. Questi potrebbero sembrare un’arma primitiva e persino risibile, ma il 4 maggio, i palestinesi avevano preparato centinaia di aquiloni incendiari con l’intenzione di farli volare, come fossero sciami, in Israele, sfruttando un’intensa ondata di calore. Solo le condizioni avverse del vento hanno impedito il loro pieno utilizzo e potenziali danni seri.

In diversi casi, gli aquiloni volanti hanno causato degli incendi. Ad esempio, il 16 aprile, è stato incendiato un campo di grano sul lato israeliano. Il 2 maggio, un aquilone incendiario lanciato da Gaza ha provocato un grosso incendio nella foresta di Be’eri, devastando ampie zone boschive. Sono intervenute dieci squadre di pompieri per domare le fiamme. Hamas ha inoltre utilizzato i palloni-bomba, anche il 7 maggio, quando uno di questi palloni è riuscito a incendiare un campo di grano nei pressi della foresta di Be’eri. Israele ha stimato una perdita economica di diversi milioni di shekel causata dall’utilizzo di aquiloni incendiari e palloni-bomba.

Se Hamas attraversasse il confine

Finora, Hamas non è riuscito a infiltrarsi in modo significativo attraverso la barriera difensiva. Se lo facesse, ci si potrebbe aspettare che cercherebbe di far passare migliaia di persone. Fra di loro ci sarebbero terroristi armati il cui obiettivo sarebbe quello di raggiungere e colpire i villaggi israeliani mettendo a segno uccisioni di massa e rapimenti.

Hamas ha provato ad aprire una breccia a un passo dal kibbutz Nahal Oz, a ridosso della barriera difensiva, un obiettivo che potrebbe essere raggiunto in cinque minuti o meno da uomini armati pronti a uccidere.

In questo scenario, con terroristi armati confusi tra i civili disarmati, che spesso rappresentano essi stessi una minaccia violenta, è difficile immaginare come l’IDF possa evitare di infliggere pesanti perdite per difendere il loro territorio e la propria popolazione.

La reazione dell’IDF: una risposta graduata

Questo è il motivo per cui l’IDF è stato costretto ad agire con grande fermezza – per evitare le infiltrazioni – anche ricorrendo all’uso dei colpi di artiglieria (che a volte sono stati letali) e nonostante la pesante e inevitabile condanna internazionale.

Come accaduto in passato, l’IDF ha adottato una risposta graduata. Ha lanciato migliaia di volantini, utilizzato SMS, social media, telefonate e trasmissioni radio per avvertire la popolazione di Gaza di non assembrarsi al confine e di non avvicinarsi alla barriera difensiva. Ha contattato i proprietari delle compagnie di autobus di Gaza chiedendo loro di non trasportare la gente al confine.

Quando questi appelli sono stati resi vani dalle pressioni esercitate da Hamas nei confronti della popolazione civile, l’IDF ha utilizzato i gas lacrimogeni per disperdere le folle che si avvicinavano alla barriera. In uno sforzo innovativo per aumentare la precisione e l’efficacia, a volte l’esercito israeliano è ricorso all’impiego di droni per diffondere i gas lacrimogeni. Tuttavia, i gas lacrimogeni non sempre offrono una soluzione, poiché la loro efficacia è limitata nel tempo, dalle condizioni di vento e dalla capacità delle persone di mitigare i loro effetti più gravi.

In seguito, le forze dell’IDF hanno utilizzato dei colpi di avvertimento, sparati in alto. E per finire, soltanto in caso di stretta necessità (secondo le loro regole d’ingaggio), sono stati sparati proiettili di gomma per neutralizzare, anziché uccidere. Anche se in alcuni casi sparare per uccidere sarebbe stato lecito, l’IDF sostiene di aver sempre sparato allo scopo di neutralizzare (tranne nei casi di evidenti attacchi militari, come quelli sferrati contro le forze dell’IDF). In tutti questi casi, le forze armate israeliane operano secondo le procedure operative standard, predisposte in base alle circostanze ed elaborate in collaborazione con diverse autorità dell’IDF.

Tuttavia, questi scontri a fuoco hanno causato morti e numerosi feriti. Le autorità palestinesi affermano che finora sono rimaste uccise una cinquantina di persone e altre centinaia sono state ferite. Israele stima che l’80 per cento delle persone uccise era costituito da terroristi o da individui legati a essi. Il prezzo – in termini di vite umane, di sofferenza e di riprovazione da parte della comunità internazionale – è stato senza alcun dubbio elevato; ma la barriera difensiva non è stata attraversata e pertanto è stato evitato un prezzo ancora più elevato.

Condanna internazionale, nessuna soluzione

Molti hanno detto che Israele avrebbe dovuto agire in modo diverso in risposta a questa minaccia, compreso l’inviato delle Nazioni Unite per il Medio Oriente Nickolay Mladenov, il quale ha condannato la condotta di Israele definendola “scandalosa”. L’alto commissario delle Nazioni Unite per diritti umani, Zeid Ra’ad al-Hussein, ha condannato l’uso di una “forza eccessiva” da parte di Israele. Il procuratore capo della Corte penale internazionale, Fatou Bensouda, ha affermato che la “violenza contro i civili – in una situazione come quella che prevale a Gaza – potrebbe costituire un crimine ai sensi dello Statuto di Roma della Corte penale internazionale”.

Eppure, nonostante le loro condanne, nessuno di questi funzionari o di altri esperti, ha finora proposto valide linee di azione alternative per impedire l’attraversamento violento delle frontiere israeliane.

Secondo alcuni, le truppe israeliane hanno fatto un uso eccessivo della forza perché hanno sparato proiettili veri sui manifestanti che non rappresentavano una imminente minaccia alla vita. Anche l’UE ha espresso preoccupazione per “l’uso di munizione vere da parte delle forze di sicurezza israeliane come mezzo di controllo della folla”. In realtà, i cosiddetti “manifestanti” rappresentavano una imminente minaccia alla vita.

Oggi, il diritto internazionale ammette l’uso di munizioni reali di fronte a una seria minaccia di morte o di lesioni, e quando nessun altro mezzo è riuscito ad affrontare la minaccia. Non esiste un criterio in base al quale la minaccia è “immediata” – piuttosto, tale forza può essere utilizzata nel momento in cui diventa “imminente”, ossia quando non c’è uno stadio intermedio in cui un’azione aggressiva può essere impedita prima che diventi una minaccia immediata.

La realtà è che, tenuto conto delle condizioni deliberatamente create da Hamas, non c’era alcuna tappa intermedia efficace che avrebbe potuto evitare che si sparasse sui manifestanti più minacciosi. Se a queste persone (che difficilmente possono definirsi come semplici “manifestanti”) fosse stato permesso di raggiungere la barriera difensiva e di violarla, la minaccia alla vita da imminente sarebbe diventata immediata, e l’unico modo possibile per evitarla sarebbe stato quello di infliggere perdite nettamente superiori, come già menzionato.

La mancanza di comprensione da parte della comunità internazionale

Coloro che sostengono che l’IDF non avrebbe dovuto ricorrere all’uso di munizioni reali in questa situazione affermano che le forze israeliane avrebbero dovuto aspettare prima di agire fino a quando decine di migliaia di rivoltosi violenti (e tra loro, i terroristi) non avessero fatto irruzione in territorio israeliano, avvicinandosi pericolosamente ai civili israeliani, alle forze di sicurezza e alle abitazioni, anziché usare una forza puntuale e accurata contro questi individui più minacciosi per evitare che questo scenario catastrofico diventasse realtà.

Alcuni hanno anche affermato che non esiste alcuna prova che dimostra che i “manifestanti” fossero armati. Non riescono a capire che questo tipo di conflitto non prevede eserciti in uniforme che si affrontano apertamente su un campo di battaglia. In tale contesto, le armi da fuoco non sono necessarie per rappresentare una minaccia. Di fatto, è esattamente il contrario visti i loro obiettivi noti e il modus operandi. Le loro armi sono i tronchesi, i rampini, le corde, le cortine fumogene, il fuoco e gli esplosivi nascosti.

A Hamas ci sono voluti anni e milioni di dollari per scavare tunnel di attacco sotterranei nel tentativo di entrare in Israele – una minaccia seria che implica vanghe e non armi da fuoco. Ora, oltre a continuare a scavare tunnel, agisce alla luce del giorno, usando la propria popolazione come copertura – le armi saranno estratte solo quando avrà raggiunto il suo obiettivo di imporre una penetrazione massiccia. Un soldato che aspetta di vedere un’arma da fuoco per sparare firmerebbe la sua condanna a morte e quella dei civili che ha il compito di proteggere.

Sono state mosse delle critiche (soprattutto da parte di Human Rights Watch) nei confronti di quei funzionari israeliani che avrebbero autorizzato le azioni illegali dei soldati. Ad esempio, HRW cita come prova certi commenti formulati dal Capo di Stato Maggiore dell’IDF, dal portavoce del Primo ministro e dal Ministro della Difesa.

Presumibilmente, tali detrattori non si sono resi conto che questi funzionari esercitano la loro autorità attraverso dei canali di comunicazione privati e non attraverso i media pubblici, e che tali commenti non sono istruzioni alle truppe, ma avvertimenti rivolti ai civili di Gaza per ridurre le prospettive di violenza e per fugare le paure legittime degli israeliani che vivono vicino al confine. Quando il Capo di Stato Maggiore dice che posiziona “100 cecchini alla frontiera”, sta solo verbalizzando un dovere legittimo di difendere il proprio paese e non è un’ammissione dell’intento di voler ricorrere all’uso della forza illecita.

Alcuni gruppi per i diritti umani (e tra questi ancora HRW) e certi giornalisti hanno criticato l’uso della forza da parte dell’IDF affermando che nessun soldato è rimasto ferito. Hanno lasciato intendere che ciò denota una risposta “sproporzionata” da parte dell’IDF. Come spesso accade quando i cosiddetti esperti commentano le operazioni militari occidentali, le realtà delle operazioni di sicurezza e i dettami della legge sono fraintesi – o travisati. E in effetti non è necessario mostrare le ferite subite per dimostrare l’esistenza di una minaccia reale. Il fatto che i soldati dell’IDF non siano stati feriti gravemente dimostra soltanto la loro professionalità militare e non l’assenza di minacce.

È stato anche asserito che, in assenza di conflitti armati, l’uso della forza a Gaza è disciplinato dal diritto internazionale dei diritti umani e non dalle leggi che regolano i conflitti militari. Si tratta di un falso presupposto: tutta Gaza è una zona di guerra, resa tale dall’aggressione armata di lunga data lanciata da Hamas contro lo Stato di Israele. Pertanto, in questa situazione sono applicabili entrambi i tipi di legge, a seconda delle circostanze specifiche.

È legittimo per l’IDF combattere e uccidere un combattente nemico identificato come tale, ovunque nella Striscia di Gaza, conformemente alle leggi di guerra, indipendentemente dal fatto che il nemico sia in uniforme o meno, armato o disarmato, che rappresenti o no un minaccia imminente, che attacchi o che fugga. In pratica, tuttavia, affrontando le rivolte violente, l’IDF sembra aver agito partendo dal presupposto che tutte le persone sono civili (contro i quali non è necessario ricorrere alla forza letale in prima istanza), a meno che non sia chiaramente evidente il contrario.

Fare il gioco di Hamas

È stato anche detto che il governo israeliano si è rifiutato di avviare una inchiesta ufficiale sui morti negli scontri. Ancora una volta questa affermazione è del tutto falsa. Gli israeliani hanno dichiarato che esamineranno gli incidenti utilizzando gli strumenti forniti dal loro sistema giuridico, il quale gode di un rispetto a livello internazionale. Ciò che il governo israeliano ha affermato è che rifiuta un’inchiesta internazionale, proprio come farebbero gli Stati Uniti, il Regno Unito o qualsiasi altra democrazia occidentale.

Tutte queste false critiche mosse alla condotta israeliana, così come le minacce di avviare inchieste internazionali, per portare Israele dinanzi alla Corte penale internazionale e invocare il ricorso a una giurisdizione universale contro i responsabili israeliani implicati in questa situazione, fanno il gioco di Hamas. Avvalorano l’utilizzo di scudi umani e la strategia di Hamas di obbligare i propri civili a morire. Le implicazioni sono ben più ampie di questo conflitto. Come hanno dimostrato i precedenti episodi di violenza, le reazioni internazionali di questo tipo, tra cui una ingiusta condanna, causano un utilizzo più diffuso di tattiche del genere e aumentano il bilancio delle vittime tra i civili innocenti nel mondo intero.

Più violenza a venire?

Come già accennato, questa campagna di Hamas può portare a enormi perdite nella popolazione palestinese. È altrettanto probabile che la condanna dei media, delle organizzazioni internazionali e dei gruppi per la difesa dei diritti umani si generalizzi. Coloro che hanno un programma anti-americano e anti-israeliano collegheranno inevitabilmente questa violenza alla decisione del presidente Trump di aprire l’ambasciata americana a Gerusalemme.

Azione futura

La nuova tattica di Hamas è riuscita a mettere contro Israele elementi della comunità internazionale e a causare danni alla sua reputazione. È probabile che anche dopo la fine di questa ondata di violenza, gli effetti continueranno a farsi sentire.

Potrebbero esserci ulteriori condanne da parte di attori internazionali, come i vari organismi delle Nazioni Unite, così come rapporti ad hoc redatti da relatori speciali dell’ONU. Inoltre, non si escludono tentativi finalizzati a esortare il Procuratore della Corte penale internazionale a prendere in esame questi incidenti, nonché ad avviare azioni giudiziarie in diversi Stati (utilizzando la “giurisdizione universale”) per tentare di diffamare o anche di arrestare i responsabili militari e i politici israeliani.

Inevitabilmente, Hamas e altri gruppi palestinesi cercheranno di riutilizzare questa tattica in futuro. Per arginare questa possibilità, Israele si prepara a rafforzare la barriera di confine con la Striscia di Gaza per renderne più difficile la violazione senza dover ricorrere all’uso della forza letale. (Sta già lavorando a una barriera sotterranea per impedire l’infiltrazione attraverso i tunnel.) Tuttavia, si tratta di un progetto a lungo termine e non è chiaro fino a che punto possa essere costruita una barriera assolutamente impenetrabile.

Inoltre, l’IDF sta prendendo in maggiore considerazione le armi non letali. Ad oggi, nonostante le importanti ricerche condotte a livello internazionale, non è stato messo a punto alcun sistema valido ed efficace in grado di funzionare in tali circostanze.

Gli amici e gli alleati di Israele possono agire per contrastare la propaganda anti-israeliana di Hamas e fare pressione sui leader politici, sui gruppi per i diritti umani, sulle organizzazioni internazionali e sui media per evitare una falsa condanna di Israele. Allo stesso modo, occorre respingere le richieste di azioni internazionali, come le inchieste unilaterali dell’ONU e le sue risoluzioni. Tutto questo, preferibilmente accompagnato da una forte condanna delle tattiche violente di Hamas, potrebbe contribuire a scoraggiare l’ulteriore utilizzo di tale linea di azione. Ovviamente, di fronte a una programma anti-israeliano fortemente radicato tali raccomandazioni sono facili a dirsi ma difficili da realizzarsi.

Il colonnello Richard Kemp è stato comandante delle forze britanniche in Irlanda del Nord, in Afghanistan, in Iraq e nei Balcani. Questa analisi è stata originariamente pubblicata sul sito web di HIGH LEVEL MILITARY GROUP e qui ripubblicata per gentile concessione dell’autore.