𝐕𝐚𝐭𝐭𝐢𝐦𝐨, 𝐢𝐥 𝐝𝐢𝐫𝐢𝐭𝐭𝐨 𝐝𝐢 𝐞𝐬𝐬𝐞𝐫𝐞 𝐝𝐞𝐛𝐨𝐥𝐢
Ma Gianni Vattimo, il celebre filosofo ormai ottantasettenne, non è libero di vivere come vuole e destinare i suoi beni a chi vuole?
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Vattimo, il diritto di essere deboli
Ma Gianni Vattimo, il celebre filosofo ormai ottantasettenne, non è libero di vivere come vuole e destinare i suoi beni a chi vuole? Come saprete, il vecchio filosofo omosessuale, è stato di fatto dichiarato incapace di intendere e di volere, perché sarebbe plagiato e intimorito dal suo assistente e amante, il brasiliano Simone Caminada. Il tribunale di Torino ha condannato a due anni di carcere il suo partner-badante con l’accusa di essersi approfittato del filosofo, facendosi nominare suo erede. Il lato paradossale della vicenda, da filosofia dell’assurdo, è che il brasiliano avrebbe compiuto questo reato col consenso attivo, dichiarato e consapevole della vittima. E la vittima, ritenuta non capace di badare più a se stessa e intimidita dal giovanotto e dalla paura di restare solo, rilascia serene interviste in cui mostra il pieno possesso delle sue facoltà mentali e ribadisce la consapevolezza delle sue scelte, ritenendo che il tribunale compia un’inaccettabile ingerenza nella sua vita privata. Se avessimo i paraocchi dovremmo plaudire da tradizionalisti alla decisione del tribunale: Vattimo è un filosofo radical-progressista, con simpatie comuniste, è un militante storico della causa gay, il beneficiario della sua eredità sarebbe il suo omo-fidanzato. Ci sarebbero tutti gli estremi ideologici e civili per essere contrari al filosofo, alla sua scelta ereditaria e al suo presunto sfruttatore. E considerando sue sgradevoli intolleranze ideologiche passate verso la cultura di destra, di cui feci esperienza personale a Torino, potrei avere una ragione in più per sostenerlo. Ma la realtà, il rispetto, la pietas, il diritto, l’amor di verità liberano da ogni ostilità preconcetta. Vattimo è solo, non ha figli, non ha eredi legittimi, per trovarli bisogna ricorrere a remote parentele; perché non dovrebbe poter destinare i suoi beni, frutto del suo lavoro e non di eredità familiari ricevute, a chi decide lui, anche allo scopo di vivere meglio gli ultimi anni della sua vita?
E poi Vattimo difende le sue scelte come private, intime, del tutto personali; non vuol fare giurisprudenza sulle coppie omosessuali, non vuole esibire ai quattro venti il suo menage gay o pretendere chissà quale riconoscimento giuridico alla sua scelta. Vuole semplicemente viverla in libertà, a casa sua. Perché non dovrebbe poterlo fare? E se la sua decisione di lasciare al suo compagno e badante fosse indotta dal timore di essere abbandonato, di restare solo, che male ci sarebbe? Quanti altri casi ci sono di mariti, di vedove, di nonni che destinano i loro beni a coniugi, figli, badanti, nipoti che possono assisterli, far loro compagnia nella vecchiaia, nell’infermità, e accompagnarli alla morte? Quanti matrimoni fittizi si fanno in Italia di anziani con le loro badanti, proprio per lasciare loro l’eredità e perfino la reversibilità della pensione pur di avere compagnia e assistenza? E’ una preoccupazione diffusa, universale, non vedo perché non dovrebbe valere pure per Vattimo. Perché invece la paura di restare solo dovrebbe essere letta solo nel suo caso come un’intimidazione, una minaccia del suo badante di abbandonarlo e dunque un ricatto e magari un sequestro di persona?
Il caso Vattimo è un caso umano, sociale, giuridico ma soprattutto filosofico. Vattimo è il principale teorico del pensiero debole e ha speso una vita per sostenere la necessità di “indebolire” la pretesa assoluta di verità, accontentandosi di vivere tra mezze verità o flebili certezze, deperibili e reversibili. Ora pure nella vita Vattimo rivendica il diritto di essere debole, di fare cioè scelte nel segno della sua debolezza e fragilità, riferita non tanto alle debolezze della carne e dunque al cedimento alle sue inclinazioni omosessuali; ma debole per la sua condizione di vecchio, solo, senza famigliari, in condizioni cagionevoli, e dunque bisognoso di protezione. E anche l’indebolirsi della sua mente, non ancora offuscata o irretita al punto di non essere più in grado di intendere e di volere, ma declinante, non più vigorosa e lucida come un tempo, reclama un suo diritto all’oblio, alla fragilità assistita, alla volontaria sottomissione a menti assai più limitate della sua, e più incolte, ma giovani e attive, come i loro corpi e le loro pulsioni.
Condannando il Caminada non abbiamo reso giustizia a nessuno, tantomeno alla giustizia in sé; abbiamo solo danneggiato la vita di un vecchio, con la scusa di volerlo difendere e proteggere. Perché se il giovanotto dovesse seguire le indicazioni del tribunale, dovrebbe andarsene e lasciare il suo vecchio amante allo sconforto della sua solitudine senile. Non impedite al vecchio professore di esercitare almeno l’ultima facoltà che è nelle sue mani: disporre dei suoi beni e darli a chi crede, senza l’intervento di un gendarme supremo o di amici solerti che per il suo bene, gli fanno vivere male i suoi ultimi giorni, privato della compagnia e del suo unico affetto. Dopo una vita spesa ad affermare il pensiero debole lasciamo a Vattimo il diritto di essere debole.