Noi, figli degli esuli, per una strana maledizione simile a quella dell’ebreo errante, per maggior parte continuiamo a migrare… lo stesso Sergio Endrigo, nativo d Pola ed esule da bambino, in una sua stupenda canzone dal titolo 1947 canta ”…come vorrei essere un albero che sa dove nasce e dove morirà” . I figli degli esuli recano impressa negli occhi e nell’anima, perennemente, una malinconia struggente , insanabile e di questi giorni di rimembranze, ovunque si trovino, si accende spontaneo come per un magico silenzioso tam tam l’abbraccio collettivo del RICORDO tra gli eredi dei superstiti., in uno scambio epistolare identitario, sofferto , monocorde ma rinnovato.
Telepatico! Un ricordo mi ossessiona sin da quando ero piccina. Il fratello di mia madre, zio Nini, gran bel giovane e portiere della squadra di calcio locale del Partizan , perì a soli 27 anni di tubercolosi, contratta a bordo del sommergibile ove prestava servizio che rimase incagliato per diversi giorni sui fondali al largo di Pola: lui e pochissimi altri marinai, da contarsi sulle dita di una mano, furono tratti ancora vivi dal natante ripescato in superficie ma seguirono ben presto le sorti di tutto l’equipaggio estinto. Avevo 7 anni quando mia madre mi portò con lei a Pola, ormai diventata yugoslava, in un rocambolesco viaggio, per andare a ritrovare le spoglie del fratello e ricollocarle in una sepoltura cristiana. Da Napoli partimmo cariche di ogni ben di Dio da portare ai vecchi amici e parenti di mamma che abbisognavano di tutto (pannolini e corredini per neonati, borotalco, lenzuola….) . In entrata passammo tranquillamente la Dogana, forse proprio perché portavamo doni; in uscita, ci bloccarono e passammo dei brutti quarti d’ora, per via di un sacco di mandorle ed una bottiglia di “sligovitz” che in segno di riconoscenza, la cugina di mia madre le aveva donato. Credo fosse stata costRetta, la mamma, dopo interminabili momenti di puro terrore, a sborsare una congrua mazzetta ai doganieri, per dissequestrare il sacco di mandorle, profumo della sua Terra. Ma più terribile fu la visita al cimitero di Pola ( ricordo ancora il nome del custode, il buon Dussan, amico di famiglia dei miei nonni austroungarici ) in cerca dei resti di zio Nini. Tutte le fosse erano sormontate da orribili paletti di legno con in cima una stella rossa. Non più una croce, un angelo di pietra, un lume eterno teneva compagnia a quelle povere crwature, odiate anche da morte. Le spoglie di Nini, ad onore della pietà del buon vecchio Dussan che aveva memorizzato scientemente le sepolture dei cari morti dei polesani dell’esodo, giacevano nella sua originaria fossa ma sul suo corpo erano stati inumati altri cadaveri yugoslavi degni di quelle blasfeme stelle rosse di legno!
https://www.youtube.com/watch?v=Ay-MavFliWg
Marina Benefico