Tutti a casa, a sud, in provincia

Tutti a casa, a sud, in provincia

Ritorno a casa. Ritorno a sud. Ritorno in provincia. Ritorno in famiglia. Che succede se verrà adottato in modo esteso e definitivo lo smart working? Che impatto avrà sulla vita delle popolazioni, sui giovani soprattutto, sulle aziende e sulle città di accoglienza e sui paesi abbandonati? Questa è la prima estate delle prove generali. Vi descrivo una situazione tipo, ma sono centinaia di migliaia. Per la prima volta Daria, venuta dal sud a Milano, potrà passare l’intera estate in provincia, in famiglia, dai suoi. Si collega e lavora da casa. Non andrà neanche in vacanza all’estero, sarà autarchica, viaggi domestici, italiani. Dopo la laurea specialistica al nord, dopo il tirocinio all’estero (Erasmus o affini nel nord Europa) dopo il lavoro per anni a Milano, torna a casa. Tornare al sud era un suo grande desiderio ma ora ha qualche paura: di fare un salto indietro, di non trovare il paese che ha lasciato, di avere meno occasioni, di perdere i contatti e le amicizie milanesi, di perdere la socialità legata al lavoro in azienda. Ma dall’altra parte tornare a casa, stare coi suoi cari, nonna inclusa, costruirsi una vita a chilometro zero, riprendere i contatti con la vita reale, la natura, le persone, il mare, la intriga. Non si vive di soli aperitivi sui Navigli e di grandi opportunità metropolitane; i centri commerciali esistono pure a sud.

Usciamo dalla dimensione intima, privata, personale, e proiettiamo la tendenza in un quadro generale, nazionale, globale. Chiediamoci cosa sta succedendo. Vari anni fa, di fronte alle grida disperate del sud, delle province anche del nord e del centro, delle famiglie abbandonate dai loro figli, prospettavo un’ipotesi di lavoro non consolatoria ma praticabile: la chiamavo misticamente bilocazione, evocando una virtù dei santi, essere in due posti nello stesso tempo. La tecnologia online era agli inizi, però dicevo: guardate che la nuova vita lavorativa sul web consentirà di lavorare da casa, o perlomeno di vivere senza traumi la doppia cittadinanza, nella città d’origine o comunque nella città preferita, e nella città dove ha sede l’azienda. C’è voluta la pandemia per scoprire questa doppia vita, o questa doppia possibilità, pur con tutti i disagi e gli scompensi che soprattutto all’inizio comporta.

Quanti lavoratori riguarda e soprattutto quanti riguarderà nel tempo? Difficile quantificare, si parla di centinaia di migliaia, forse milioni. Fino a un terzo o la metà della popolazione lavorativa.

Una rivoluzione come questa è un poligono, va vista da tutti i lati. Il lato del lavoratore è tutto sommato positivo, soprattutto se sarà possibile avere la doppia possibilità, la turnazione o la possibilità di poter rientrare periodicamente al lavoro (ma questo comporterebbe case e vite doppie con soggiorni temporanei). Sul piano economico, il ritorno a casa darebbe un gran risparmio: in provincia, al sud, o vicino casa, la vista costa meno, l’affitto costa meno, se poi vai a vivere dai famigliari… Comporta invece un danno per le città svuotate: metti Milano, se vanno via in tanti, l’indotto che prosperava intorno a loro cala; bar, ristoranti, mercati, case in affitto, palestre, cinema, trasporti, ecc. Il sindaco Sala insorge perché dà un colpo all’economia di Milano, la gente prende lo stipendio a Milano ma lo spende poi in provincia, al sud, altrove. È vero, a patto però di ricordare che quelle aziende vendono i loro prodotti su territorio nazionale, mica solo a Milano, e dunque potrebbe essere anche giusto che poi i soldi vengano spalmati a livello nazionale e non locale. Ma per Milano (o altre città) sarebbe un problema vero, dovrebbero tornare a sud o in provincia anche molti esercizi e servizi. E meno traffico, meno ore trascorse nei trasporti, meno inquinamento, più vivibilità ovunque.

E per le aziende? Bisogna vedere da caso a caso. Per molte non c’è un calo di rendimento e c’è invece un calo di costi, risparmiano il bonus mensa, gli uffici e i costi annessi. In alcune aziende invece la presenza è importante se non necessaria. Molti che hanno lavorato a casa in questo periodo dicono di aver lavorato di più di quando erano in sede, con un arco orario di disponibilità maggiore, sentendosi quasi sorvegliati in casa dal Grande Fratello. Però ne ha guadagnato il rapporto famigliare (salvo problemi di convivenza e di collegamenti multipli), la cura dei figli, la vita pratica, niente trasporti, risparmio di baby sitter, ecc. C’è poi il caso dell’impiego pubblico, dove invece molti sostengono che sia stato un via libera all’assenteismo o meglio al presenzialismo solo figurato, iconico, d’immagine. Discorso a parte la scuola dove sembrano scontenti un po’ tutti, e a ragione, perché la scuola non può che essere fatta dal vivo, in presenza, perché non si gestiscono servizi o prodotti ma si formano persone, comunità e relazioni umane; si fa educazione, non solo istruzione.

Però che svolta, che ritorno inaspettato. Abituati a considerare il futuro come la negazione del passato, l’allontanarsi sempre più dalle origini, sentirsi sparati su una linea retta; e poi accorgersi della sorte circolare della vita, l’eterno ritorno dei luoghi, il cammino rotondo che ti riporta da dove sei partito, a ricongiungerti non solo con i famigliari ma con l’inizio. Si risveglia la provincia, si rianima il sud, si ricompone la famiglia. E’ una rivoluzione, nel senso vero e astronomico della parola: revolvere non vuol dire infatti cambiare tutto radicalmente, ma tornare al punto di partenza dopo la rotazione. Pensavi che il sud, la casa, la provincia fossero il passato remoto e invece…I curvi sentieri della vita.

MV, Panorama n.28(2020)