Transgender e migranti
È tutta questione di… ingredienti per il benessere.
Tutti coloro che mi seguono da tempo, tanto nel blog quanto nei miei testi, lo sanno: cerco di essere sincero, di dire esattamente quello che penso, nel modo migliore possibile, cioè con equilibrio, ma sempre in sintonia col mio intimo pensiero.
Ultimamente ho avuto l’occasione di imparare molte cose sulla questione Transgender, frequentando e presentando le opere di Carmen Tonarelli, un’artista della provincia di Massa Carrara che attualmente (fino al 9 settembre) espone presso Villa Cuturi le sue 25 opere (dipinti materici e sculture), appunto su questo tema. Suggerisco, inoltre, se qualche lettore si trovasse nelle vicinanze, di fare visita o mettersi in contatto con l’artista, per condividere il suo concetto-percorso di trasformazione. L’esperienza emozionale è notevole, un tuffo al cuore, che sale improvvisamente alla mente, senza soluzione di continuità.
Da quel giorno seguito a pensare che fino a quando continueremo a vivere nella certezza di essere esattamente quello che crediamo di essere, non saremo mai nelle condizioni di modificare in meglio la nostra vita, i nostri progetti e le nostre mete. Tutti noi siamo transgender, e collocare questa concezione esclusivamente all’interno della sessualità è limitante e sterile. In realtà, facciamo poco o nulla affinché l’idea del cambiamento e della trasformazione penetri nella mente dei nostri giovani. E vi entri senza paura, senza timore, sapendo che anche in questo caso si tratta di una migrazione interiore, che andrà ad esprimersi ufficialmente, a cuore aperto e sincero nel mondo.
Calzando le scarpe di chi compie un viaggio così difficile, mi è venuto subito alla mente un altro tipo di percorso, perché penso che la sofferenza che comporta sia esattamente la stessa. È una migrazione lo spostamento da un territorio nel quale stiamo male, che non riconosciamo come nostro, perché ostile alla nostra mente, come è migrazione quella del corpo di un maschio che si sente femmina, oppure di una femmina che si sente maschio, e che desidera emigrare nel corpo giusto. Nella forma giusta, quella nella quale si sente meglio e che rappresenta la propria identità.
Ma è completamente inutile trasformarsi, oppure migrare in un’altra terra che crediamo migliore, se l’essere umano non è in grado di accogliere la trasformazione, quella differenza con il passato e che il presente non vuole accettare.
Ecco perché abbiamo bisogno di politiche di integrazione nel più ampio senso della parola, e che non si limitino, come sta accadendo da parecchi anni in questa nostra nazione, a proclamare slogan senza un intervento educativo costante, continuo. E che parta dai primi momenti in cui i nostri figli entrano in una qualsiasi classe, in una qualsiasi città della nazione.
Sapete tutti che questo governo non mi piace. Del resto, anche altri precedenti governi di sinistra e destra non sono stati un granché. Eppure, nelle ultime parole del ministro Minniti, ho ravvisato il tentativo di portare avanti un discorso di integrazione e di accoglienza che tenga conto di coloro che devono accogliere, solo quando possono farlo.
Dobbiamo intervenire su coloro che non credono nel cambiamento, e pensano di possedere la verità in tasca, perché sono abituati a comportarsi in un certo modo da sempre, senza la minima capacità di rivedere le proprie posizioni. E come accade nel percorso sanitario e psicologico che deve affrontare un individuo che cambia il proprio sesso genetico, dobbiamo capire che bisogna essere pronti, educati e disponibili ad accettare la diversità in condizioni agevoli, dal punto di vista sociale e culturale. Per creare spazio al diverso, non possiamo togliere ossigeno a coloro che già occupano questo spazio e se lo sono guadagnato qui, in questa nazione e con il sudore e fatica. Gli italiani non sono tutti parlamentari, gli italiani lavorano. E vogliono conservare il proprio lavoro, per non emigrare loro stessi, come del resto sta accadendo sempre più spesso.
E dovremmo avere uno Stato che garantisca le pensioni, senza le fandonie sulla necessità di importare esseri umani disadattati, e nella maggioranza dei casi analfabeti che possono solo mettere una X dove fa più comodo. Quando ben ammaestrati, ovviamente.
Alessandro Bertirotti si è diplomato in pianoforte presso il Conservatorio Statale di Musica di Pescara e laureato in Pedagogia presso l’Università degli Studi di Firenze. È stato docente di Psicologia per il Design all’Università degli Studi di Genova, Scuola Politecnica, Dipartimento di Scienze per l’Architettura ed è attualmente Visiting Professor di Anthropology of Mind presso l’Universidad Externado de Colombia, a Bogotà; vice-segretario generale della CCLPW , per la Campagna Internazione per la Nuova Carta Mondiale dell’educazione (UNEDUCH), ONG presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite e il Parlamento Europeo, e presidente dell’International Philomates Association. È membro della Honorable Academia Mundial de Educación di Buenos Aires e membro del Comitato Scientifico di Idea Fondazione (IF) di Torino, che si occupa di Neuroscienze, arte e cognizione per lo sviluppo della persona. Ha fondato l’Antropologia della mente (www.bertirotti.info).
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