Tempi virali
È tutta questione di… prudenza.
Come premessa a questo articolo è necessario ricordare che l’equilibrio nei giudizi, nel parlato e nelle azioni dovrebbe essere uno stile comportamentale del tutto auspicabile in questo periodo storico.
Sembra che pochi facciano uso di questa saggia modalità.
Non mi riferisco solo alla questione legata a zio Covid-19, caratterizzata da una comunicazione che riflette nella sostanza l’incapacità di prendere decisioni univoche, precise e chiare, ma anche a tutto ciò che continua ad accadere nel mondo.
Trump non accetta la sconfitta, se sconfitta vi è stata, e cerca di ostacolare in tutti i modi, anche quelli tradizionalmente subdoli e tipici di una politica malata, il proprio alter-ego democratico, Joe Biden; sui canali televisivi pubblici e privati si continua a cantare, ballare e fare finta di nulla, come se nulla stesse accadendo; sui social assistiamo a denigrazioni, offese ed altre amenità, che testimoniano come e quanto la Natura abbia le sue ragioni; ed altro ancora.
In questa situazione generalizzata, il comportamento di zio Covid-19 sembra essere mirato, perché in alcune aree della nostra Europa, come la Svezia, le persone vivono in condizioni diverse rispetto alla Francia, la Gran Bretagna e l’Austria.
Intanto, noi, gli italiani degli aperitivi e delle discoteche, ci preoccupiamo di lasciare aperte le scuole per non offendere la genitorialità famigliare (quando esiste, ovviamente… e se esiste…), senza che giungano aiuti economici effettivi nelle tasche degli italiani.
Ora, la questione è: lo Stato nel quale ci troviamo a tentare di esistere possiede i soldi per aiutare davvero i cittadini, oppure siamo sull’orlo del baratro? Bene, io sostengo che i nostri governanti non sanno proprio “che pesci prendere”. E non lo sanno perché non sono pescatori, non conoscono il mare nel quale stanno naufragando, e continuano a “tirare la corda”, come se gli italiani fossero infinitamente pazienti.
È anche vero che siamo anestetizzati da una informazione che crea atteggiamenti di superficialità commercialmente produttiva. Più cantiamo, balliamo, passeggiamo al sole come se il mondo non stesse cambiando, più crediamo di essere onnipotenti di fronte alla stessa evoluzione.
La vita esiste anche senza di noi, ma sembra che questo semplice e disarmante concetto sia del tutto alieno dalla mente del popolo. E questo stato mentale, cosa peggiore, non è prerogativa nazionale, ma lo possiamo riscontrare in tutto l’Occidente, all’interno del quale si continua a pensare a un concetto di normalità che sta velocemente mutando.
Gli Stati continuano a pensare che la globalizzazione sia questione solo commerciale, economico-finanziaria, mentre non vogliono comprendere, con determinazione, che la vera ed importante globalizzazione è di tipo culturale e dunque mentale.
Cosa fare, dal mio punto di vista?
Come esistono pubblicità deficienti, potrebbe esistere una maggiore quantità di pubblicità in grado di stimolare consapevolezza esistenziale, senza continuamente fare riferimento a fasulli divertimenti e svaghi.
Esiste un tempo per ogni cosa: un tempo per piangere e un tempo per ridere, ci ricorda l’Ecclesiaste.
Ma, certo… perché stancarci in riflessioni impegnative?
La cosa importante è il cenone di Natale!
Alessandro Bertirotti si è diplomato in pianoforte presso il Conservatorio Statale di Musica di Pescara e laureato in Pedagogia presso l’Università degli Studi di Firenze. È docente di Psicologia per il Design all’Università degli Studi di Genova, Scuola Politecnica, Dipartimento di Scienze per l’Architettura ed è attualmente Visiting Professor di Anthropology of Mind presso l’Universidad Externado de Colombia, a Bogotà e presidente dell’International Philomates Association. È membro della Honorable Academia Mundial de Educación di Buenos Aires e membro del Comitato Scientifico di Idea Fondazione (IF) di Torino, che si occupa di Neuroscienze, arte e cognizione per lo sviluppo della persona. Ha fondato l’Antropologia della mente (www.bertirotti.info).