Tajani: senza il Sud non c’è Europa
ma la vera sfida è l’utilizzo dei fondi
di Gigi Di Fiore
Presidente del Parlamento europeo da gennaio, Antonio Tajani è stato in precedenza anche commissario europeo ai Trasporti e all’Industria.
Presidente Tajani, cosa ne pensa delle dichiarazioni del presidente dell’Eurogruppo, l’olandese Jeroen Dijsselbloem?
«Sono sicuramente dichiarazioni inaccettabili, inopportune per chi ricopre un ruolo istituzionale così importante in Europa».
Uno scivolone istituzionale?
«Le istituzioni europee hanno bisogno di rappresentanti che lavorino per la reciproca comprensione. Per farlo, occorre senso di responsabilità che consiglia una maggiore prudenza nei giudizi critici che possano suonare offensivi. Va bene il confronto critico sulle opinioni, non l’offesa».
Matteo Renzi chiede le dimissioni di Dijsselbloem, pensa sia giusto?
«Non tocca a me dirlo. Presiedo il Parlamento europeo, che è cosa diversa dall’Eurogruppo, organismo che riunisce tutti i ministri delle Finanze dell’Ue. D’altro canto, mi sembra che la polemica vada sfumando».
A 60 anni dalla firma dei trattati europei, l’idea dell’unione resta sempre valida?
«Ci sono molte cose da rivedere, ma l’impianto e la filosofia dell’Unione europea vanno salvaguardati. In prospettiva ci sarà anche da lavorare sulle modifiche ai trattati, ma non possiamo farlo oggi. Bisogna essere pragmatici. Da soli, senza l’Unione europea, di certo non si può reggere la concorrenza economica della Cina o degli Stati Uniti».
E chi sostiene possibile uscire dall’euro e dall’Europa?
«Sarebbe impossibile sostenere la concorrenza, come affrontare il debito pubblico da pagare poi in lire, con un’inflazione del 30 per cento. E poi, potremmo mai sostenere da soli una politica per l’immigrazione? Diciamolo con franchezza: l’isolazionismo nella storia non ha mai portato bene, soprattutto all’Italia».
Il presidente Mattarella, riprendendo Massimo D’Azeglio, ha detto che fatta l’Europa bisogna fare gli europei. Ha ragione?
«Esiste un’identità europea, è nella nostra storia e nel nostro Dna. È un’unione di culture e lingue. Noi siamo europei perché siamo italiani e l’Europa non potrebbe fare a meno di noi. I nazionalismi portano a sconquassi. Chi dice di non credere all’Europa nega di avere sangue europeo. Erano europeisti a sinistra come a destra in Italia. Lo era il liberale Gaetano Martino, uno dei padri del trattato di Roma».
Perché tanta gente considera l’Unione europea responsabile di crisi e difficoltà in Italia, come in altri Paesi?
«Che ci sia da correggere diverse distorsioni della burocrazia europea è vero. Ma senza cooperazione europea sarebbe peggio. Ho riunito in queste ore i direttori generali del Parlamento, ho spiegato che uno dei nostri compiti è avvicinare i cittadini a noi, con i nostri provvedimenti e lo snellimento di meccanismi burocratici appesantiti».
La diffidenza verso l’Unione europea è molto forte anche nelle regioni meridionali, che si vedono penalizzate più degli altri. Cosa ne pensa?
«Il Sud ha perso tante occasioni a partire dagli anni 70 del secolo scorso, per utilizzare al meglio i fondi europei a disposizione. È stata l’area più beneficiata da quei finanziamenti e li ha utilizzati meno degli altri, confondendo la Cassa per il Mezzogiorno con i fondi europei».
Cosa significa?
«Che quei soldi sono stati spesi poco e male. Occorre una classe dirigente moderna e capace. Il Sud ha energie intellettuali e capacità, non può essere schiavo di logiche e sistemi clientelari. Il Sud ha una grande storia e una forte identità, nell’800 era all’avanguardia anche industriale. Napoli era una grande capitale».
I fondi strutturali europei sono un’occasione di sviluppo importante per il Mezzogiorno?
«Non lo scopro io. L’opportunità di quei finanziamenti va colta per modernizzare l’economia, con progetti davvero utili e di pianificazione seria di sviluppo. Ma occorrono capacità progettuali e visioni di lungo periodo. Ognuno deve fare la sua parte, senza indugiare in piagnistei. Lo dice uno che ha origini meridionali, perché mia madre che era di Vietri sul mare».
La frattura politica e gli egoismi in Europa non si sono accentuati anche per l’allargamento dell’Unione ai Paesi dell’Est?
«Abbiamo aiutato i Paesi dell’Est ad uscire dalla dittatura comunista. Bisogna ora lavorare tutti, con uno spirito maggiore di solidarietà. E mi riferisco soprattutto al tema dell’immigrazione».
Attentato mortale a Londra, solo l’ultimo di una lunga serie. Il terrorismo è un’altra emergenza che ha bisogno di più cooperazione europea?
«Senza dubbio. Nella lotta contro il terrorismo serve un coordinamento di intelligence e polizia che vada oltre i confini nazionali. Se è vero che anche a Londra l’attentato è stato opera di un cosiddetto lupo solitario, l’attenzione deve farsi ancora più comune».
Allude ai foreign fighters di ritorno da Mossul?
«Anche. Se ritornano combattenti islamici dell’Isis nei loro Paesi iniziali di residenza, pare che la tappa principale siano i Balcani. Quindi è necessaria una vigilanza integrata, con azioni concordate».
Sarà problematica la gestione della Brexit?
«Ci vorranno due anni per ultimarla. Occorrono dei trattati e si sta lavorando per definirli».
La Germania resta egemone in questa Europa?
«La Germania fa i suoi interessi. Ma anche loro sanno che ci vuole più Italia a Bruxelles, sanno che senza l’Italia si squilibra l’impianto europeo».
La politica in Italia ne è consapevole?
«Ci vorrebbe un sostegno dei rappresentanti italiani in Europa che, nel nostro Paese, vada oltre i governi e le differenze politiche. Questa coscienza sarà determinante per dare forza all’Italia che ha bisogno dell’Europa come l’Europa non può fare a meno di noi».
Giovedì 23 Marzo 2017