Svezia in caduta libera
di Judith Bergman 5 giugno 2018
Pezzo in lingua originale inglese: Sweden in Free Fall
Traduzioni di Angelita La Spada
Se in Occidente è considerato “discutibile” parlare di conseguenze reali del fenomeno migratorio, in Svezia è ora ritenuto un vero e proprio crimine.
Il tipo di “integrazione” che la moschea di Växjö diffonderebbe agli abitanti musulmani del posto consiste nell’esortarli a non partecipare ai festeggiamenti natalizi dei “kuffar” [un termine dispregiativo che sta per “miscredenti”] e a parlare degli ebrei come i nemici di Allah. La scuola della moschea adotta i programmi scolastici sauditi e incoraggia le donne a non vestire all’occidentale.
“In queste aree, il silenzio è diventato una norma consolidata in certi gruppi di abitanti” (…) vengono esercitate pressioni da parte dei parenti e delle comunità religiose affinché non si contattino le autorità, ma si utilizzino sistemi alternativi, come la moschea. A volte, le bande criminali locali dicono perfino ai residenti di rivolgersi a esse, e non alla polizia, per minimizzare la presenza dell’autorità di pubblica sicurezza nella zona. – BRÅ, il Consiglio nazionale svedese per la prevenzione della criminalità.
Sembra sempre più che sarà la Svezia a integrarsi nella cultura islamica.
Nel 2017, un rapporto della polizia svedese, “Utsatta områden 2017”, (“Aree vulnerabili 2017”, comunemente denominate “no-go zones” o porzioni di territorio che sfuggono al controllo dello Stato stesso) mostrava che in Svezia c’erano 61 aree di questo tipo. Esse comprendono 200 reti criminali, di cui fanno parte circa 5 mila delinquenti. Ventitré di tali “no-go zones” erano particolarmente critiche: bambini di soli 10 anni sono stati coinvolti in gravi crimini, anche in reati legati al traffico di armi e alla droga. La maggior parte degli abitanti erano immigrati non occidentali, soprattutto musulmani.
Un nuovo report, dal titolo “I rapporti con la magistratura nelle aree socialmente vulnerabili”, redatto dal BRÅ (Brottsförebyggande Rådet), il Consiglio nazionale svedese per la prevenzione della criminalità, mostra che più della metà degli abitanti di queste zone – circa 500 mila persone – ritiene che i criminali influenzino gli abitanti di queste aree esercitando intimidazioni nei loro confronti affinché non si presentino a testimoniare, non chiamino la polizia, non si muovano liberamente e non intervengano, se assistono ad atti di vandalismo. I residenti temono ripercussioni da parte dei criminali locali, non solo contro se stessi, ma anche contro i loro familiari.
Secondo il BRÅ, in queste aree il “silenzio è diventato una norma consolidata in certi gruppi di abitanti”. Il nuovo rapporto osserva inoltre l’esistenza di sistemi giuridici paralleli. Il 12 per cento delle persone che vivono in queste zone ha dichiarato che vengono esercitate pressioni da parte dei parenti e delle comunità religiose affinché non si contattino le autorità, ma si utilizzino sistemi alternativi, come la moschea. A volte, le bande criminali locali dicono perfino ai residenti di rivolgersi a esse, e non alla polizia, per minimizzare la presenza dell’autorità di pubblica sicurezza nella zona. Tali sistemi alternativi sembrano gestire tutti i crimini che hanno a che fare con “la reputazione” e “l’onore”, ma anche altri reati come l’estorsione e il furto. I problemi legati alle crisi di coppia, compresi il divorzio e la custodia dei figli, spesso sono gestiti dalla moschea locale.
Dal 2005, quando fu pubblicato l’ultimo di questi documenti, il BRÅ, che è responsabile delle statistiche sulla criminalità in Svezia, ha rifiutato di diffondere i dati sulla identità etnica dei criminali. Nondimeno, il quotidiano svedese Expressen ha di recente pubblicato un report secondo cui in 32 casi di stupro di gruppo andati in giudizio nel 2016 e nel 2017, 42 dei 43 stupratori erano migranti o figli di migranti; 32 erano nati all’estero e 10 in Svezia, con uno o entrambi i genitori nati all’estero. Gli uomini avevano in media 21 anni al momento del crimine, e 13 di loro avevano meno di 18 anni.
Secondo Stina Holmberg, consulente investigativo e ricercatrice del BRÅ, non vi è alcuna necessità urgente di un nuovo studio sui crimini commessi dai migranti, anche se l’ultimo di tali studi è stato condotto nel 2005 dal Consiglio nazionale svedese per la prevenzione della criminalità. Ciò che ora è necessario, secondo la Holmberg, è “l’integrazione” dei migranti, per porre fine, a suo dire, a crimini del genere. Sempre secondo la consulente del BRÅ, i 42 immigrati responsabili del reato di violenza sessuale di gruppo sono una percentuale trascurabile di tutti gli immigrati, rispetto ai 163 mila migranti che hanno fatto domanda di asilo nel 2015.
A febbraio, Peter Springare, ufficiale della polizia svedese, affermava che le violenze sessuali di gruppo sono un nuovo fenomeno culturale in Svezia – una conseguenza degli ultimi 10-15 anni di politica in materia di immigrazione.
“Ci sono anche svedesi etnici coinvolti negli stupri di gruppo, ma non nella stessa percentuale dei criminali di origine straniera”, ha detto Springare. A causa di queste affermazioni il poliziotto è stato segnalato alla polizia e sottoposto a una indagine interna. Il segretario generale della Swedish Law Society, Anne Ramberg, ha asserito che le affermazioni di Springare sono “pressoché razziste”. Se in Occidente è considerato “discutibile” parlare di conseguenze reali del fenomeno migratorio in Svezia è ora ritenuto un vero e proprio crimine.
Tuttavia, il governo svedese non sembra preoccupato dei rischi di ulteriori e possibili violenze sessuali di gruppo e crimini commessi dai migranti. E ha proposto una nuova normativa che consentirà a 9 mila minori non accompagnati e principalmente di sesso maschile – circa 7 mila dei quali, secondo quanto riferito, risultano avere più di 18 anni e pertanto non sono affatto minori – , che hanno visto le loro domande di asilo respinte e rischiano di essere espulsi, di ottenere un permesso di soggiorno temporaneo in Svezia, a patto che frequentino la scuola superiore o siano già iscritti in uno di questi istituti. Di questi 9 mila, sono autorizzati a rimanere nel paese soprattutto quelli le cui identità non sono state verificate, presumibilmente perché sono privi di documenti.
Sia la polizia sia i tribunali svedesi per i migranti hanno fortemente criticato il governo, soprattutto perché il disegno di legge è in netto contrasto con la legge svedese la quale richiede l’identificazione di coloro che intendono rimanere nel Paese. E se questo requisito sarà indebolito, le autorità non sapranno chi vive nel Paese.
In risposta, il governo ha ribattuto che la proposta è quella di permettere ai 9 mila migranti di completare l’istruzione secondaria superiore o di presentare domanda di istruzione, e non di asilo. Così, all’improvviso si scopre che 9 mila migranti di sesso maschile non sono arrivati in Svezia per chiedere asilo, ma per ricevere un’istruzione scolastica. Chi l’avrebbe pensato? Il perché a degli uomini adulti la cui identità non è verificabile e provenienti dall’estero dovrebbe essere concesso di frequentare le scuole superiori svedesi non è dato saperlo. Concedere un permesso di soggiorno a 9 mila “minori” dovrebbe costare allo Stato svedese circa due miliardi di corone [quasi 200 milioni di euro] solo nel 2019.
Il vescovo Fredrik Modeus della città di Växjö ha affermato che la Svezia dovrebbe “reintrodurre la possibilità di concedere permessi di soggiorno in circostanze speciali e particolarmente difficili” e che il Paese dovrebbe considerarsi “una superpotenza umanitaria”. Occorre “permettere ai minori non accompagnati di rimanere. Non temporaneamente, ma in modo permanente”, egli ha detto.
La moschea della città del vescovo Modeus ha di recente chiesto il permesso di trasmettere pubblicamente le sue chiamate alla preghiera in filodiffusione per le strade cittadine, per tre minuti, due volte al giorno, il venerdì. In Svezia, ci sono già due moschee che lo fanno, una a Botkyrka – dove il permesso è stato concesso nel 2013 – e l’altra a Karlskrona. Il leader musulmano locale, l’imam Abu Helal, ha precisato che l’invito alla preghiera consentirebbe ai musulmani di integrarsi meglio nella società svedese. “Accolgo con favore la richiesta e non vedo l’ora di ascoltare le campane della chiesa e il richiamo alla preghiera nella nostra città”, egli ha asserito.
Il primo ministro Stefan Löfven non ha voluto esprimere una opinione sulla questione della chiamata islamica alla preghiera. Egli ha detto che “dipende dall’ubicazione della moschea” e che la decisione spetta all’amministrazione comunale locale. A maggio, la polizia di Växjö ha deciso che la moschea potrà chiamare la gente alla preghiera ogni venerdì per tre minuti. La polizia ha motivato tale decisione affermando che la valutazione era basata su considerazioni relative al traffico, all’ordine pubblico e alla sicurezza. “Altri aspetti, come il contenuto della chiamata alla preghiera, non sono stati presi in considerazione”. Secondo il vescovo Modeus, la decisione della polizia è stata saggia e gioverebbe all’integrazione.
Il tipo di “integrazione” che la moschea di Växjö diffonderebbe agli abitanti musulmani del posto consiste nell’esortarli a non partecipare ai festeggiamenti natalizi dei “kuffar” [un termine dispregiativo che sta per “miscredenti”] e a parlare degli ebrei come i nemici di Allah. La scuola della moschea adotta i programmi scolastici sauditi e incoraggia le donne a non vestire “all’occidentale” e a insegnare alle loro figlie a “vestirsi decentemente sin da piccole”.
Pertanto, sembra sempre più che sarà la Svezia a integrarsi nella cultura islamica. Di recente, un tribunale svedese si è pronunciato conformemente ai principi della sharia, la legge islamica, quando la giuria – in seno alla quale c’erano due membri musulmani – ha rilevato che una donna che aveva subito violenti abusi da parte del marito non poteva essere ritenuta affidabile perché la sua famiglia di origine era “inferiore” rispetto al marito e che era “comune” per le donne mentire sugli abusi. La giuria l’ha inoltre rimproverata per aver coinvolto la polizia, anziché risolvere la questione rivolgendosi alla famiglia del marito violento. Il caso ha fatto scandalo in Svezia e i due membri della giuria sono stati in seguito destituiti.
In un altro caso, una dodicenne musulmana svedese è stata portata con la forza in Iraq e costretta a sposare un cugino di 22 anni, che secondo quanto riferito l’avrebbe violentata. Tornata da sola in Svezia, la ragazzina ha dato alla luce due gemelli. La sua famiglia l’ha costretta a tornare in Iraq per vivere con il “marito”. I familiari dell’uomo le hanno poi portato via con la forza i figli, dopo avere alla fine accettato che la ragazza divorziasse. I bambini si trovano ancora in Iraq. Il tribunale svedese ha concesso a quest’uomo, un cittadino iracheno, la custodia dei due gemelli di 10 anni.
Judith Bergman è avvocato, editorialista e analista politica.