24nov 16
#stiamosereni
È tutta questione di… mente.
Un lettore e frequentatore assiduo di questo blog, ci ha raccontato qualche cosa sul concetto di serenità, dicendoci che oggi, e forse come sempre egli scrive, la si compra. Dalle sue parole nasce questo mio contributo al concetto di serenità, riferendovi ciò che ritengo essa sia. Sì, per me e forse per altre persone ancora.
In chiave psico-antropologica, il termine si riferisce ad uno stato, oppure tratto dinamico ed episodico, della mente in cui l’essere umano è in pace, tranquillo e senza preoccupazioni. Insomma, qualcosa di difficile da ottenere, e da sempre. In qualsiasi tempo storico e geografia, questa condizione mentale è di difficile attuazione, anche se utilizziamo il concetto di serenità con una certa frequenza, applicandolo a molte situazioni della nostra vita quotidiana.
Dalla filosofia epicurea impariamo che lo stato di serenità è quando non proviamo turbamenti o dolori, oppure quando i nostri desideri si realizzano. Da Seneca, impariamo che la conditio sine qua non per essere sereni è di non preoccuparci del destino. Per il filosofo romano è necessario, per essere sereni sul serio, provare indifferenza verso il fato, sia positivo che negativo. Secondo Schopenhauer la serenità esiste nell’opera d’arte musicale, nella quale coesistono tutte le emozioni, anche quelle antitetiche tra loro, procurando quell’equilibrio e quell’armonia che solo la musica, appunto, può donarci. Bene, e queste sono le citazioni che considero significative.
Eppure, per me, cosa è la serenità, e come la si può ottenere?
In primo luogo, affinché essa sia una condizione dinamica, quindi non stabile e coerente, della mente è necessario sia legata alla autoconsapevolezza. In altri termini, una persona poco cosciente di sé stessa non è serena, ma deficiente. In secondo luogo, quando la serenità è interiore, invisibile nelle sue relazioni fra le cose della vita, emerge anche esteriormente nella persona. In terzo luogo la serenità, è quello stato emotivo e comportamentale in cui ogni persona diventa cosciente della propria umiltà, ossia nullità di fronte a tutte le cose della vita, siano esse positive o negative. E per raggiungere questa condizione (situazione esistenziale) mentale è necessario collocare i propri traumi esistenziali nel mistero dell’incomprensibile, affidando la propria vita ad una ragione di essere che oltrepassa la materia.
Questa è la mia opinione e attendo di leggere la vostra.
Alessandro Bertirotti si è diplomato in pianoforte presso il Conservatorio Statale di Musica di Pescara e laureato in Pedagogia presso l’Università degli Studi di Firenze. È docente di Psicologia per il Design all’Università degli Studi di Genova, Scuola Politecnica, Dipartimento di Scienze per l’Architettura. Visiting Professor di Anthropology of Mind presso l’Universidad Externado de Colombia, a Bogotà; vice-segretario generale della CCLPW , per la Campagna Internazione per la Nuova Carta Mondiale dell’educazione (UNEDUCH), ONG presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite e il Parlamento Europeo, e presidente dell’International Philomates Association. È membro della Honorable Academia Mundial de Educación di Buenos Aires e membro del Comitato Scientifico di Idea Fondazione (IF) di Torino, che si occupa di Neuroscienze, arte e cognizione per lo sviluppo della persona. Ha fondato l’Antropologia della mente (www.bertirotti.info).
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