Solo violenza?
È tutta questione di… confronto.
Partiamo da questa notizia,(“Io, violentata da un migrante ospite del centro in cui lavoro” Una storia drammatica raccontata davanti al giudice di Palermo Lorenzo Matassa da una donna che lavora in un centro migranti Maurizio Zoppi – Dom, 26/07/2020 – Una vicenda drammatica accaduta in provincia di Palermo. La responsabile di un centro migranti è stata – stando alle sue parole – vittima di violenza sessuale da parte di un nigeriano di cui ad oggi si sono perse le tracce: Hope Omnolodion è infatti a oggi latitante). dalla quale scaturiscono le mie personali considerazioni che leggerete qui di seguito.
La percezione della femmina umana, in questo mondo globalizzato, è certamente massificata e sintetizzabile in: soggetto/oggetto di soddisfacimento sessuale. Il maschio umano, dal canto suo, cresce nella convinzione, culturalmente legittimata e generalizzata, che per essere tale deve considerare la femmina come terra di conquista.
Ora, in entrambi i casi, vale a dire, sia le femmine che i maschi, sono educati dalle agenzie educative deputate a farlo, in qualsiasi parte del mondo, come la famiglia, il clan sociale, il gruppo dei pari all’interno del quale si cresce, e la scuola. In poche parole, tutti noi cresciamo all’interno di un sistema culturalmente determinato e, cosa più importante, autodeterminantesi.
Bene, partendo da queste considerazioni, basi dell’Antropologia Culturale e di quella della Mente, è evidente che per poter svolgere alcuni tipi di lavori, come quello dei centri di accoglienza, è bene conoscere come reagire di fronte a maschi e femmine di un certo tipo.
Bisognerebbe essere formati, educati, preparati ad affrontare le diverse tipologie di esseri umani che si incontrano, con la capacità di leggere tutti i segnali che emergono durante le relazioni interumane. Esistono chiari messaggi, come in questo caso, che emergono come veri e propri sintomi di una precisa individualità e che possono essere il preludio di qualche cosa di poco piacevole, anzi decisamente criminale.
Ora, le giustificazioni che questa povera vittima adduce, anche di fronte al giudice, rispetto alla sua triste e traumatica vicenda, sembrano rivelare una totale impreparazione culturale e professionale, sebbene in buona fede. Non basta la buona fede per relazionarci con altre culture, con visioni culturali estreme nelle quali gli esseri umani sono, senza offesa per gli animali, solo “buchi”.
E questa visione non è solo di alcune culture africane, ma anche di alcune manifestazioni sofisticate del mondo occidentale. Nei nostri media, le femmine e i maschi seguono stereotipi precisi che continuano a basarsi sul rapporto dominio-sottomissione, esattamente come sta accadendo persino a livello di Europa: i “frugali” dominano, mentre gli “spendaccioni” si sottomettono.
Dicono che si tratti di competitività. Altra forma di violenza, legittimata da correnti di pensiero sociali ed economiche (con regole che andrebbero forse messe in discussione), ma sempre di violenza si tratta.
L’esempio che ho appena riportato, e che fa riferimento al Recovery Fund, è assimilabile a questa forma di violenza carnale che la femmina umana palermitana in questione ha vissuto. Non era preparata ad interpretare nel giusto modo dei segnali sessuali, affatto innocui, del maschio africano.
Come noi, altrettanto, non siamo capaci di interpretare i segnali che questo trattato esprime: il totale fallimento di ogni politica che tuteli i più deboli, e lo sfascio della nazione, con giovani che non solo continueranno ad emigrare, ma che non avranno più nemmeno un lavoro. Dovremmo avere uno statista vero, nella nostra nazione, che, con maestria, strategia e silenziosamente, sapesse traghettarci fuori da questa perniciosa struttura burocratica che chiamiamo Europa.
La violenza non è un raptus, ma segue un percorso sintomaticamente chiaro.È tutta questione di… confronto.
Partiamo da questa notizia, dalla quale scaturiscono le mie personali considerazioni che leggerete qui di seguito.
La percezione della femmina umana, in questo mondo globalizzato, è certamente massificata e sintetizzabile in: soggetto/oggetto di soddisfacimento sessuale. Il maschio umano, dal canto suo, cresce nella convinzione, culturalmente legittimata e generalizzata, che per essere tale deve considerare la femmina come terra di conquista.
Ora, in entrambi i casi, vale a dire, sia le femmine che i maschi, sono educati dalle agenzie educative deputate a farlo, in qualsiasi parte del mondo, come la famiglia, il clan sociale, il gruppo dei pari all’interno del quale si cresce, e la scuola. In poche parole, tutti noi cresciamo all’interno di un sistema culturalmente determinato e, cosa più importante, autodeterminantesi.
Bene, partendo da queste considerazioni, basi dell’Antropologia Culturale e di quella della Mente, è evidente che per poter svolgere alcuni tipi di lavori, come quello dei centri di accoglienza, è bene conoscere come reagire di fronte a maschi e femmine di un certo tipo.
Bisognerebbe essere formati, educati, preparati ad affrontare le diverse tipologie di esseri umani che si incontrano, con la capacità di leggere tutti i segnali che emergono durante le relazioni interumane. Esistono chiari messaggi, come in questo caso, che emergono come veri e propri sintomi di una precisa individualità e che possono essere il preludio di qualche cosa di poco piacevole, anzi decisamente criminale.
Ora, le giustificazioni che questa povera vittima adduce, anche di fronte al giudice, rispetto alla sua triste e traumatica vicenda, sembrano rivelare una totale impreparazione culturale e professionale, sebbene in buona fede. Non basta la buona fede per relazionarci con altre culture, con visioni culturali estreme nelle quali gli esseri umani sono, senza offesa per gli animali, solo “buchi”.
Alessandro Bertirotti si è diplomato in pianoforte presso il Conservatorio Statale di Musica di Pescara e laureato in Pedagogia presso l’Università degli Studi di Firenze. È docente di Psicologia per il Design all’Università degli Studi di Genova, Scuola Politecnica, Dipartimento di Scienze per l’Architettura ed è attualmente Visiting Professor di Anthropology of Mind presso l’Universidad Externado de Colombia, a Bogotà e presidente dell’International Philomates Association. È membro della Honorable Academia Mundial de Educación di Buenos Aires e membro del Comitato Scientifico di Idea Fondazione (IF) di Torino, che si occupa di Neuroscienze, arte e cognizione per lo sviluppo della persona. Ha fondato l’Antropologia della mente (www.bertirotti.info).
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