Sibilla, nostra madre

𝐒𝐢𝐛𝐢𝐥𝐥𝐚, 𝐧𝐨𝐬𝐭𝐫𝐚 𝐦𝐚𝐝𝐫𝐞
A due passi da Napoli fu trovata la scatola nera dell’Italia.
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Sibilla, nostra madre

A due passi da Napoli fu trovata la scatola nera dell’Italia. Era in una caverna, secondo la leggenda, a Cuma, custodita da una vergine ispirata che predisse il suo futuro al mitico fondatore dell’Italia, Enea, e la sua predizione fu narrata dal primo grande poeta che cantò l’Italia, Virgilio. Sto parlando della Sibilla, che fu la prima madrina d’Italia, quella curiosa signorina imparentata con la Pizia del Santuario di Delfi; la Sibilla fu una specie di Censis degli antichi che produsse un rapporto Italia ante litteram con le previsioni per il nostro paese raccolte in nove volumi, custoditi a lungo da un collegio di sacerdoti. Quei libri vegliarono sulle sorti di Roma e sui lavori del Senato per svariati secoli, consultati ad ogni crisi politica; furono bruciati da Flavio Stilicone pochi decenni prima che cadesse Roma. Col senno di poi si dirà che quel rogo di libri, come ogni rogo, non portò bene. Ma il mito della Sibilla accompagnò il nostro immaginario collettivo anche quando tramontò il paganesimo: nel Medioevo la Sibilla si trasformò persino in Madonna, in fonte egregia dei Padri della Chiesa e fece capolino nel Duomo di Siena e nella Cappella Sistina. Insomma il nostro paese è nato sibillino e così è cresciuto. Credo che la Sibilla meriti una riflessione ulteriore, affacciata sul presente.
La nostra epoca è sibillina per eccellenza. In senso pieno, metaforico e anche corrente. La nostra epoca si ciba come poche altre di oracoli, previsioni, profezie, segni zodiacali, astrologia. Siamo entrati nella sfera sibillina del no-logos che condiziona la vita privata e le scelte personali, gli amori e i matrimoni, ma anche la politica e la finanza, la meteorologia e i destini del pianeta. Mai come oggi gli oracoli vanno alla grande, si parla di influenze positive e negative, di umori e malumori, di euforia e depressione, di angosce e aspettative; insomma, di impercettibili atmosfere che evocano gli acrostici, oscuri e ambigui, della Sibilla. Se vogliamo, le uniche visioni del mondo che sono rimaste nel nostro tempo cinico e nichilista, sono l’ottimismo e il pessimismo. Su ogni cosa pesa in modo determinante questa biforcazione, i destini della borsa risentono del clima di ottimismo o di pessimismo e così i menage di coppia. Perfino maggioranza e opposizione si distinguono solo per questo: chi è governativo è ideologicamente ottimista, chi è oppositore è ideologicamente pessimista. Insomma, trionfano quelle che Pareto definiva le derivazioni pseudologiche; dopo gli ideologi vengono le sibille.
Anche il linguaggio si è adeguato, facendosi sibillino. Ma ancor di più si è adeguato il nostro modo di vivere. Non sappiamo vivere sempre nello stesso luogo, coltivando le stesse idee e le stesse fedeltà. Preferiamo fare zapping di valori, costumi, legami, città. I nostri costumi si sono fatti sibillini, il nostro amare, credere e pensare si è fatto sibillino, lampeggiante, altalenante, cangiante. Siamo dei mutanti, come la Sibilla. Anche se non bazzichiamo i suoi messaggi ma più modestamente i messaggini di uno smartphone, e le parole per accedere ai misteri oggi si chiamano password e codice Pin e non responsi o enigmi, comunichiamo come la Sibilla tramite gli invisibili campi elettromagnetici dell’etere. Insomma la Sibilla è madre della nostra epoca, umorale e minacciosa, mutante e ambigua. Il problema è che non conosciamo il padre.

MV