Sciopero, premier e migranti

𝐒𝐜𝐢𝐨𝐩𝐞𝐫𝐨, 𝐩𝐫𝐞𝐦𝐢𝐞𝐫 𝐞 𝐦𝐢𝐠𝐫𝐚𝐧𝐭𝐢: 𝐥𝐚 𝐬𝐢𝐧𝐢𝐬𝐭𝐫𝐚 𝐜𝐨𝐧𝐭𝐫𝐨 𝐠𝐥𝐢 𝐢𝐭𝐚𝐥𝐢𝐚𝐧𝐢
Siete d’accordo a precettare lo sciopero generale, per giunta di venerdì? Siete d’accordo ad avere un presidente eletto direttamente dal popolo sovrano? Siete d’accordo a deviare in Albania flussi incontrollati di immigrati clandestini? Se lo chiedete agli italiani, in larga maggioranza vi diranno di si.

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Sciopero, premier e migranti: la sinistra contro gli italiani
di Marcello Veneziani
18 Novembre 2023

Siete d’accordo a precettare lo sciopero generale, per giunta di venerdì? Siete d’accordo ad avere un presidente eletto direttamente dal popolo sovrano? Siete d’accordo a deviare in Albania flussi incontrollati di immigrati clandestini? Se lo chiedete agli italiani, in larga maggioranza vi diranno di si. E magari risponderanno allo stesso modo a proposito di altri temi, come il divieto di carne sintetica, l’utero in affitto o altro.
La controprova simmetrica di quel che diciamo è che su questi temi si pronuncia esattamente al contrario la sinistra politica, intellettuale e sindacale. Appena il governo imbocca una strada di questo tipo, la grande stampa lo critica e lo bastona, e con lei la Schlein e tutta la filiera sinistrese. Ma quella è la garanzia che si tratta di proposte che godono di largo consenso popolare e che sono concepite per giovare agli italiani e all’Italia. Il loro canone inverso, il loro fiuto al contrario, è formidabile, appena sentono odore di consenso popolare si schierano puntualmente e decisamente dalla parte opposta.
E’ questa la fotografia del momento, la rappresentazione plastica delle forze in campo e del rapporto che hanno con il paese. Il governo Meloni cerca almeno su questi fronti di riacquistare il volto originario di una forza nazionale, popolare, sovrana, con larga legittimazione popolare che su altri piani, come la politica estera, militare, economica, non ha. Fa bene, naturalmente, a risalire la china attraverso queste battaglie popolari.
Lo sciopero generale, per giunta di venerdì, e in assenza di un quadro generale che ne dia almeno una parvenza di giustificazione, è un’arma barbarica perché usa il danno a terzi, il disagio minacciato e procurato alla gente per aver più peso contrattuale, esercitando il ricatto su cittadini inermi e incolpevoli che vogliono vivere, lavorare, spostarsi, andare a scuola: è una barbarie che subiamo da decenni e che un tempo aveva come alibi la massiccia rappresentanza di sindacati forti, motivati, con molti iscritti, un consenso ampio anche se pur sempre di minoranza; ma oggi no, credo che i quattro quinti degli italiani siano contrari a questi scioperi generali, e ne subiscano le conseguenze con fastidio, se non con rabbia. In fondo considerazioni analoghe possono farsi anche sul tema dell’elezione diretta del presidente, da sempre maggioritario nel paese, seppur raffreddato, o del contenimento dei massicci flussi migratori irregolari e del business indotto, con organizzazioni che campano sul traffico di vite umane.
Ma poi su strada ci sono tante complicazioni. La prima: che diranno le vecchie zie, ovvero il Quirinale, il Vaticano, l’Unione Europea, le Alte Sfere del potere interno e internazionale? Si mettono di traverso su uno o su più temi cruciali, esercitando moral suasion o peggio veti e dinieghi.
La seconda è che la sinistra non ha capacità di proposta e nemmeno di sintonia col paese reale, ma ha ancora una formidabile capacità di intimidazione e d’interdizione. E dunque riesce a boicottare molte proposte, con l’ausilio degli influencer a mezzo stampa. La terza è che la destra di governo non ha le spalle larghe e forti per reggere l’urto dei primi due e dunque finisce col cercare prima un compromesso al ribasso che non escluda il rinvio o il dietrofront, perché nella politica nostrana basta almeno aver mostrato buone intenzioni, e poi costituirsi l’alibi, fondato in molti casi ma foriero d’inconcludenza: noi vorremmo farlo ma non ce lo fanno fare.
Così succede che la precettazione viene fatta solo a metà, si riduce a quattro ore auto-regolate, meglio poco che niente, è almeno un segnale; poi succede che l’elezione diretta si dimezza strada facendo, non investe il capo dello stato, salva gli alleati minori consentendo al vice-leader di maggioranza di fare un governo se cade il premier (la parte più farraginosa e meno fattibile del progetto riformatore). Infine succede che si ridimensiona il numero, il tempo, lo spazio e l’entità dell’accordo con l’Albania mentre la sinistra internazionale ricatta il presidente albanese Edi Rama; e la Chiesa bergogliana incalza la Meloni e il suo governo per ragioni umanitarie.
Cosa di tutto questo alla fine resterà in piedi, una volta stabilita la legge progressiva del rimpicciolimento e la delegittimazione delle scelte?
Noi che siamo realisti, a questo punto siamo costretti a dire: meglio quel triplice annuncio e il poco che poi si riuscirà a ricavare dall’intenzione originaria, piuttosto che niente. E solo sfondo, in fin dei conti, meglio il governo Meloni che i loro avversari, coi loro propositi e i loro pregiudizi ideologici agli antipodi del sentire comune e dei bisogni reali dell’Italia e degli italiani.
Gli argomenti contro quelle proposte appartengono ormai a un noto repertorio: non è il momento di farle, ci sono altre priorità, sono armi di distrazione di massa; e poi, sono autoritarie, aumentano i poteri, limitano i diritti, deportano i migranti. In una parola, fascisti. Sono le stesse forze che negli ultimi anni hanno caldeggiato e poi avallato scelte che limitavano i diritti costituzionali e le libertà più elementari nel nome di continue emergenze. Certo, nessuna di queste proposte è destinata a cambiare le sorti dell’Italia e degli italiani, e a rispondere a molti bisogni e molte urgenze del paese, sono emendabili e vanno contestualizzate in una più organica riforma del lavoro, dei suoi diritti e dei suoi doveri; riforma della Costituzione e dei rapporti tra l’esecutivo e il potere legislativo; strategia di governo dei flussi migratori, respingendoli, incanalandoli o filtrandoli. Ma sono concreti passi in avanti, non indietro, migliorano il vivere civile e il tessuto sociale, la democrazia e la sovranità popolare. Vedremo se alla fine ce la faranno a realizzarle o dovranno rassegnarsi alla linea politica prevalente, ossia l’inerzia: nella controversie meglio non fare nulla, lasciare le cose come stanno e tirare a campare.

La Verità – 17 novembre 2023