Scegliere il bene
È tutta questione di… educazione permanente.
Quando la nostra mente, pur sapendo dove risiede il bene in riferimento ad una precisa circostanza, sceglie il male, lo fa per avere dopo la possibilità di pentirsene.
Come potrebbe funzionare la coscienza umana se ogni azione fosse sempre frutto della propria volontà? Non potrebbe formarsi nessuna coscienza, perché la mente non avrebbe nessun termine di paragone.
Facciamo un esempio.
Come potrei io accorgermi che l’acqua è calda se per tutta la vita non faccio esperienza dell’acqua fredda? Sarebbe letteralmente impossibile, perché la mente non avrebbe la necessità di definire con un aggettivo qualificativo, freddo, l’acqua. In questo ultimo caso esisterebbe solo l’acqua, che posso definire perché posseggo l’idea di terra. E questa idea è frutto di un rapporto cognitivo con la terra, proprio perché ho compiuto, durante la mia esistenza, azioni su questa terra. Sono riuscito così a qualificare il mio rapporto con la terra, cioè le azioni che sono stato capace di fare e le risposte che la terra mi ha fornito.
Eccoci così arrivati a comprendere perché la mente è duale, ossia perché ragiona secondo una logica binaria, dove il doppio, lo specchio, l’altro da me acquistano la loro fondamentale importanza. E proprio all’interno della logica binaria riesco a pentirmi di azioni le cui conseguenze non avevo adeguatamente valutato in anticipo. Ecco a cosa serve il negativo: ci mette nella posizione mentale di produrre scelte future all’insegna di ciò che la memoria ha imparato a considerare tale.
Un altro aspetto altrettanto interessante del ragionamento duale è legato al concetto di specchio, secondo il quale un Io si trova di fronte ad un Sé, ossia di fronte ad una situazione riflettente, nella quale, appunto, si specchia. E non è un caso che il termine riflettere indichi un’azione riflessiva di un Io su sé stesso e quella di riflettere un’immagine di sé in un’altra situazione. Ecco perché il risultato finale di una ragionamento riflessivo è quello di comprendere che tutte le cose che sembrano due sono in realtà una, perché provenienti dalla stessa origine: l’Io.
Il raggiungimento di questo obiettivo è uno dei punti cardine di tutta la filosofia orientale, e ha determinato anche lo sviluppo di quella antica dell’Asia Minore dalla quale è emersa la scienza attuale. È dunque strano, o quanto meno sorprendente, rendersi conto che oggi la scienza, forse a causa dell’esasperato accento posto sulla tecnologia, sembra aver abbandonato la ricerca sulla dimensione interna, invisibile e nascosta dell’individuo.
Eppure, nel modello logico del funzionamento mentale occidentale l’Io continua ad essere il punto di partenza di ogni conquista.
Alessandro Bertirotti si è diplomato in pianoforte presso il Conservatorio Statale di Musica di Pescara e laureato in Pedagogia presso l’Università degli Studi di Firenze. È docente di Psicologia per il Design all’Università degli Studi di Genova, Scuola Politecnica, Dipartimento di Scienze per l’Architettura ed è attualmente Visiting Professor di Anthropology of Mind presso l’Universidad Externado de Colombia, a Bogotà e presidente dell’International Philomates Association. È membro della Honorable Academia Mundial de Educación di Buenos Aires e membro del Comitato Scientifico di Idea Fondazione (IF) di Torino, che si occupa di Neuroscienze, arte e cognizione per lo sviluppo della persona. Ha fondato l’Antropologia della mente (www.bertirotti.info).